Inquinamento acustico e poteri del giudice ordinario

20 Mag 2021 | giurisprudenza, civile

Di Elena Capone

Tribunale di Torino, Sez. II Civile – sentenza 15 marzo 2021 n. 1261, Giud. Musa

Tribunale di Palermo, Sez. II Civile – ordinanza 17 febbraio 2021, Pres. Di Marco, Rel. Sajeva

Pur sussistendo in capo al giudice ordinario il potere di ordinare alla Pubblica Amministrazione un obbligo positivo di facere, mediante l’adozione delle misure ritenute più idonee a ricondurre entro i limiti di tollerabilità l’inquinamento acustico proveniente dalla pubblica piazza, tale potere incontra un limite invalicabile dinanzi all’esercizio della discrezionalità dell’Ente pubblico nel governo del suo territorio. Il giudice ordinario non può intervenire per ricondurre a tollerabilità i rumori provenienti da un intero quartiere popolato da numerosi esercizi commerciali, poiché la riduzione degli orari di apertura o l’eventuale chiusura degli esercizi che non rispettano le prescrizioni imposte per la civile convivenza, deve essere preceduta da accertamenti puntuali presso ogni singolo locale di competenza del Comune.

Lo svolgimento di attività sportive e ricreative volte a realizzare l’interesse generale all’assistenza sociale presso una parrocchia ha pari rilevanza costituzionale rispetto alla posizione dei vicini contro i rumori intollerabili. È tuttavia necessario osservare una serie di prescrizioni di comportamento e, in definitiva, uniformare le dinamiche relazionali alla buona fede oggettiva. Nel regolamento di interessi richiesto dalle parti il giudice dovrà anche tenere conto del criterio, legale e sussidiario, del preuso del cortile (art. 844 c.c.), preesistente all’edificazione dell’immobile dei vicini e destinato fin dalla sua costituzione alla ricreazione dei giovani poveri che frequentano la parrocchia.

Le due pronunce oggetto del presente commento presentano profili di non scarso interesse in quanto, sebbene entrambe non definitive, consentono di confrontare il diverso atteggiarsi del potere del giudice ordinario in merito all’accertamento del superamento dei limiti di tollerabilità in tema di immissioni acustiche e all’accertamento delle conseguenti responsabilità, sia in termini di responsabilità omissive, che commissive, con particolare riferimento alla richiesta di condanna della controparte all’adozione delle specifiche misure considerate idonee a eliminare o a ricondurre nei limiti di tollerabilità le immissioni nocive, nonché per il risarcimento del danno.

Dal confronto delle due decisioni, emerge come il potere del giudice ordinario si estrinsechi in maniera differente a seconda che il giudizio sia instaurato contro soggetti privati o enti pubblici. Come noto infatti, nell’ordinare l’adozione delle adeguate misure volte a ricondurre a tollerabilità le molestie, e pur potendo condannare la Pubblica Amministrazione ad un preciso obbligo di facere, il giudice ordinario incontra un limite insormontabile nell’esercizio della discrezionalità da parte dell’ente pubblico nell’adozione delle scelte di governo del suo territorio.

Il primo caso che verrà esaminato è quello deciso dal Tribunale di Torino, nel quale i ricorrenti, tutti residenti o domiciliati nel quartiere di S., agendo in giudizio nei confronti del Comune, hanno rappresentato come negli ultimi quindici anni il quartiere dove risiedono fosse diventato il principale luogo di aggregazione della “movida” cittadina anche in conseguenza della indiscriminata liberalizzazione delle licenze per l’apertura di nuovi esercizi commerciali e l’installazione di dehors, con ampia diffusione dell’occupazione di suolo pubblico.

In corso di causa è stato evidenziato come il piano di classificazione acustica del Comune avesse assegnato ad alcuni isolati del quartiere in questione la classe III (aree di tipo misto), con un limite assoluto di immissione pari a 50dB, e a pochi altri la classe IV (aree ad intensa attività umana), con il limite di 55dB. A seguito di accertamenti da parte dell’ARPA e della Polizia Municipale, sollecitati dai numerosi esposti dei residenti che chiedevano l’intervento comunale per porre fine alla situazione di disagio, sono stati individuati nel 2013 almeno venti locali dove, soprattutto per gli schiamazzi dei clienti che sostavano per strada, i limiti di immissione sonora erano superati di circa 13/19,5 dB e le punte massime di rumorosità (da 65 a 74 dB) si registravano tra la mezzanotte e le due del mattino. Nel 2016 l’ARPA ha monitorato nuovamente l’inquinamento acustico della zona accertando nelle ore notturne il superamento dei limiti di immissione previsti persino per la classe V (riferita alle aree prevalentemente industriali) che costituisce il limite massimo di superamento previsto dalla legge.

