Il regime intertemporale della “oblazione amministrativa ambientale”

14 Dic 2020 | giurisprudenza, corte costituzionale

di Roberta Mantegazza

CORTE COSTITUZIONALE – 13 novembre 2020 n. 238 (pubblicazione in G.U. 18.11.2020) – Pres. Morelli, Rel. Amoroso  

L’art. 318-octies cod. ambiente, nella parte in cui prevede che la causa estintiva contemplata dal precedente art. 318-septies non si applichi ai procedimenti penali per i quali sia stata esercitata l’azione penale alla data di entrata in vigore della Parte Sesta-bis del medesimo codice, non si pone in contrasto con l’art. 3 Cost.

  1. Con la sentenza in commento, la Corte Costituzionale è stata chiamata ad esprimersi sulla legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 318 octies D.Lgs. n. 152/2006, che regola il regime intertemporale della speciale procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali disciplinata dagli artt. 318 bis e ss. del T.U. Ambiente, nella parte in cui ne esclude l’applicazione ai procedimenti penali in corso alla data di entrata in vigore della Parte Sesta bis, introdotta dall’art. 1 comma 9 L. 22 maggio 2015, n. 68.

L’art. 318 octies (“Norme di coordinamento e transitorie”) stabilisce, infatti, che “le norme della presente parte non si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima parte”, introducendo un’importante limitazione oggettiva all’accesso alla procedura di favore.

Per meglio comprendere i termini della censura di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Marsala, si deve procedere ad una breve disamina dell’istituto in parola; tralasciando i numerosi dubbi interpretativi via via sollevati sulla sua applicazione[1], basti per il momento evidenziare che la procedura estintiva prevista dalla Parte Sesta bis del T.U.[2] consente, con modalità analoghe a quelle già sperimentate in materia di sicurezza ed igiene del lavoro (D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758[3]), di pervenire alla definizione delle contravvenzioni sanzionate dal D.Lgs. n. 152/2006[4].

Si prevede in particolare un sistema di prescrizioni[5], impartite dall’organo di vigilanza[6] (oppure direttamente dalla polizia giudiziaria), finalizzate alla eliminazione della contravvenzione accertata, con le quali – “entro un termine non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario”, fissato nella prescrizione stessa – si giunge ad un sostanziale “ripristino” della situazione conforme a diritto[7].

Il meccanismo di reintegrazione dell’offesa da parte del contravventore si attua attraverso una “contro-condotta[8], rispetto a quella penalmente rilevante, volta a neutralizzare l’offesa arrecata al bene giuridico tutelato; in questo senso, la regolarizzazione evoca lo schema del “ravvedimento operoso” (pur “involontario”), che tuttavia può essere attuato per le sole ipotesi contravvenzionali del T.U.A. che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto ed attuale[9] alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette[10].

L’ambito applicativo della procedura così delineato fa pertanto discendere, in capo all’organo di vigilanza, un onere interpretativo sconosciuto in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro: si tratta, come si dirà, di una delle maggiori differenze tra le due discipline estintive (quella delle contravvenzioni in materia antinfortunistica e quella delle violazioni ambientali), che comporta anche importanti conseguenze in tema di “obbligatorietà” o meno della procedura estintiva di cui trattasi.

Infatti, mentre, nella disciplina del D.Lgs. n. 758/1994 le contravvenzioni suscettibili di estinzione agevolata sono precisamente individuabili[11], l’art. 318 bis D.Lgs. n. 152/2006, richiamando alla mente – con la formulazione “pericolo attuale e concreto di danno” – la complessa distinzione dogmatica tra reati di pericolo astratto e concreto, rimette di fatto alla polizia giudiziaria e agli organi di vigilanza una “valutazione prognostica sul grado di probabilità, possibilità o certezza che la situazione sia idonea a provocare nell’attualità un danno[12].

Una volta impartita la prescrizione, l’organo accertatore è poi chiamato a controllarne l’effettivo adempimento, verificando l’eliminazione della violazione secondo le modalità impartite: se la verifica dà esito positivo, il contravventore viene ammesso al pagamento, entro trenta giorni, di una somma pari ad un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione accertata, che determina l’estinzione del reato (art. 318 septies D.Lgs. n. 152/2006).

