Impianti di trattamento delle acque reflue urbane e art. 137 TUA

15 Ott 2019 | giurisprudenza, civile, in evidenza 4

di Enrico Fassi 

Corte di Cassazione, Sez. III – 13 febbraio 2019 (dep. 4 giugno 2019), n. 24797 – Pres. Lapalorcia, Est. Corbo – ric. PM in proc. V. 

La sezione Terza della Cassazione conferma come agli impianti di trattamento delle acque reflue urbane si applichino – per ragioni sostanziali e sistematiche – gli stessi limiti tabellari previsti dall’art. 137, V, D.lgs. n. 152/2006 per gli impianti di trattamento dei reflui industriali, non potendo ai primi essere imposti ulteriori e più gravosi limiti al superamento dei quali riconnettere la responsabilità penale del gestore dell’impianto di trattamento.

Nel dichiarare infondato il ricorso presentato dall’ufficio procedente avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Messina, che aveva parzialmente annullato il precedente sequestro preventivo di un impianto di depurazione di acque sito in un Comune ricompreso nel circondario di tale A.G. sul presupposto della mancata integrazione della contravvenzione di cui all’art. 137, VI, D.Lgs. n. 152/2006, la Cassazione conferma l’estensione applicativa della disposizione incriminatrice de quo, pervenendo ad assimilare gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane a quelli concernenti i reflui industriali[i].

Il pubblico ministero messinese, infatti, nel ricorso presentato avanti la Suprema Corte aveva sostenuto la violazione di legge consistente nella erronea applicazione dell’art. 137, VI, D.Lgs. n. 152/2006, appunto riguardante il gestore di un impianto di trattamento di acque reflue urbane, sul presupposto per cui tale disposizione – richiamando il precedente quinto comma dell’art. 137 quanto al trattamento sanzionatorio[ii], alla tipologia delle sostanze indicate nella Tabella 5 dell’Allegato 5 al D.Lgs. n. 152/2006 nonché ai valori-limite indicati nella Tabella 3 dell’Allegato 5 del medesimo testo legislativo – laddove ritenuta in tutto parificabile alla fattispecie relativa agli impianti di trattamento industriali, come confermato dal richiamo effettuato alla Tabella 5 relativamente ai «metalli pesanti», sarebbe stata di fatto inapplicabile, proprio in considerazione della assenza di tale tipologia di sostanze nei reflui fognari di derivazione urbana.

A tale conclusione la Procura affianca quella relativa alla precedente previsione normativa riguardante l’art. 137, V, D.Lgs. n. 152/2006, come noto modificata dalla L. n. 36/2010, nella quale il reato menzionato risultava integrato in caso di mero superamento dei valori-limite di cui alla Tabella 3 dell’Allegato 5, ovvero in alternativa dal superamento dei limiti più restrittivi fissati dalla Regione o da altro ente in relazione alle sostanze indicate nella Tabella 5.

Nella sostanza, secondo la previgente disposizione, che costituiva peraltro trasposizione dell’art. 59 D.Lgs. n. 152/1999 (a sua volta modificato dal D.Lgs. n. 258/2000), erano sottoposti a sanzione penale gli scarichi che superavano i limiti tabellari fissati dalla Tabella 3 (nonché dalla Tabella 4 per gli scarichi al suolo), entrando in considerazione le sostanze di cui alla Tabella 5 unicamente laddove fissate in via più stringente dalle singole Regioni[iii].

Le aporie interpretative riguardanti tale formulazione legislativa, riverberatesi anche nella disciplina conseguente alla introduzione del D.Lgs. n. 152/2006, inducevano dunque il legislatore ad intervenire mediante la successiva L. n. 36/2010, che come sopra anticipato prevedeva un ridimensionamento della risposta sanzionatoria penale statuale, fissando la rilevanza penale dello scarico al superamento dei limiti tabellari per le sostanze indicate nella Tabella 5 dell’Allegato 5, e viceversa allargando lo spazio di operatività della sanzione amministrativa di cui all’art. 133 D.Lgs. n. 152/2006[iv].

Sulla base di tali considerazioni, nel proprio ricorso l’ufficio procedente riteneva sufficiente ai fini della integrazione della contravvenzione di cui all’art. 137, VI, D.Lgs. n. 152/2006, trasposta nel provvedimento di sequestro poi parzialmente annullato dal Tribunale del Riesame, il superamento dei valori-limite previsti nella citata Tabella 3 (ovvero più restrittivi fissati dalla Regione di riferimento o da altro ente competente), di fatto propugnando l’allargamento della risposta penale statuale con riferimento ai soli impianti di trattamento concernenti le acque reflue urbane.

La Cassazione, dopo una breve ricognizione della normativa esistente, giunge a considerare infondato il ricorso del pubblico ministero, ritenendo come la integrazione della contravvenzione di cui trattasi debba soggiacere agli stessi limiti di rilevanza penale indicati per la diversa – e contigua – ipotesi correlata allo scarico di acque reflue industriali.