La difesa dei ricorrenti ha dato atto che il Sindaco del Comune di T. è intervenuto negli anni tentando di ricondurre la situazione a tollerabilità attraverso l’adozione di alcune ordinanze volte a limitare la vendita di bevande alcoliche negli orari notturni, tali soluzioni, tuttavia, si sono rivelate totalmente inefficaci.

Nell’adire le vie giudiziali, con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., i ricorrenti lamentano la violazione dei diritti costituzionali alla salute, all’inviolabilità del domicilio e al godimento della proprietà, richiamando anche l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; si configura, inoltre, nel caso di specie una violazione rilevante ai sensi dell’art. 844 c.c., il quale vieta le immissioni nei fondi vicini di fumi, rumori o altre propagazioni simili che superino la normale tollerabilità. La norma civilistica, a detta degli esponenti, è applicabile anche nei confronti del Comune, configurandosi la responsabilità della P.A. anche per le immissioni provocate da terzi sul suolo pubblico; sussisterebbe pertanto la giurisdizione del Tribunale ordinario dato che la domanda non investe l’esercizio del potere autoritativo dell’ente pubblico, ma investe attività soggette al principio del neminem laedere, all’accertamento della cui violazione consegue la condanna ad un obbligo specifico e al risarcimento del danno.

Il Comune si è difeso eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo dal momento che quello che i ricorrenti lamentano è il mancato esercizio di poteri autoritativi, nonché il difetto della propria legittimazione passiva non sussistendo il nesso causale che lega l’elemento di disturbo alla condotta del Comune; la responsabilità infatti sarebbe da attribuire agli esercenti dei locali della zona, ai loro avventori e in generale a coloro che prendono parte alla movida.

Nel decidere la causa, il Giudice investito della questione ha rigettato l’eccezione in merito al difetto di giurisdizione sollevata dal Comune richiamando la recentissima ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 21993 del 12 ottobre 2021, con la quale è stato stabilito che «…In tema di immissioni acustiche provenienti da aree pubbliche, appartiene alla giurisdizione ordinaria la domanda, proposta dai cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della Pubblica Amministrazione a provvedere, con tutte le misure adeguate, all’eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali o non patrimoniali, patiti, atteso che l’inosservanza, da parte della Pubblica Amministrazione, delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e di prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al Giudice Ordinario non solo per conseguire la condanna della Pubblica Amministrazione al risarcimento dei danni, ma anche per ottenere la condanna a un ‘facere’, tale domanda non investendo scelte e atti amministrativi della Pubblica Amministrazione, ma un’attività soggetta al principio del “neminem laedere”».

Entrando nel merito della questione, il Tribunale ha quindi esaminato l’applicabilità alla fattispecie concreta dell’art. 844 c.c., esaminando in particolare se il Comune avesse fatto tutto quanto in suo potere al fine di ricondurre le immissioni acustiche entro i limiti di tollerabilità previsti per ciascuna zona, adottando idonee misure atte a contenere gli effetti nocivi della movida. Il Tribunale passa dunque all’indagine ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c. sulla sussistenza del nesso causale tra i danni patiti dai ricorrenti e le azioni o omissioni del Comune e richiama in proposito la Legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447/1995 nella quale sono individuate le specifiche competenze dei Comuni in merito all’adozione di regolamenti attuativi della legislazione regionale e nazionale, l’adozione di piani di risanamento acustico, nonché i poteri di controllo disciplinati dall’art. 14 della legge citata e dall’art. 9 che consente l’adozione di ordinanze contingibili e urgenti per intervenire, seppur temporaneamente, al fine di contenere o abbattere le immissioni moleste fino a inibire in maniera totale o parziale determinate attività che siano causa di tali molestie.

