Il Tar Potenza e il richiamo al “piu’ probabile che non” in materia ambientale (anche quando non e’ necessario)

01 Dic 2022 | giurisprudenza, amministrativo

di Andrea Gallarini

Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, Sezione Prima, 18 luglio 2022, n. 538 – Pres. Fabio Donadono, Est.  Pasquale Mastrantuono – Omissis (Avv. Grassi) c. Provincia di Potenza (Avv. Luglio), Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Regione Basilicata – ARPAB (non costituita), Azienda Sanitaria Locale di Potenza – ASP (non costituita), Regione Basilicata (non costituita), Comune di Marsico Nuovo (non costituito).

In materia ambientale il responsabile dell’inquinamento di un sito non deve essere individuato con la regola probatoria del processo penale della “certezza al di là di ogni ragionevole dubbio”, ma si basa sul criterio causale del “più probabile che non”.

La sentenza oggetto di commento rappresenta – a parere di chi scrive – la dimostrazione di quella deriva sulla quale, ormai da tempo, si è adagiata la magistratura giudicante: ci si riferisce, in questo caso, alla diffusa prassi dei tribunali, delle corti di appello e (addirittura) delle magistrature superiori di procedere alla compilazione delle motivazioni delle sentenze mediante semplici e ampi richiami di stralci di precedenti decisioni, con ciò riducendo la parte più importante della decisione di carattere giurisdizionale – quella in cui dovrebbero trovare spazio le ragioni logico-giuridiche della decisione – ad un semplice esercizio di stile, del tutto privo di utilità – in primis – per la parte soccombente e, indirettamente, per l’intera collettività, che proprio nel diritto pretorio dovrebbe poter individuare un utile strumento di interpretazione della normativa vigente.

Tale comportamento, già di per sé censurabile, lo è ancor più nel caso in cui – quale è quello che ci occupa – i precedenti risultino essere stati citati erroneamente.

Per comprendere le ragioni alla base di tale assunto occorre procedere con ordine, considerando – in primo luogo – i fatti oggetto della decisione del TAR Potenza, di cui si offre di seguito un brevissimo sunto.

Nel 2009 uno dei maggiori player nazionali in ambito energetico presenta un progetto per la realizzazione di un pozzo esplorativo nel Comune di Marsico Nuovo poi approvato nel 2012 dalla Regione Basilicata, la quale – in sede di autorizzazione – prescrive, di concerto con ARPAB, l’esecuzione di un Piano di Monitoraggio durante la fase di perforazione.

Nel 2015 l’ARPAB comunica alla Provincia di Potenza l’accertamento – nell’impianto di carotaggio – del superamento delle CSC per i suoli delle aree agricole (previste nell’Allegato 2 al D.M. n. 46/2019) in relazione ad alcune sostanze e, precisamente, agli idrocarburi pesanti (C>12), al Cobalto e al Tallio.

Con ordinanza ex art. 244 comma 2 D. Lgs. n. 152/2006, la Provincia di Potenza – richiamata una nutrita serie di precedenti provvedimenti – diffida l’operatore che ha in corso l’attività di perforazione a provvedere:

  • all’adozione di adeguate misure di prevenzione;
  • a “[…] svolgere nelle aree […] presso le quali l’ARPAB ha riscontrato superamenti delle CSC nei suoli, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento, predisponendo […] un apposito Piano di indagine […]”;
  • a ripristinare l’area indagata nel caso di accertato rispetto dei limiti previsti per le CSC;
  • ad avviare la procedura di cui all’art. 30 della L.R. n. 35/2018 ed un monitoraggio delle acque sotterranee.

Per quanto di interesse in questa sede, secondo quanto riportato in sentenza la Provincia di Potenza fonda la propria decisione sulla base della necessità di “[…] approfondire lo stato di qualità della matrice del suolo, in modo particolare la provenienza dei valori di Idrocarburi pesanti (C>12), ed, in applicazione della “regola probatoria del più probabile che non, riscontrabile anche in via presuntiva”, “è presumibile ipotizzare che i superamenti riscontrati dall’ARPAB, in particolare per il parametro Idrocarburi pesanti (C>12), possono discendere o da cattive operazioni legate all’esecuzione dei sondaggi da parte della ditta incaricata […] o da eventuali sorgenti non contaminanti non ancora determinate e che la stessa società […] non ha inteso approfondire […]”.