Correttamente, infatti, il fulcro della disamina viene posto sul quesito relativo alla configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 137, VI, D.Lgs. n. 152/2006 laddove il gestore di un impianto di trattamento di reflui urbani, nella effettuazione dello scarico, superi i limiti previsti nella Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte Terza del D.Lgs. n. 152/2006, anche per sostanze diverse da quelle indicate nella Tabella 5 del già menzionato Allegato 5.

E la valutazione del Collegio si incanala nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, in tema di impianti di trattamento di acque reflue urbane, ebbe ad affermare come il superamento dei limiti fissati dalla Tabella 3 dell’Allegato 5 integrasse il reato di cui si discetta solo ove riguardante le specifiche sostanze indicate nella Tabella 5 del citato Allegato[v].

Del resto ed in primo luogo, secondo la Cassazione, risulta chiaro lo stesso dettato normativo, che riconnette l’attivazione della sanzione penale per lo scarico di reflui – sia essi urbani ovvero industriali – all’accertamento circa il superamento dei limiti di cui alla Tabella 3 dell’Allegato 5 e (solo) per le sostanze di cui alla Tabella 5, laddove il superamento dei valori-limite per altre sostanze unicamente indicate nella stessa Tabella 3 rientra nella diversa condotta di cui all’art. 133, I, D.Lgs. n. 152/2006 presidiata, con la clausola di riserva «salvo che il fatto costituisca reato e fuori dei casi sanzionati ai sensi dell’art. 29 quattuordecies, commi 2 e 3», con la sanzione amministrativa da € 3.000,00 ad € 30.000,00.

Come osservato, dunque, sarebbe la legge a graduare il disvalore del fatto a seconda della gravità della (in)osservanza della disciplina concernente le autorizzazioni allo scarico ed i limiti allo stesso imposti, prevedendo la sanzione penale soltanto per le ipotesi più gravi riguardanti lo scarico di sostanze ritenute pericolose[vi].

Le contravvenzioni di cui all’art. 137, V e VI, D.Lgs. n. 152/2006 costituirebbero infatti reati di pericolo presunto, le quali escluderebbero ogni valutazione della A.G. riguardo alla gravità, entità e ripetitività della condotta, la cui offensività sarebbe insita nella violazione del precetto da parte del soggetto munito della autorizzazione allo scarico e nel superamento dei limiti indicati nella Tabella 3 dell’Allegato 5 e per le sostanze di cui alla Tabella 5 del detto Allegato[vii], con la precisazione per cui potrebbe omettersene un compiuto accertamento in laboratorio soltanto laddove il superamento dei limiti appaia prima facie evidente all’organo accertatore[viii].

Allo stesso modo, sempre per delineare compiutamente le ipotesi contravvenzionali di cui trattasi, l’accertamento di uno scarico con superamento dei valori-limite di accettabilità all’uopo fissati dal D.Lgs. n. 152/2006 integrerebbe un reato istantaneo, ferma restando la possibile prova di una permanenza e continuatività della condotta del gestore dell’impianto determinante una alterazione dell’accettabilità ecologica del corpo idrico recettore dello scarico medesimo[ix].

Ulteriormente, in tema di ripartizione probatoria nell’accertamento circa la natura dello scarico ai fini della integrazione delle contravvenzioni di cui all’art. 137, V e VI, D.Lgs. n. 152/2006, sarebbe onere della pubblica accusa dimostrare la prevalenza di reflui assimilabili a quelli aventi natura industriale con superamento dei valori-soglia di cui alla Tabella 3 dell’Allegato 5, in mancanza della quale lo scarico potrebbe essere al più ritenuto di natura mista ed i relativi reflui qualificati come scarichi di acque urbane, con quanto conseguente in punto di qualificazione quale (mero) illecito amministrativo della condotta di scarico posta in essere senza il superamento dei valori per le specifiche sostanze di cui alla successiva Tabella 5[x], ed in presenza della quale viceversa ritenere sussistenti le ipotesi di reato di cui all’art. 137, V e VI, D.Lgs. n. 152/2006[xi].

La conclusione cennata rispetto alla incidenza dei valori-limite per lo scarico delle acque reflue industriali, ad avviso della Cassazione, risulta dunque da confermare anche nei casi di scarico delle acque reflue urbane.

E tale assunto, oltre al dato letterale fornito dall’art. 137, VI, D.Lgs. n. 152/2006 nel richiamo compiuto al precedente quinto comma della medesima disposizione, sarebbe in secondo luogo altresì desumibile da ragioni di ordine sistematico.