Il Giudice prosegue richiamando l’art. 44-bis del regolamento di polizia urbana del Comune, rubricato “Tutela della convivenza civile”, il quale prevede, nel caso di persistenza di eventi pregiudizievoli, il potere in capo al gestore dell’esercizio commerciale di intervenire al fine di evitare assembramenti che arrechino disturbo alla comunità adottando idonee misure contenitive fino a prevedere «… l’interruzione dell’attività nelle aree, esterne al locale, di cui l’esercente abbia la disponibilità in forza di un titolo idoneo…». L’ultimo comma della norma citata prevede infine che l’inerzia dei titolari degli esercizi «… può concorrere a configurare l’abuso del titolo previsto dall’art. 10, R.D. n. 773/1931, testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, ai fini della sospensione dell’autorizzazione, o dell’atto equipollente, di cui sia in possesso il titolare del pubblico esercizio. Nei casi più gravi, può esserne disposta la revoca». Sebbene nel caso specifico il Giudice investito della questione riconosca come il Comune non sia rimasto indifferente alle problematiche derivanti dalla movida, le misure concretamente adottate si sono rivelate insufficienti a ricondurre i rumori entro i limiti di tollerabilità, configurandosi dunque il nesso di causalità tra l’evento e il danno lamentato che consente di affermare la responsabilità del Comune ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c. per la violazione della norma di cui all’art. 844 c.c..

Analizzando i provvedimenti richiesti dai ricorrenti, il Tribunale, ribadendo il potere in capo al giudice ordinario di ordinare alla Pubblica Amministrazione un positivo facere mediante l’adozione delle misure ritenute più idonee, specifica altresì che tale potere trova i suoi limiti nelle scelte discrezionali proprie dell’Ente pubblico nel governo del suo territorio, come nel caso di specie. Nel caso in esame infatti ciò che si richiede è di ricondurre a tollerabilità i rumori provenienti da un intero quartiere popolato da numerosi esercizi commerciali, tuttavia l’eventuale chiusura degli esercizi che non rispettano le prescrizioni imposte per la civile convivenza deve essere preceduta da accertamenti puntuali presso ogni singolo locale.

In conclusione, il Giudice riconosce la responsabilità in capo al Comune per non essere intervenuto in maniera efficace mediante l’adozione di misure d’urgenza più incisive di quelle concretamente adottate, ma rigetta la domanda volta alla condanna del Comune alla cessazione immediata o alla riduzione entro i limiti di tollerabilità delle immissioni sonore nel quartiere non potendo intervenire in un ambito connotato da discrezionalità tecnica. Il Giudice, pertanto, alla responsabilità del Comune fa conseguire il solo risarcimento del danno, da calcolarsi in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., dal momento che i ricorrenti non hanno allegato alcuna compromissione della salute che possa configurare un danno biologico quantificabile nel suo preciso ammontare. Le conclusioni del Tribunale si inseriscono infatti nel solco del consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, richiamato nella motivazione della decisione, che ha affermato come in merito al pregiudizio non patrimoniale «…va data continuità all’indirizzo interpretativo di recente espresso in sede di legittimità, in forza del quale il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto a uniformarsi» (Cfr. Corte Cass., SS.UU., sentenza n. 2611/2017, ribadita da Corte Cass. nn. 10861/2018, 21504/2018 e 21544/2018).

L’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Palermo invece, si basa su presupposti differenti già solamente perché investe rapporti esclusivamente privatistici. Esso origina dal reclamo promosso nei confronti del regolamento di interessi pronunciato ad esito di un ricorso cautelare ai sensi dell’art. 700 c.p.c., promosso da alcuni privati cittadini nei confronti di una parrocchia ubicata nei pressi delle loro abitazioni, volto ad ottenere la cessazione o comunque la riduzione delle immissioni acustiche provenienti dal cortile della parrocchia, in occasione delle attività ludico ricreative che si svolgevano nell’oratorio senza limitazioni di giorno o orario.

Nel promuovere il reclamo la parrocchia ha lamentato che il provvedimento pronunciato in esito al ricorso cautelare fosse affetto dal vizio di extra petizione, fosse stato emanato in difetto dei presupposti richiesti dall’art. 700 cit. e il regolamento di interessi in esso dettato viziato da irragionevolezza perché eccessivamente compressivo dei diritti della reclamante in favore delle controparti.