Il provvedimento della Provincia di Potenza viene impugnato avanti al TAR Basilicata dall’operatore economico, il quale affida le proprie censure a cinque differenti motivi:

  • violazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990 in ragione della mancata notifica della comunicazione di avvio del procedimento;
  • eccesso di potere per contraddittorietà in quanto la Provincia di Potenza se da un lato “[…] non aveva accertato, anche mediante indizi gravi, precisi e concordanti, la responsabilità dell’operatore economico e/o della ditta alla quale […] aveva affidato l’esecuzione dei sondaggi ed escluso la circostanza che i valori riscontrati potessero essere espressione del fondo naturale […]”, dall’altro, ha ritenuto – sulla base della regola probatoria del più probabile che non – di poter affermare la riconducibilità degli sforamenti delle CSC all’esecuzione dei sondaggi;
  • eccesso di potere per difetto di istruttoria, avendo la ricorrente dimostrato, richiamando numerosi studi e pubblicazioni, l’origine naturale dei valori rilevati con riferimento agli idrocarburi, al Cobalto e al Tallio;
  • violazione dell’art. 30 della L.R. n. 35/2018;
  • violazione del principio “chi inquina paga” in quanto la Provincia di Potenza non ha accertato “[…] sia le cattive operazioni legate all’esecuzione dei sondaggi da parte della ditta incaricata […] sia la sussistenza di “eventuali” sorgenti non contaminanti “non ancora determinate”, evidenziando che le suddette Concentrazioni Soglia di Contaminazione erano emerse durane la fase della perforazione, non avente alcun rischio per la salute umana e/o per l’ambiente […]”.

Nel gennaio 2021, a seguito di istanza di accesso agli atti, il ricorrente impugna lo stesso provvedimento con motivi aggiunti eccependo, in particolare, un vizio di illegittimità per eccesso di potere (per difetto di istruttoria e sviamento di potere) conseguente alla mancata considerazione da parte della Provincia di Potenza – in particolare – delle seguenti circostanze:

  1. l’avvenuta rilevazione, già prima del marzo 2015, della presenza naturale di Ferro, Manganese e Alluminio;
  2. l’annullamento, da parte della Corte d’Appello di Potenza, dell’ordinanza ingiunzione emessa ai sensi dell’art. 304 del D. Lgs. n. 152/2006.

Con sentenza pubblicata mediante deposito nel corso del mese di luglio 2022, il TAR Potenza rigetta il ricorso e i motivi aggiunti.

A sostegno dell’infondatezza dei motivi di doglianza sollevati dal ricorrente, il giudice amministrativo richiama le statuizioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato di cui alle sentenze n. 10 del 22 ottobre 2019 e n. 3 del 26 gennaio 2021.

Nella prima sentenza il Consiglio di Stato ha dato una duplice risposta positiva al quesito inerente (i) alla possibilità di ordinare la bonifica di siti inquinati in ragione di una contaminazione risalente ad un’epoca antecedente a quella in cui l’istituto della bonifica è stato introdotto all’interno dell’ordinamento giuridico, (ii) alla possibilità di emanare un ordine di bonifica nei confronti di una società – non responsabile dell’inquinamento – subentrata alla precedente società, responsabile della contaminazione, in seguito ad una fusione per incorporazione attuata antecedentemente alla riforma del diritto societario.

Nella sentenza n. 3 del gennaio 2021 il Consiglio di Stato ha, invece, esaminato la questione se il curatore fallimentare debba provvedere a smaltire i rifiuti abbandonati dalla società fallita sul terreno facente parte del patrimonio della stessa società fallita.