La procedura descritta si pone, nella sostanza, come alternativa alla “classica” oblazione prevista dall’art. 162 bis c.p., per quanto più vantaggiosa, quanto meno in termini di importi da versare ai fini dell’estinzione del reato.

Sotto il profilo “processuale”, invece, si prevede che, parallelamente alla indicazione della prescrizione da adempiere, l’organo di controllo trasmetta comunque la notizia di reato al Pubblico Ministero per l’iscrizione del procedimento (art. 318 ter), che tuttavia resta sospeso sino alla ricezione della comunicazione dell’organo stesso sull’adempimento delle prescrizioni (artt. 318 sexies e 318 quater): il pagamento dell’oblazione cui dovesse essere ammesso il contravventore porterà, infine, alla archiviazione del procedimento penale per estinzione della contravvenzione.

In tale ottica, la ratio del nuovo istituto si muove su una duplice direttrice: attuare, da un lato, una strategia politico-criminale volta alla effettività della tutela ambientale grazie al ripristino delle condizioni ambientali attraverso l’adempimento della prescrizione, e dall’altro esigenze deflattive del procedimento penale; da qui, la centralità delle indagini preliminari quale momento nel quale viene accertata la violazione e, perciò, luogo naturale di attivazione della procedura speciale regolata dalla Parte sesta bis del D.Lgs. n. 152/2006[13].

1.1. Ad avviso del Giudice rimettente, la scelta del legislatore di precludere l’accesso alla causa estintiva del reato a tutti gli imputati che, pur in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla norma, si trovino – al momento della sua entrata in vigore – in una fase processuale avanzata, finisce, ingiustificatamente, per ledere il principio di retroattività della legge penale più favorevole di cui all’art. 2 comma 4 c.p.

Infatti, si afferma, l’art. 318 octies ed il sistema normativo sul quale lo stesso poggia, cela una “doppia natura, sostanziale e processuale, risolvendosi l’adempimento delle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza quale causa estintiva del reato e come modulo di definizione alternativa del processo[14]: è in ragione di tale “natura mista” che vengono sollevati dubbi sulla compatibilità del regime transitorio della disciplina con l’art. 3 Cost.

L’irretroattività del novum normativo più favorevole, inciderebbe, in altri termini, oltre che su profili processuali, per i quali trova correttamente applicazione il principio del tempus regit actum, anche su aspetti sostanziali, avuto riguardo proprio alla causa estintiva del reato ed, in generale, alle conseguenze sanzionatorie delle contravvenzioni ambientali regolate dalla Parte Sesta bis del T.U. Ambiente.

Sarebbe, in tale ottica, evidente la portata derogatoria dell’art. 318 octies rispetto al principio di tendenziale retroattività della norma favorevole sopravvenuta[15].

Si valuta, così, irragionevole (e quindi ingiustificato) un oggettivo differente trattamento sostanziale-sanzionatorio di soggetti che, pur versando nelle medesime condizioni “sostanziali”, si trovino in diversi momenti del processo penale: pur nell’esercizio di un ampio potere normativo e della discrezionalità del legislatore, la descritta preclusione lederebbe, dunque, in modo arbitrario il principio di retroattività della lex mitior, incidendo in peius sui diritti e principi di difesa e di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

L’arbitrarietà descritta è da correlarsi, infatti, al mero discrimen temporale dell’incedere processuale, che viene individuato dal giudice remittente nell’esercizio dell’azione penale, quale limite ultimo oltre il quale si esclude l’accesso alla procedura estintiva.

  1. La Corte costituzionale, definita la questione come rilevante, è entrata nel merito della censura sollevata, ritenendola tuttavia non fondata in quanto “pienamente ragionevole” la scelta di non applicare il modello ingiuntivo-prescrizionale ai procedimenti in relazione ai quali sia già stata esercitata l’azione penale alla data di entrata in vigore della disposizione.