Il Tribunale di Palermo, nel decidere il reclamo, conclude per il rigetto del primo dei motivi di impugnazione attraverso il richiamo del consolidato orientamento della Corte di Cassazione, per il quale il rimedio eventualmente suggerito dal ricorrente «non vincola il giudice […], ben potendo questi, in aggiunta alle statuizioni dirette alla rimozione della causa delle immissioni medesime, ordinare l’attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei ad eliminare il riprodursi, in futuro, della situazione pregiudizievole (fra le altre Cass., n. 20553/2017)», affermando che dall’analisi del tenore complessivo dell’atto introduttivo della prima fase cautelare, il petitum dell’azione spiegata dai residenti fosse quello di ottenere «tutti quei provvedimenti necessari per condurre entro i limiti di tollerabilità le immissioni denunciate».

In merito alla lamentata insussistenza dei presupposti per l’adozione del rimedio ex art. 700 c.p.c. il Tribunale rigetta anche tale eccezione affermando come l’azione cautelare in esame presupponga solamente l’accertamento circa l’intollerabilità, e quindi l’illiceità, del fenomeno immissivo lamentato, in quanto idoneo di per sé ad esporre a pericolo grave e irreparabile i beni apicali dei residenti alla salute, al riposo e all’inviolabilità del domicilio. Sul punto, infatti, il Tribunale investito del reclamo condivide il percorso motivazionale del Giudice della prima fase cautelare nella parte in cui ammette il giudizio complessivo sull’intollerabilità delle immissioni acustiche provenienti dall’oratorio della parrocchia, riscontrate dal CTU incaricato e dalle dichiarazioni rese dagli informatori sentiti sui fatti di causa. Viene invece ritenuto fondato l’ultimo motivo di reclamo poiché il regolamento di interessi predisposto dal giudice della prima fase cautelare, pur essendo volto ad apprestare una tutela piena ed effettiva ai diritti dei ricorrenti, «finisce però per comprimere irragionevolmente (art. 3 Cost.) le facoltà della reclamante senza tenere conto del criterio, legale e sussidiario, del preuso (art. 844) del cortile – preesistente…all’erezione dell’immobile dei resistenti e destinato fin dalla sua costituzione alla “ricreazione dei giovani poveri che frequentano la parrocchia”», realizzando così l’interesse generale all’assistenza sociale.

Il Tribunale di Palermo, in definitiva, ha dunque riconosciuto che lo svolgimento delle attività sportive e ricreative presso la parrocchia ha pari rilevanza costituzionale rispetto alla posizione dei vicini residenti contro i rumori intollerabili. È tuttavia necessario osservare una serie di prescrizioni di comportamento e, in definitiva, uniformare le dinamiche relazionali alla buona fede oggettiva dal momento che, come peraltro accertato dal CTU incaricato, le immissioni acustiche provenienti dalla parrocchia non potranno essere totalmente eliminate, ma solamente ricondotte entro le soglie della normale tollerabilità. In riforma dell’impugnata ordinanza il Tribunale di Palermo accoglie in parte qua il reclamo promosso dalla parrocchia, dettando quella che sarà la puntuale disciplina dell’uso del cortile parrocchiale, disponendo in merito ai giorni e agli orari in cui sarà consentito svolgere le attività ricreative produttive delle immissioni, al divieto di utilizzare impianti di amplificazione e alla regolazione degli impianti di illuminazione in modo che il fascio di luce non investa le abitazioni dei vicini.

Come emerge dall’esame delle due pronunce in commento, dunque, il giudice ordinario ha certamente il potere di intervenire ai sensi dell’art. 844 c.c. per disciplinare con un regolamento di interessi i rapporti tra le parti, anche condannando ad un obbligo di facere colui che agisce in violazione della norma al fine di ricondurre a tollerabilità le immissioni nocive propaganti dal fondo di sua proprietà, persino arrivando a vietare completamente l’attività fonte di disturbo. Tuttavia, tale potere incontra alcuni limiti: il primo è il limite del preuso richiamato dall’art. 844 c.c. per il quale si deve tenere in considerazione la priorità d’uso di un fondo rispetto ad un altro; il secondo si incontra nel divieto per il giudice ordinario di interferire con le materie in cui il potere della P.A. è connotato da discrezionalità, come nel caso del governo del territorio.

Per i testi delle sentenze cliccare sui pdf allegati.

Sentenza 1261_2021 del 15.03.2021 Trib. Torino

Trib Palermo II civ. ordinanza17 febbraio 2021

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Capone_Articolo RGA Online – Maggio 2021 visto rt

 

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