Il TAR Lombardia applica i principi in tema di bonifica affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

18 Feb 2020 | giurisprudenza, amministrativo

di Paolo Roncelli 

T.A.R. LOMBARDIA, Milano, Sez. III – 2 dicembre 2019, n. 2562 – Pres. Di Benedetto, Est. Cozzi – P.I. S.p.A. in liquidazione (Avv.ti Filippo Brunetti e Maria Buquicchio) c. Provincia di Pavia (Avv.ti Silvia Tognella e Silvia Dabusti) e nei confronti di N. S.p.A., N. C. S.p.A. in liquidazione/concordato preventivo, S. I. C. S.r.l. in liquidazione, Comune di Pavia (non costituiti)

Per accertare la sussistenza di un nesso di causalità fra l’attività esercitata dal presunto responsabile dell’inquinamento e il danno ambientale riscontrato in un’area può farsi ricorso, oltre che alle prove dirette, alle presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c., potendosi altresì applicare la regola del “più probabile che non”, secondo cui per affermare il nesso tra causa ed evento è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà. Il soggetto individuato come responsabile sulla base di un tale ragionamento presuntivo e che voglia contrastarlo non può limitarsi a ventilare il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, ma deve fornire specifiche prove idonee a dimostrare la reale dinamica degli avvenimenti, indicando a quale altro determinato soggetto debba addebitarsi la condotta causativa della contaminazione.

La normativa contenuta nell’art. 17 del D.Lgs. 22/1997 e negli artt. 239 e segg. del D.Lgs. 152/2006 non ha introdotto una nuova forma di illecito, ma si è limitata a regolare diversamente le conseguenze dell’illecito ambientale – rientrante nell’illecito civile di cui agli artt. 2043 e segg. c.c. e già disciplinato dall’art. 18, comma 8, della L. 349/1986 – dando prevalenza al rimedio del risarcimento in forma specifica (bonifica e messa in sicurezza) rispetto a quello per equivalente. Pertanto, i danni ambientali provocati prima dell’entrata in vigore del citato art. 17 hanno comunque determinato, in virtù della normativa generale di cui agli artt. 2043 e segg. c.c., la nascita dell’obbligo di porvi rimedio, obbligo definito nei menzionati artt. 239 e segg., applicabili anche con riferimento alle condotte poste in essere prima della loro entrata in vigore, stante il carattere permanente dell’illecito.

Gli eventuali obblighi di porre rimedio all’inquinamento gravanti su una società incorporata si trasmettono alla società incorporante per effetto dell’avvenuta incorporazione ex art. 2504-bis, comma 1 c.c. anche prima delle modifiche alla predetta norma introdotte dalla riforma del diritto societario.

Con la sentenza in esame il TAR Lombardia ha affrontato tre rilevanti questioni in tema di obblighi di bonifica: (i) la questione dell’accertamento della sussistenza di un nesso di causalità tra l’attività esercitata dal presunto responsabile ed il danno ambientale riscontrato in un’area mediante ricorso anche alle presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.; (ii) la questione della sussistenza dell’obbligo di porre rimedio ai danni ambientali provocati anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997; e (iii) la questione dell’obbligo della società incorporante di porre rimedio all’inquinamento provocato dalla società incorporata.

Nel caso di specie la Provincia di Pavia aveva emesso un’ordinanza con cui aveva individuato, quali responsabili del potenziale inquinamento delle acque sotterranee situate al di sotto di un’area comprendente diversi siti industriali dismessi, due società cui aveva ordinato di provvedere agli adempimenti di cui al D.Lgs. 152/2006. Una delle due società impugnava la predetta ordinanza, sostenendo che l’Amministrazione avrebbe condotto indagini carenti imputandole la responsabilità della contaminazione per il solo fatto di essere succeduta ad altra società che in passato aveva svolto la propria attività sull’area interessata, senza considerare che in essa avevano operato nel tempo diversi soggetti e senza esplicitare le ragioni che avrebbero consentito di collegare tale attività alla contaminazione stessa.

In proposito il T.A.R. adito ha precisato che per affermare la sussistenza di una responsabilità per inquinamento occorre accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività esercitata dal presunto responsabile ed il danno ambientale riscontrato. A tal fine può farsi ricorso, oltre che alle prove dirette, anche alle presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c., trovando applicazione in particolare, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza amministrativa, non l’impostazione penalistica incentrata sul superamento del “ragionevole dubbio”, bensì il canone civilistico del “più probabile che non”i. Pertanto, per ritenere sussistente il predetto nesso causale non occorre raggiungere un livello di probabilità prossimo ad uno (cioè la certezza), ma è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metàii. Quanto sopra risulta confermato anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che ha ritenuto altresì che l’autorità competente debba disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alle sue presunzioniiii.