Dopo aver sintetizzato il contenuto di tali sentenze, il TAR Potenza richiama (ex multis) alcune recenti sentenze nelle quali il Consiglio di Stato ha ribadito il principio secondo il quale – in materia ambientale – il responsabile dell’inquinamento di un sito non deve essere individuato con la regola probatoria, caratteristica del processo penale, della certezza al di la di ogni ragionevole dubbio, essendo sufficiente il criterio causale del “più probabile che non” ai fini dell’accertamento del nesso eziologico.

Sulla base di tali presupposti, il giudice di prime cure conclude affermando che “[…] la Provincia di Potenza […] ha correttamente applicato la predetta regola causale del “più probabile che non”, in quanto in sede di istruttoria è emerso che la più verosimile causa dei superamenti riscontrati da ARPAB […] è stata determinata dalle cattive operazioni legate all’esecuzione dei sondaggi da parte della ditta incaricata [dell’esecuzione delle attività di perforazione, ndr], anche perché la ricorrente […] non ha dimostrato l’origine naturale del superamento delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione […]”.

Ebbene, le motivazioni poste dal TAR Potenza a sostegno della propria decisione suscitano numerose perplessità.

In primo luogo, appare del tutto fuorviante il richiamo ai precedenti del Consiglio di Stato sopra citati. Nel caso di specie – almeno sulla base di quanto è dato comprendere dall’esame della sentenza – non vi è stato né un problema di successione di soggetti nel tempo, né un problema di deposito irregolare di rifiuti.

La vicenda sulla quale il giudice amministrativo si è pronunciato appare – quanto alla specifica posizione dell’operatore economico ricorrente – abbastanza semplice, in parte certamente risolvibile senza la necessità di scomodare il principio generale secondo cui “chi inquina paga”.

Nella propria decisione il Tribunale specifica, infatti, che con il provvedimento impugnato la Provincia di Potenza ha chiesto, tra le altre cose, l’adozione di “adeguate misure di prevenzione”, le quali – come noto – si differenziano nettamente, quantomeno sul piano formale, rispetto alle misure di messa in sicurezza di emergenza e alle attività di bonifica.

Se le ultime due tipologie di intervento – in quanto rette dal principio “chi inquina paga” – possono essere poste a carico del solo soggetto responsabile della contaminazione (salvo dover ricordare, in questa sede, sia l’orientamento giurisprudenziale che ritiene estensibile l’applicazione della MISE anche al proprietario incolpevole, sia il diverso orientamento che – in casi particolari – addossa a quest’ultimo le opere di bonifica sulla base dell’istituto della negotiorum gestio), le misure di prevenzione possono certamente essere richieste anche al proprietario incolpevole. La possibilità di addossare, in capo a quest’ultimo, l’obbligo di procedere all’adozione delle c.d. misure di prevenzione trova fondamento, in primo luogo, nella stessa normativa di settore. Infatti, l’art. 245 del D.lgs. n. 152/2006 prevede espressamente che – salvi in ogni caso gli obblighi del responsabile dell’inquinamento – il proprietario o il gestore di un’area che rilevi il superamento o il pericolo di un superamento delle CSC debbano attuare le iniziative necessarie a contrastare una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente.

Non vi era, quindi, a parere di chi scrive, alcuna necessità per il Tribunale Amministrativo di richiamare i precedenti del Consiglio di Stato ai fini del rigetto del ricorso promosso dall’operatore economico.

Ciò posto, la decisione qui in commento presta il fianco ad una ulteriore critica.

Infatti, a latere del richiamo – come detto, inconferente – dei due precedenti di Palazzo Spada sopra citati, il TAR Potenza ha concluso per la legittimità del provvedimento impugnato alla luce del generale principio che regola lo standard probatorio in ambito civile.

Se, infatti, nell’ambito del processo penale la regola probatoria è quella dalla “certezza al di la di ogni ragionevole dubbio”, in sede civile è sufficiente il diverso criterio del “[…] più probabile che non, ai sensi del quale risulta sufficiente l’accertamento del nesso eziologico, quando, anche mediante le presunzioni, è più probabile della sua negazione […]”.