La decisione è frutto di un attento bilanciamento delle “spinte” in gioco: da un lato, il meccanismo premiale-ripristinatorio e dall’altro l’effetto deflattivo correlato alla definizione del procedimento in “sede amministrativa”, che evita la celebrazione del processo penale destinato a chiudersi con il decreto di archiviazione nel momento in cui le prescrizioni siano adempiute ed il pagamento effettuato.

Per compiersi tale finalità deflazionistica, ritiene la Consulta, è necessario che la procedura premiale si concretizzi entro un determinato “tempo” processuale, oltre il quale si assisterebbe invece ad una sorta di indebita regressione del giudizio alla fase delle indagini preliminari.

2.1.  Per giungere a tale conclusione, la Corte ha, in prima battuta, inquadrato normativamente la procedura speciale di estinzione delle contravvenzioni ambientali ed ha condiviso la natura almeno parzialmente sostanziale dell’art. 318 octies D.Lgs. n. 152/2006 offerta dal giudice rimettente.

Da subito, la Corte ha infatti confermato che “le (…) disposizioni sulla cosiddetta oblazione amministrativa ambientale, in quanto consentono l’estinzione del reato prima che il processo abbia inizio con l’esercizio dell’azione penale, hanno anche una chiara valenza sostanziale, oltre che processuale, e costituiscono quindi disposizioni più favorevoli al reo, rilevanti nel regime ordinario della successione delle leggi penali nel tempo (art. 2, quarto comma, cod. pen.)”.

Il passaggio, oltre che porre le basi per il successivo scrutinio di legittimità e confermare, al contempo, la rilevanza della questione, appare di interesse nella misura in cui incidentalmente individua il discrimen “temporale” di applicabilità della Parte Sesta bis nell’avvenuto esercizio (o meno) dell’azione penale al momento della entrata in vigore della norma.

Il punto appare cruciale.

L’Avvocatura dello Stato intervenuta in udienza aveva, infatti, sollevato perplessità rispetto alla interpretazione stessa dell’espressione “procedimenti in corso”: secondo la formulazione letterale della norma, afferma l’Avvocatura, è l’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., e non l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero, a segnare il confine temporale della normativa transitoria.

A fronte di tale interpretazione restrittiva e letterale, la Consulta ha invece precisato come il giudice rimettente, plausibilmente, abbia ritenuto che la formulazione “procedimenti in corso” faccia riferimento ai processi già iniziati, sì che la nuova normativa trova effettivamente applicazione anche ai procedimenti pendenti nella fase delle indagini preliminari alla data di entrata in vigore della Parte sesta bis del T.U. ambiente, in relazione ai quali non è ancora stata esercitata l’azione penale.

Secondo la Corte costituzionale, infatti, il Giudice rimettente ha così fornito, correttamente, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma: la precisazione, apparentemente incidentale, costituisce in realtà le fondamenta sulle quali è stata costruita la valutazione di compatibilità costituzionale della norma; infatti, a ben vedere, ciò sta a significare che interpretando invece la locuzione in termini restrittivi, la previsione di escludere dalla procedura estintiva i procedimenti penali (solo perché) già iscritti ex art. 335 c.p.p. si sarebbe posta in contrasto con la Carta costituzionale.

Questo passaggio argomentativo fornisce, in altri termini, la misura del bilanciamento che è stato successivamente adottato dalla Consulta e che ha condotto, appunto, alla valutazione di compatibilità costituzionale dell’art. 318 octies e della scelta del legislatore di escludere i procedimenti nei quali fosse già stata esercitata l’azione penale.

2.2. Vediamo, quindi, come la Corte Costituzionale ha delineato il menzionato bilanciamento, dapprima ripercorrendo gli approdi consolidati della sua giurisprudenza in relazione alla valenza costituzionale del regime intertemporale della norma penale più favorevole.

La natura “sostanziale” della c.d. oblazione amministrativa ambientale chiama in causa il principio di retroattività della lex mitior, che si correla – precisa la Corte – non solo al trattamento sanzionatorio in senso stretto, ma anche a tutti i profili che incidono complessivamente sul trattamento riservato al reo[16].

