Insediamento produttivo e definizione (non del tutto precisa) di scarico

04 Ago 2022 | giurisprudenza, penale

di Antonio Sanson

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 5 maggio 2022 (dep. 30 maggio 2022), n. 21034 – Pres. Di Nicola, Est. Liberati – ric. Capicchioni

Per scarico si deve intendere qualsiasi versamento di rifiuti, liquidi o solidi, che provenga dall’insediamento produttivo nella sua totalità e cioè nella inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli dei servizi igienici o delle acque meteoriche, immessi in un unico corpo recettore.

  1. La vicenda sottesa al giudizio della Suprema Corte

La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi su una decisione del Tribunale di Rimini, che aveva condannato l’imputato alla pena di 3.000,00 euro di ammenda per i reati di getto pericoloso di cose (art. 674 c.p.) e di scarico abusivo (art. 137, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 152/2006) per aver aperto in assenza di autorizzazione uno scarico recapitante nel torrente San Marino reflui sia di natura domestica che industriale contenenti sostanze pericolose indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza D.Lgs. n. 152/2006[i].

In particolare, nello scarico in questione convogliavano acque meteoriche di dilavamento che si erano mescolate a sostanze chimiche di natura tipicamente industriale (ferro, boro, alluminio, cloruri oltre ad elementi di natura domestica in percentuale minore) a seguito di contatto con materiali lavorati in legno che erano stati stoccati nel piazzale dell’azienda di cui l’imputato era legale rappresentante.

  1. I motivi di ricorso

Avverso tale decisione l’imputato ha presentato ricorso articolato in tre motivi. Con il primo veniva denunciata l’erronea applicazione dell’art 674 c.p. perché il Tribunale si sarebbe limitato ad accertare la potenzialità offensiva della condotta con riferimento alla fauna ittica, ma avrebbe omesso di considerare tale attitudine con riferimento alle persone.

Il secondo motivo lamentava invece un vizio motivazionale laddove il Tribunale aveva condannato l’imputato per lo specifico fatto in una situazione di (asserita) incertezza circa la provenienza dei reflui; la decisione veniva tacciata anche di illogicità perché a fronte della medesima situazione di incertezza l’imputato era stato invece assolto per un capo di imputazione relativo ad altro scarico.

Da ultimo il ricorrente censurava l’erronea applicazione dell’art 137 D.Lgs. n. 152/2006 nella parte in cui il Tribunale non aveva considerato che lo scarico in questione era stato realizzato in epoca remota ed allo scopo di far defluire l’acqua proveniente da grondaie e caditoie. Il ricorrente contestava quindi la qualificazione come “reflui industriali” delle acque meteoriche di dilavamento, che avrebbe invece dovuto essere esclusa sulla base della formulazione dell’art. 74, lett. g), D.Lgs. n. 152/2006.

  1. La decisone della Corte di Cassazione

La Corte ha dichiarato inammissibili i primi due motivi di gravame e parte del terzo, che per la rimanente parte è stato rigettato.

Per quanto riguarda il motivo attinente alla erronea applicazione dell’art 674 c.p., la decisione di inammissibilità rileva che lo stesso era volto a censurare un accertamento di merito che il Tribunale aveva effettuato in maniera logica e conforme all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità.[ii]

Ugualmente dicasi per il secondo motivo, che di fatto chiedeva di procedere ad un sindacato sugli accertamenti di merito svolti dal giudice di primo grado.

La parte che più interessa è quella relativa al terzo motivo, in cui la Corte affronta la questione della possibile classificazione delle acque meteoriche di dilavamento come reflui industriali e, nel fare ciò, ritorna sul concetto di “scarico”.

Va detto da subito che la decisione si allinea all’orientamento anche recentemente ribadito nella giurisprudenza di legittimità secondo cui le acque meteoriche di dilavamento vanno considerate come reflui industriali nel caso in cui queste vengano a contatto con sostanza inquinanti e pericolose, con conseguente applicabilità dell’art. 137 D.Lgs. n. 152/2006[iii].

La Corte ribadisce che nessuna rilevanza può essere attribuita alla circostanza che parte del refluo sia composta da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo ed indipendentemente dal fatto che esso transiti attraverso una conduttura destinata a far defluire l’acqua piovana proveniente dalle grondaie e dalle caditoie, come aveva provato a sostenere la difesa dell’imputato richiamando una nota (ma isolata) decisione del 2013[iv].