Il T.A.R. ha poi ulteriormente specificato che il soggetto che risulti responsabile sulla base di un ragionamento presuntivo come sopra formulato e che voglia contrastarlo non può limitarsi a dedurre genericamente un’ipotetica responsabilità di terzi (come avvenuto nella fattispecie in esame), ma deve fornire prove idonee a dimostrare la dinamica degli avvenimenti, indicando espressamente a chi debba addebitarsi la condotta causativa della contaminazioneiv. Similmente, qualora, come nel caso di specie, il predetto soggetto lamenti una carenza delle indagini, lo stesso è tenuto a dimostrare ciò anche attraverso la produzione di una perizia di parte (cosa che la società ricorrente ometteva di fare), non potendosi richiedere che vi si supplisca con una consulenza tecnica d’ufficio: quest’ultima, infatti, ha l’unico fine di fornire al giudice l’ausilio necessario per apprezzare correttamente le prove dedotte dalle parti e non può essere disposta per sopperire ad una carenza probatoria della parte oneratav.

Nella fattispecie in esame, per l’appunto, a fronte delle analisi approfondite effettuate dalla Provincia di Pavia per individuare la fonte dell’inquinamento e i soggetti responsabili, la ricorrente si era invece limitata a effettuare delle mere allegazioni senza adeguatamente dimostrarle, con la conseguenza che le stesse non potevano ritenersi idonee a contrastare le risultanze delle indagini svolte dall’amministrazione.

Il TAR ha poi affrontato la questione di stabilire se, a fronte di un inquinamento provocato prima dell’entrata in vigore dell’art. 17 del D.Lgs. 22/1997, si possa ritenere sussistente l’obbligo di bonifica o messa in sicurezza dei siti inquinati introdotto da detta norma. Secondo la società ricorrente, infatti, la responsabilità dell’inquinamento le sarebbe stata attribuita per aver essa incorporato un’altra società che aveva svolto attività nell’area in questione, senza tuttavia considerare che la fusione per incorporazione aveva determinato l’estinzione della società incorporata e che comunque quest’ultima, avendo cessato di operare prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 22/1997, neppure poteva ritenersi tenuta a porre rimedio all’inquinamento.

Riguardo a tali aspetti il T.A.R. ha in primo luogo precisato che nel caso di specie vi era una diretta responsabilità della ricorrente, che non discendeva (o quanto meno non solo) dall’avvenuta incorporazione di altra società che aveva svolto attività (peraltro marginale) nell’area in questione, bensì soprattutto dall’aver la ricorrente stessa ivi direttamente esercitato (seppur con diversa denominazione) un’attività industriale inquinante.

Ciò detto, in relazione al fatto che detta attività sia stata ipoteticamente esercitata prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 22/1997, il T.A.R. ha aderito all’orientamento da ultimo confermato dal Consiglio di Stato in adunanza plenariavi, applicando al caso di specie i principi statuiti in tale sede.

In particolare, i giudici amministrativi hanno osservato che con l’art. 17 del predetto D.Lgs. 22/1997 e con gli artt. 239 e segg. del D.Lgs. 152/2006 non si è inteso introdurre una nuova figura di illecito, ma solo regolare diversamente gli effetti dell’illecito ambientalevii. Quest’ultimo, infatti, rientra nella più ampia figura dell’illecito civile di cui agli artt. 2043 e segg. c.c. ed era già stato disciplinato con l’art. 18, comma 8, della L. 349/1986. Da tale impostazione consegue che anche i danni ambientali causati prima dell’entrata in vigore del citato art. 17 hanno comunque determinato l’insorgere, per effetto della normativa di cui agli artt. 2043 e segg. c.c., dell’obbligo di porvi rimedio; tale obbligo è disciplinato dagli artt. 239 e segg. del D.Lgs. 152/2006, applicabili anche in relazione alle condotte poste in essere prima della loro entrata in vigore, stante il carattere permanente dell’illecito in questioneviii. Pertanto, una volta verificato che nel caso di specie la società ricorrente ha determinato la contaminazione, essa ha l’obbligo di porvi rimedio, e ciò anche qualora la condotta inquinante sia stata posta in essere anteriormente all’entrata in vigore della normativa di cui al D.Lgs. 22/1997.