Ciò posto, la Consulta ha ricordato come tale principio si collochi nell’alveo di operatività dell’art. 3 Cost., non essendo invece riconducibile alla sfera di tutela dell’art. 25, comma 2 Cost. secondo cui “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”; il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole infatti “si pone come essenziale strumento di garanzia del cittadino contro gli arbitri del legislatore, espressivo dell’esigenza della calcolabilità delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta, quale condizione necessaria per la libera autodeterminazione individuale”[17].

La retroattività della norma penale favorevole di cui all’art. 2 comma 4 c.p., invece, non ha alcun collegamento con l’esigenza di autodeterminazione individuale, per l’ovvia ragione che la lex mitior sopravviene alla commissione del fatto “al quale l’autore si era liberamente autodeterminato sulla base del pregresso (e per lui meno favorevole) panorama normativo[18].

La modifica in melius della legge penale è invece giustificata da una mutata valutazione del disvalore del fatto tipico e “deve riverberarsi anche a vantaggio di coloro che hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore”: non sarebbe ragionevole punire più gravemente una persona per un fatto per il quale, secondo una legge successiva, è prevista una pena più lieve; si violerebbe appunto il principio di uguaglianza, fondamento su cui poggia la rilevanza costituzionale del principio in parola.

La retroattività in mitius della legge penale, inoltre, è ormai affermata non solo a livello di legislazione ordinaria dall’art. 2 c.p., ma trova ampi riconoscimenti nel diritto internazionale[19] e nel diritto dell’Unione europea: la tutela costituzionale di tale principio – ricorda la Corte – si fonda, infatti, oltre che sull’art. 3 Cost., anche sull’art. 117 comma 1 Cost., rispetto alla norma interposta dell’art. 7 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo[20].

In tale contesto, l’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole opera, però, non come valore assoluto ed inderogabile (alla stregua del principio di irretroattività della norma incriminatrice) e ben può invece essere “suscettibile di limitazioni e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli e, in particolare, dalla necessità di preservare interessi, ad esso contrapposti, di analogo rilievo”.

Ne deriva che il principio in parola può essere sacrificato solo a seguito di uno “scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività della norma più favorevole al reo, [che] deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza non essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole[21].

2.3. Si tratta, in altri termini, di capire se nel caso concreto l’art. 318 octies D.Lgs. n. 152/2006 deroghi al disposto di cui all’art. 2 comma 4 c.p. in modo ingiustificato ovvero se la scelta del legislatore sia sorretta da giustificazioni di ordine logico.

Alla luce dei criteri di giudizio enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, la Consulta ritiene che, nel caso di specie, la disciplina transitoria censurata sia il frutto di una scelta legislativa assistita da ragionevolezza.

A parere della Corte, infatti, l’istituto in parola avrebbe quale scopo, tra gli altri, proprio quello di evitare l’esercizio dell’azione penale: “l’articolata procedura messa in campo per gli illeciti contravvenzionali previsti nel codice dell’ambiente dalla legge di riforma del 2015, assegna fondamentale e preminente rilievo alle prescrizioni imposte dall’organo competente, le quali sono impartite subito dopo l’accertamento del reato contravvenzionale in danno dell’ambiente e devono essere adempiute nei termini come esattamente fissati dall’organo accertatore”.

In tale contesto, il Pubblico Ministero gioca un ruolo del tutto marginale, intervenendo solo all’esito della “complessiva disciplina procedimentale”, nel momento della formulazione della richiesta ex art. 408 c.p.p. ovvero ai fini della prosecuzione delle indagini in caso di inadempimento del contravventore.

Infatti, l’estinzione del reato, pur celando, come visto, una natura sostanziale, presuppone per il suo stesso verificarsi l’applicabilità di una serie di disposizioni procedimentali dettate dalla stessa Parte Sesta bis del D.Lgs. n. 152/2006, “le quali a loro volta sono strutturalmente e logicamente condizionate al fatto che l’azione penale non sia stata esercitata e che si versi invece nella fase delle indagini preliminari, non essendo ipotizzabile una regressione in tale fase”.

