In tema di scarichi e autorizzazioni, i reflui provenienti da attività casearia non sono assimilabili a quelli domestici

04 Giu 2019 | giurisprudenza, penale

di Ginevra Ripa

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 12 aprile 2019, n. 16044 – Pres. Izzo – Rel. Ramacci – Ric. Rossi 

La Terza Sezione della Corte di Cassazione ha escluso che gli scarichi provenienti da attività casearia possano essere compresi nell’art. 101, comma 7, lettera b) D. Lgs. 152/2006 – che ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni assimila alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame. Restano pertanto soggetti alla normativa generale sugli scarichi.

La pronuncia trae origine da un procedimento a carico di un titolare di azienda agricola e proprietario di terreni il quale veniva condannato sia in primo sia in secondo grado per il reato di cui agli articoli 81 c.p. e 137, commi 1 e 2 D. Lgs. 152/2006, per avere installato e attivato, in assenza di autorizzazione, una tubazione interrata che collegava una vasca di raccolta delle acque reflue industriali provenienti dal laboratorio caseario della medesima azienda, nonché per avere superato i limiti tabellari previsti per le acque reflue industriali per una serie di parametri.

Nel ricorso il difensore dell’imputato deduceva, tra l’altro, la violazione dell’art. 101, comma 7, lettera b) D. Lgs. 152/2006, argomentando in relazione alla lettera della disposizione laddove, a differenza della fattispecie precedente, essa equipara – ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni – alle acque reflue domestiche le acque reflue “provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame” senza utilizzare locuzioni limitative del concetto di bestiame. Di conseguenza, quest’ultimo avrebbe dovuto correttamente intendersi in una accezione comune, ossia “animali i quali, principalmente con finalità di profitto, producono cibo, fibre tessili o vengono utilizzati per il lavoro” e l’attività casearia svolta dal ricorrente, in quanto correlata con quella di allevamento, avrebbe dovuto beneficiare della disciplina derogatoria di cui all’art. 101, comma 7 T.U.A.

La Suprema Corte, intervenendo sul punto, ha giudicato manifestamente infondato il motivo di ricorso, sulla base di considerazioni sistematiche relative ai criteri generali della disciplina degli scarichi così come descritti dal Legislatore proprio all’art. 101 T.U.A. In primo luogo, dopo aver richiamato la comune nozione di allevamento accolta nella giurisprudenza di legittimità, con la quale si intende l’attività di “custodire, far crescere ed opportunamente riprodurre animali in cattività, totale o parziale, per scopi produttivi o commerciali”, il Collegio ha posto a confronto la lettera b) del comma 7 con la successiva lettera c), ove è stabilita l’assimilabilità alle acque reflue domestiche dei reflui provenienti da imprese agricole o di allevamento “che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità”. Secondo la Corte, dunque, “solo a tali precise condizioni, che vanno dimostrate, assume rilievo, ai fini dell’assimilazione dei reflui, lo svolgimento di una attività accessoria a quella principale”.

Non è escluso a priori, pertanto, che la trasformazione casearia dei prodotti dell’allevamento del bestiame possa essere compresa nell’ambito dell’attività di allevamento; ciò può però avvenire soltanto a condizione (da dimostrarsi da parte di chi sostiene l’assimilazione) che la trasformazione e valorizzazione del prodotto siano effettuate utilizzando materia prima lavorata che deve pervenire in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui l’impresa disponga a qualsiasi titolo.

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