Rileva peraltro il T.A.R. che, in ogni caso, gli eventuali obblighi gravanti sulla società incorporata erano comunque stati trasmessi alla ricorrente medesima per effetto dell’incorporazione, e ciò in ossequio a quanto disposto dall’art. 2504-bis, comma 1, c.c., che anche prima della riforma del diritto societario prevedeva il trasferimento degli obblighi dalla incorporante alla incorporata. La predetta riforma, infatti, ha solo modificato il titolo di tale trasmissione, facendosi ora riferimento non più, come in precedenza, ad una sorta di successione mortis causa, ma ad una vera e propria prosecuzione di rapporti, come evidenziato anche recentemente dalla menzionata Adunanza Plenaria del Consiglio di Statoix. Quest’ultima ha anzi espressamente statuito che la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia subentrata all’inquinatore per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangono al momento dell’adozione del provvedimentox.

Adottando dunque i principi espressi dal citato Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, il T.A.R. Lombardia ha pertanto concluso che l’amministrazione aveva correttamente individuato i soggetti responsabili dell’inquinamento nell’area considerata, imponendo loro di effettuare i necessari interventi di bonifica o messa in sicurezza; e ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che detta area sia oggi di proprietà di terzi, posto che, diversamente ragionando, al proprietario mai potrebbe essere ordinato di porre rimedio all’inquinamento da lui provocato, in palese violazione del principio comunitario “chi inquina paga”.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

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NOTE:

i Cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121, che ha ribadito quanto segue: “per quanto riguarda l’individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento, la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta delle indicazioni derivanti dalla Corte di Giustizia UE, esclude l’applicabilità di un’impostazione ‘penalistica’ (incentrata sul superamento della soglia del ‘ragionevole dubbio’) trovando invece applicazione, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell’area ed inquinamento dell’area medesima, il canone civilistico del ‘più probabile che non’ (…)”. Cfr. anche T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 9 maggio 2019, n. 755, in questa Rivista, 2019, con nota di R. Gubello.

ii Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668, in Amb. & Svil., 2018, p. 102; Cons. Stato, Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885, in questa Rivista, 2010, p. 152 (con note di L. Frigerio e F. Peres), secondo cui “l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 cod. civ. (…) prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’‘id quod plerumque accidit che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori”.

iii Cfr. Corte di Giustizia UE, Grande Sez., 9 marzo 2010, C-378/08, in questa Rivista, 2010, p. 564 (con nota di A. L. De Cesaris), secondo cui sono indizi plausibili “la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato”.

iv Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121, in …, secondo cui “il soggetto individuato come responsabile (…) deve provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento”.

v Cfr. T.A.R. Lombardia, Sez. III, 2 settembre 2019, n. 1940, secondo cui “né si può ritenere che all’inerzia del ricorrente nel dedurre elementi di prova possa sopperire il giudice con la consulenza tecnica d’ufficio (…)”; cfr. altresì T.A.R. Campania, Sez. VII, 5 agosto 2015, n. 4195, secondo cui le consulenze tecniche d’ufficio sono possibili solo per “appurare se il criterio tecnico concretamente valorizzato in sede procedimentale risulti o meno attendibile”.

vi Cfr. Cons. Stato, Ad.  Plen., 22 ottobre 2019, n. 10. Nello stesso senso si era già espresso di recente anche lo stesso T.A.R. Lombardia (Milano, Sez. III, 9 aprile 2019, n. 794, in questa Rivista, 2019, con nota di E. Capone).

vii Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2019, n. 10, che ha stabilito che “anche prima che nell’ordinamento giuridico venisse introdotta la bonifica, con il più volte citato art. 17 D.Lgs. n. 22 del 1997, l’inquinamento ambientale era considerato un fatto illecito”.

viii Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2019, n. 10, che ha statuito che “il danno all’ambiente è inquadrabile nella fattispecie generale di illecito civile ex art. 2043 cod. civ. (…) la sua natura di illecito permanente consente di ritenere il relativo responsabile soggetto agli obblighi, risarcitori ed in primis di reintegrazione o ripristino dello stato dei luoghi, da esso derivanti”.

ix Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2019, n. 10, secondo cui l’art. 2504-bis, comma 1, c.c. “include espressamente nella vicenda traslativa in questione ‘gli obblighi delle società estinte’, ovvero di quelle incorporate (analoga formulazione reca peraltro la medesima diposizione dopo la riforma del diritto societario, con la sola differenza che in luogo delle società estinte si fa riferimento alle ‘società partecipanti alla fusione’ e al fatto che in tutti i rapporti giuridici di queste ultime, anche quelli processuali, vi è una ‘prosecuzione’ dell’incorporante)”.

x Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2019, n. 10, che osserva quanto segue: “allorché la situazione di danno all’ambiente si protragga in un arco di tempo in cui per effetto della successione di norme di legge al rimedio risarcitorio si aggiunga quello della bonifica, nessun ostacolo di ordine giuridico è ravvisabile ad applicare quest’ultima ad un soggetto che, pur non avendo commesso la condotta fonte del danno, sia nondimeno subentrato a quest’ultimo”.

 

 

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