In altri termini, secondo la Consulta il meccanismo delineato dalla Parte Sesta bis si colloca per sua natura nella fase delle indagini preliminari dal momento che le prescrizioni imposte dall’organo accertatore assumono significato centrale nella disciplina complessiva proprio in quanto impartite subito dopo l’accertamento del reato contravvenzionale e sono da adempiere nei ristretti tempi dallo stesso dettati.

Solo tale collocazione “pre-processuale”, insomma, consentirebbe di ottenere ambo le finalità cui abbiamo visto essere finalizzata la norma: il rispristino della situazione ambientale alterata (efficace se posta in essere nell’immediatezza dell’accertamento) e l’effetto deflattivo che – grazie alla definizione in sede amministrativa – evita la celebrazione del processo e chiude il procedimento penale con il decreto di archiviazione.

Tutto ciò, conclude la Corte costituzionale, assume un significato ancora più coerente considerando che il contravventore escluso della procedura di cui trattasi, ove dimostri di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, può comunque essere ammesso, anche se già esercitata l’azione penale, all’oblazione prevista dall’art. 162 bis c.p.

Per giungere a tale conclusione, la Consulta attinge ampiamente alla disciplina della estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, nonché alle sentenze costituzionali già intervenute sul punto.

Il richiamo è alle ordinanze costituzionali n. 460 del 1999, nn. 415 e 121 del 1998, con le quali si è affermato che “è assolutamente pacifico che la nuova disciplina dell’estinzione del reato, contenuta nel capo II del D.Lgs. n. 758 del 1994, è costruita in guisa tale da operare solo all’’interno della fase delle indagini preliminari, essendo finalizzata – in caso di adempimento alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza e di pagamento in via amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa – alla richiesta di archiviazione per estinzione del reato da parte del pubblico ministero (artt. 21-24), e, quindi ad evitare l’esercizio dell’azione penale”.

Per le ragioni sopra indicate, tali considerazioni, afferma la Corte, possono valere anche con riferimento alla presente questione di legittimità, che pertanto – vista la ragionevolezza della scelta legislativa – deve essere dichiarata infondata.

  1. L’esito del giudizio di legittimità in parola, nell’individuare quale limite logico-temporale per l’attivazione della procedura di cui agli artt. 318 bis e ss del D.Lgs. n. 152/2006 l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, appare, dunque, perfettamente in linea sia con gli approdi già raggiunti in materia antinfortunistica, sia con le sentenze della Corte di cassazione, che ne avevano già escluso l’applicabilità dopo la conclusione delle indagini preliminari[22].

In termini generali, dunque, prescindendo dalla disciplina transitoria, deriva dalla sentenza in commento un corollario piuttosto importante a conferma dell’orientamento, pressoché pacifico, della giurisprudenza di legittimità circa l’inapplicabilità della procedura estintiva ambientale dopo l’esercizio dell’azione penale.

Sul punto, per la verità, non sono mancate – in dottrina[23] come nella giurisprudenza di merito[24] – perplessità rispetto alla mancata estensione della procedura ad una fase più avanzata del processo, quanto meno nei casi in cui l’organo accertatore abbia omesso la sua attivazione nella (naturale) fase delle indagini preliminari: viene in considerazione il diverso, ma affine, principio della (non) obbligatorietà dell’iter estintivo in parola.

Il tema meriterebbe uno specifico ed autonomo approfondimento, ma pare coerente farne almeno cenno nella presente sede per evidenziare come la sentenza in commento, pur di per sé “internamente” logica e coerente, lasci aperti seri dubbi sulla tenuta complessiva (e per così dire “estrinseca”) della disciplina in discussione.

Non vi è dubbio, infatti, che se da un lato, in termini generali, è corretto collocare la procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali nella fase delle indagini preliminari, dall’altro la disciplina è caratterizzata da alcune peculiarità normative (rispetto alla analoga procedura in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro), che possono, di fatto, prestare il fianco al trattamento diseguale di situazioni invece identiche, per ragioni che esulano dalla volontà del contravventore.