Partendo dalla citazione letterale della disposizione di cui all’art. 133, I, D.Lgs. n. 152/2006, come noto concernente l’illecito amministrativo, e passando per la diversa ipotesi riguardante le violazioni del titolo autorizzativo poste in essere dagli impianti in possesso di Autorizzazione Integrata Ambientale ex art. 29 quattuordecies, II e III, D.Lgs. n. 152/2006[xii] si evince come sarebbe lo stesso legislatore a prevedere, anche per i gestori di tali impianti autorizzati, che tutte le violazioni dei valori limite di emissione contenute nelle tabelle dell’Allegato 5 siano sanzionate in via amministrativa, riservando la risposta punitiva dello Stato soltanto a determinate condizioni indicate nel titolo autorizzativo e con la previsione dell’ammenda da € 5.000,00 ad € 26.000,00.

Per tale motivo, secondo la Corte, sarebbe incongruo ritenere come i gestori di impianti di trattamento di acque reflue urbane – i quali nell’esercizio della propria attività superino i valori-soglia di cui alla Tabella 3 dell’Allegato 5 per sostanze diverse da quelle indicate nella Tabella 5 del medesimo allegato – siano soggetti all’applicazione della disposizione di cui all’art. 137, VI, D.Lgs. n. 152/2006, nel richiamo effettuato quod poenam al precedente quinto comma, giacché disposizione più sfavorevole anche rispetto a quella applicabile ai titolari di Autorizzazione Integrata Ambientale.

Quanto sopra non genererebbe un vuoto normativo e sanzionatorio a livello di tutela apprestata al bene giuridico attenzionato, in quanto il sistema risulterebbe comunque garantito, come affermato dal Collegio, dalla previsione di una «consistente sanzione amministrativa».

La Cassazione dunque, secondo una logica improntata alla interpretazione letterale e sistematica della contravvenzione di cui all’art. 137, VI, D.Lgs. n. 152/2006, perviene alla declaratoria di infondatezza, con conseguente rigetto, del ricorso presentato dall’ufficio procedente messinese, confermando l’applicabilità alla fattispecie de quo dei limiti di rilevanza penale già tracciati per la attigua ipotesi riferibile agli impianti di trattamento dei reflui industriali.

La decisione in commento costituisce un condivisibile arresto volto a delimitare il ricorso alla sanzione penale in un delicato settore, quale quello riguardante le irregolarità concernenti gli impianti di trattamento delle acque reflue, riservando una prevalente operatività all’illecito amministrativo, al contempo relegando la attivazione del procedimento penale in capo al gestore dell’impianto alla extrema ratio (ossia nei casi di maggiore gravità ed al superamento dei valori-limite per determinate sostanze specificamente indicate, sovente indicative di particolare pericolosità per la matrice ambientale e per l’uomo), secondo una logica più generale alla quale è (o dovrebbe) essere improntato il complessivo sistema del diritto penale.

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato

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[i] Più in generale sulla tematica delle acque reflue, si veda GUCCIONE, La tutela delle acque, in Manuale Ambiente, Milano, 2016, p. 289 e ss.; RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Piacenza, 2017, p. 315 e ss.; AMENDOLA, Il diritto penale dell’ambiente, Roma, 2016, p. 103 e ss

[ii] Come noto, prevedendo la pena dell’arresto fino a due anni e l’ammenda da € 3.000,00 ad € 30.000,00.

[iii] Tale formulazione legislativa cagionava tuttavia diverse problematiche interpretative a livello giurisprudenziale, per le quali si rimanda a Cass., sez. III, 27 dicembre 2003, n. 48076, in Ambiente Consulenza e pratica per l’impresa, 2004, 7, p. 679 con nota di PRATI, La Cassazione ribalta l’orientamento in tema di superamento dei valori tabellari; Cass., sez. III, 1 ottobre 2008, n. 37279, in Ambiente e Sviluppo, 2009, 9, p. 803 con nota di MONTAGNA, Scarichi industriali e superamento dei limiti tabellari: quale la sanzione?; nonché infine AMENDOLA, Superamento dei limiti tabellari e scarichi industriail- La prima sentenza di cassazione dopo il testo unico ambientale, in www.lexambiente.it.

[iv] Così, Cass., sez. III, 3 novembre 2016, n. 46152.

[v] Sul punto, Cass., sez. III, 21 febbraio 2014, n 11884; nonché Cass., sez. III, 19 aprile 2011, n. 19753.

[vi] AMENDOLA, Il diritto penale dell’ambiente, cit., p. 117 e ss.

[vii] Si veda, Cass., sez. III, 22 maggio 2015, n. 21463.

[viii] In tal senso, Cass., sez. III, 18 ottobre 2006, n. 37575; Cass., sez. III, 7 giugno 2000, n. 9523.

[ix] Cass., sez. III, 22 gennaio 2014, n. 8688.

[x] Cass., sez. III, 26 novembre 2015, n. 1870.

[xi] In questo senso parzialmente discostandosi, in ragione della successiva introduzione delle modifiche normative di cui al D.Lgs. n. 36/2010, da Cass., sez. III, 3 novembre 2016, n. 46152.

[xii] Comunque non necessaria per la gestione di impianti di trattamento di acque reflue urbane; cfr. Nota Min. Ambiente 17 giugno 2015, prot. n. 12422.

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