Sebbene dunque, come sopra anticipato, la decisione si inserisca nel solco della ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, la nozione di “scarico” che viene proposta, rectius ri-proposta, essendo stata precedentemente utilizzata in altra pronuncia della Sezione III[v], non appare improntata ad un canone di precisione e rischia anzi di ingenerare fraintendimenti.

Lo scarico viene infatti definito come “qualsiasi versamento di rifiuti, liquidi o solidi, che provenga dall’insediamento produttivo nella sua totalità e cioè nella inscindibile composizione dei suoi elementi”. Orbene, se la parte relativa alla “provenienza” del versamento appare conforme alla definizione contenuta nell’art. 74, co. 1, lett. ff), D.Lgs. n. 152/2006, altrettanto non può dirsi per quella dedicata alla “composizione”, che richiama espressamente – ed indebitamente – la nozione di “rifiuto”, liquido o solido o solido.

Vale giusto la pena di ricordare che lo sversamento che presenti i requisiti di legge per poter essere qualificato come “scarico”, è espressamente escluso, ex art 185, comma 2, lett. a) D.Lgs. n. 152/2006 dalla disciplina sui rifiuti. In altri termini, le sostanze che mischiatesi con le acque di dilavamento e vengano successivamente sversate direttamente in un corpo ricettore tramite un sistema stabile di collettamento non possono essere considerate rifiuti.

Ciò ovviamente non significa che l’equiparazione delle acque meteoriche di dilavamento ai reflui industriali ai fini dell’illecito di cui all’art. 137 D.Lgs. n. 152/2006 non possa avvenire per effetto del contatto delle stesse con dei “rifiuti” propriamente intesi: si pensi all’ipotesi, in verità abbastanza comune, di acque piovane che dilavino rifiuti stoccati in un piazzale e che successivamente convoglino in uno stabile sistema di collettamento. Ma, allo stesso modo, ciò può avvenire attraverso il dilavamento di qualcosa che rifiuto non è. Tale seconda ipotesi pare peraltro proprio quella alla base della sentenza in commento, ove le acque meteoriche erano rifluite su “componenti di impianti” per la produzione di parquets in legno.

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RGA Online – Sanson – contributo agosto-settembre 2022

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Cass. III, 21034_2022

NOTE

[i] Con la medesima sentenza il Tribunale condannava altresì la società per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25 undecies, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001 in relazione alla contravvenzione di cui all’art. 137, comma 2 D.Lgs. n. 152/2006 commessa dal legale rappresentante. Il presente contributo non prenderà in considerazione la specifica posizione, rispetto alla quale non risultano spunti di particolare interesse.

[ii] Per una ricostruzione completa sul punto si rinvia a G. Stea, La tutela penale dell’aria in L. Cornacchia, N. Pisani (a cura di), Il nuovo diritto penale dell’ambiente, Bologna (2018), p. 424. In giurisprudenza si vedano ex multis Corte Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2020, n. 2020; Corte Cass. pen., Sez. II, 4 novembre 2016, n. 49354.

[iii] Cfr. Corte Cass. pen., Sez. III, 23 settembre 2021, n. 38196 con commento di G. Rota, Assimilabilità delle acque meteoriche di dilavamento ai reflui industriali, in www.rgaonline.sviluppo.host e Corte Cass. pen., Sez. III, 23 marzo 2021, n. 11128 con commento di G. Amendola, Acque meteoriche e acque reflue industriali  www.osservatorioagromafie.it.

[iv] Si tratta di Corte Cass. pen., Sez. III, 30 ottobre 2013, n. 2867 con commento di C. Melzi d’Eril in questa Rivista, 2014, 5, pp. 545 ss. L’assenza di una definizione di “acque meteoriche di dilavamento” e la formulazione dell’art. 74, lett. h) D.Lgs. n. 152/2006 risultante dalla modifica apportata dal D.Lgs. n. 4/2008 aveva portato la Corte a ritenere impossibile l’assimilazione delle acque di dilavamento ai reflui industriali anche nel caso in cui le prime fossero venute a contatto con materiali o sostanze inquinanti connesse all’attività produttiva.

[v] Il richiamo è a Corte Cass. pen., Sez. III, 20 ottobre 2020, n. 6528.

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