Secondo la giurisprudenza pressoché unanime tale regola risulta, peraltro, valida anche ai fini della applicazione del principio “chi inquina paga” e, quindi, ai fini della individuazione del soggetto tenuto all’esecuzione delle attività di bonifica.

Proprio sulla base di tale criterio, il giudice amministrativo ha, quindi, concluso affermando che “[…] la Provincia di Potenza con l’adozione del provvedimento impugnato ha correttamente applicato la predetta regola causale del “più probabile che non”, in quanto in sede di istruttoria è emerso che la più verosimile causa dei superamenti riscontrati da ARPAB, in particolare per il parametro Idrocarburi pesanti (C>12), è stata determinata dalle cattive operazioni legate all’esecuzione dei sondaggi da parte della ditta incaricata […] anche perché la ricorrente […] non ha dimostrato l’origine naturale del superamento delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione […]”.

Ebbene, se non si discute in relazione alla necessaria applicazione della regola del “più probabile che non” anche per ciò che concerne la responsabilità ambientale per lo sforamento delle concentrazioni soglia di contaminazione, nel caso che ci occupa sorgono alcuni dubbi in relazione alla corretta applicazione di tale criterio rispetto alla decisione finale.

Leggendo la sentenza risulta, infatti, chiaro come il Tribunale abbia sostanzialmente fondato la propria decisione su una sorta di doppia presunzione, violando quindi il divieto della paesumptio de praesumpto, o – comunque – abbia in qualche modo “forzato” l’applicazione di tale criterio ai fini della possibilità di addossare in ogni caso l’addebito in capo alla ricorrente.

Il TAR ha, infatti, concluso – sulla base di una prima presunzione – per la riconducibilità degli sforamenti delle CSC alle attività di perforazione in corso di svolgimento presso il sito. Se tale affermazione – pur a fronte della indicazione, da parte della stessa ricorrente, di possibili altre cause – è di per sé certamente legittima (proprio alla luce del criterio del “più probabile che non”), lo stesso non può dirsi rispetto alla decisione del giudice di addossare ogni responsabilità in capo alla ricorrente pur essendo quest’ultima solo committente (rispetto alle medesime attività di perforazione).

Proprio in questa doppia conclusione risiede allora l’erroneità del ragionamento svolto dal Tribunale, il quale prima ha (legittimamente) presunto che tra tutte le possibili cause degli sforamenti quella cui dare rilevanza fosse proprio lo svolgimento delle operazioni di perforazione e poi ha ulteriormente presunto – senza offrire alcuna motivazione in tal senso – che l’addebito fosse riconducibile alla committente e non all’impresa appaltatrice delle attività di perforazione.

Sotto questo profilo la decisione finale stride, peraltro, con quanto precisato dallo stesso giudice amministrativo in sentenza, nella quale si legge – infatti – che “[…] in sede di istruttoria è emerso che la più verosimile causa dei superamenti riscontrati dall’ARPAB […] è stata determinata dalle cattive operazioni legate all’esecuzione dei sondaggi da parte della ditta incaricata […]”.

In conclusione, nel caso di specie, se può dirsi certamente legittima la diffida rispetto all’adozione delle misure di prevenzione – ciò a prescindere dall’applicazione del principio “chi inquina paga” – dubbi sorgono rispetto alla richiesta di svolgimento di una indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento, che – ai sensi dell’art. 242 del D. lgs. n. 152/2006 – spetta unicamente al soggetto responsabile dell’inquinamento.

In relazione a tale ultimo profilo, infatti, da quanto riportato in sentenza sembra che il (Tribunale limitandosi al semplice richiamo di precedenti non calzanti rispetto al caso concreto) abbia omesso di indagare il vero punto della questione, ovverosia se – pur a fronte di un errore di esecuzione da parte dell’appaltatore e in assenza di elementi dai quali poter desumere una ingerenza della committente nell’esecuzione dello stesso appalto – possa essere automaticamente affermata una responsabilità in capo al proprietario del sito.

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Commento TAR Basilicata 538.2022

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

www.giustizia-amministrativa.it

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