È appunto il caso in cui, di fronte a violazioni della medesima tipologia di contravvenzione, l’organo di vigilanza attivi la procedura estintiva solo in alcune ipotesi concrete: quali rimedi per il contravventore “sfortunato”, che sarà invece chiamato alla celebrazione del giudizio ovvero, al più, alla oblazione ex art. 162 bis c.p. con pagamento di una somma maggiorata?

Tale situazione, oggettivamente critica, è stata giudicata del tutto legittima dalla Corte di Cassazione che, a più riprese, ha sancito la “discrezionalità” in materia ambientale dell’organo accertatore quale espressione essenziale della non obbligatorietà della attivazione della procedura stessa: a differenza di quanto accade in materia antinfortunistica, infatti, l’organo di controllo ha un margine di azione più ampio, considerando che lo stesso deve preliminarmente valutare l’insussistenza del danno o di un pericolo attuale e concreto (cfr., art. 318 bis D.Lgs n. 152/2006) quale condizione essenziale per l’ammissibilità del contravventore alla procedura estintiva.

Un caso peculiare è però rappresentato dall’adempimento spontaneo (precedente alla prescrizione) dalla regolarizzazione in assenza di prescrizione, ossia l’ipotesi in cui “l’organo di vigilanza si determini a non impartire alcuna prescrizione perché non vi è alcunché da regolarizzare o perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua”.

In tali casi, in ambito lavoristico, si era già affermato che la prescrizione dell’organo tecnico non è di per sé essenziale per il regolare espletamento della procedura estintiva, potendo essere questa egualmente avviata anche in sua assenza, purché la mancanza o le irregolarità iniziali siano sanate dall’organo di vigilanza con una prescrizione “ora per allora”, ovvero con una ratifica. Allo stesso modo, si è sostenuto, dovrebbe essere ammesso alla definizione del procedimento in via amministrativa colui che abbia regolarizzato l’eventuale violazione spontaneamente, dunque in caso di omessa prescrizione.

Il riferimento è alla sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 19 del 1998, con la quale era stata giudicata compatibile con la Carta costituzionale la norma lavoristica così intesa: ove sussiste il requisito della condotta ripristinatoria, il contravventore deve comunque essere ammesso alla procedura estintiva di favore; principio poi accolto dalla giurisprudenza di legittimità, che ha stabilito in materia di sicurezza sul lavoro che “secondo una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dettata dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. n. 758 del 1994, la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l’esercizio dell’azione penale nei casi in cui, legittimamente, l’organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l’imputato può comunque richiedere di essere ammesso all’oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata[25].

La decisione riguardava l’ulteriore problema della prescrizione quale condizione di procedibilità dell’azione penale[26] ed aveva – tra le altre cose – precisato che “non c’è alcun diritto del contravventore a ricevere la prescrizione di regolarizzazione dall’organo di vigilanza con assegnazione del relativo termine per adempiere; egli è comunque tenuto a regolarizzare – ossia a rispettare le norme di prevenzione in materia di sicurezza e di igiene del lavoro – anche se alla prescrizione di legge non si aggiunga la prescrizione dell’organo di vigilanza di rispettarla adottando in particolare specifiche misure; ma in ogni caso egli, ove abbia regolarizzato adottando misure equiparabili a quelle che l’organo di vigilanza avrebbe potuto impartirgli con la prescrizione di regolarizzazione, può comunque chiedere al giudice di essere ammesso all’oblazione in misura ridotta, beneficio che non gli è precluso dal fatto che nessuna prescrizione di regolarizzazione gli sia stata impartita dall’organo di vigilanza (ciò in ragione di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 24, comma 3)».

Alla luce di tale interpretazione costituzionalmente conforme, dunque, sebbene la procedura estintiva non sia tout court “esportabile” al di fuori della fase delle indagini preliminari, gli effetti favorevoli della stessa potranno giovare anche al contravventore che dimostri in ogni caso di aver regolarizzato la violazione a prescindere dalla notifica di una prescrizione da parte dell’organo deputato: egli potrà infatti chiedere, anche al giudice (dunque dopo l’esercizio dell’azione penale) di essere ammesso alla procedura agevolata, pagando un quanto del massimo della sanzione.

Così interpretando la disciplina, si evita, appunto, che trattamenti sanzionatori diversi possano dipendere dalla mera (mancata) attivazione dell’organo di vigilanza, invece che essere correlati, in definitiva, al comportamento virtuoso (o meno) del contravventore, anche se intervenuto spontaneamente.

Le conclusioni così sintetizzate sono state successivamente ritenute applicabili anche al settore ambientale[27], in quanto le stesse – secondo il principio di ragionevolezza – “suggeriscono di estendere l’affine procedimento estintivo previsto per la materia ambientale alle analoghe ipotesi atipiche di regolarizzazione spontanea e/o senza autorizzazione […] onde evitare [appunto] di sottoporre a trattamento irragionevolmente deteriore il contravventore che abbia sua sponte eliminato le conseguenze dannose o pericolose della violazione”[28]; soluzione che è stata ritenuta estendibile alla materia de qua anche dalla Corte di Cassazione[29].

Per quanto condivisibile in linea di principio, la soluzione prospettata in materia di sicurezza sul lavoro sembra, però, poggiare su pilastri normativi estranei alla disciplina ambientale: vi è in questo senso più di un dubbio sul fatto che tale “misura agevolata” (in luogo di quella certamente ammessa ex art. 162 bis c.p.) possa riguardare anche le contravvenzioni in materia ambientale “risolte” dal contravventore in assenza di una specifica prescrizione da parte dell’organo accertatore.

Infatti, la lettura costituzionalmente conforme dell’art. 24 D.Lgs. n. 758/1994 era stata fondata su specifiche previsioni normative, già richiamate dalla giurisprudenza sul punto: da un lato, l’espressa previsione normativa della attivazione della procedura estintiva anche per “condotte esaurite” (cfr., art. 15 D.Lgs. n. 124/04, rubricato “Prescrizione obbligatoria”)[30], e dall’altro sulla misura dell’oblazione in caso di “adempimento tardivo” (cfr., art. 24 D.Lgs. n. 758/1994), confermata nella misura di un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

Diversamente, la Parte sesta bis del T.U. ambiente non prevede alcuna disposizione regolante il tema della condotta esaurita, in qualche modo equiparabile a quella di regolarizzazione spontanea, mentre per altro verso, all’adempimento tardivo della prescrizione ambientale comminata dall’organo di controllo è espressamente collegato il pagamento dell’oblazione in misura della metà del massimo, dunque, non nella misura agevolata[31].

Appare dunque abbastanza evidente che, sebbene gli aspetti di divergenza delle due normative risultino “quantitativamente” marginali (ricalcando la Parte Sesta bis T.U., come visto, pressoché integralmente la normativa gemella in tema di sicurezza sul lavoro), gli stessi appaiono tuttavia potenzialmente in grado, sotto il profilo “qualitativo”, di portare con sé conseguenze sistematiche importanti, che potrebbero rendere più difficoltoso il tentativo, sin qui compiuto dalla giurisprudenza, di ricondurre ad unità il complessivo sistema delle contravvenzioni-prescrizioni in materia ambientale, per evitare potenziali distorsioni rispetto all’accesso alla procedura, oggettivamente vantaggiosa per il contravventore.

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RGA Online mantegazza commento sentenza dicembre 2020 (def)

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Note:

[1] Per un approfondimento dei diversi temi in discussione, cfr., C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015; S. Carollo, La disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale: luci e ombre del nuovo procedimento estintivo delle contravvenzioni del t.u.a., in A. Manna (a cura di), Il nuovo diritto penale ambientale, 2016; M. Telesca, Osservazioni sulla l. n. 68/2015 recante “disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”: ovvero i chiaroscuri di una agognata riforma, in Dir. pen. cont., 17 luglio 2015; M. Santoloci, La legge sui delitti ambientali un Giano bifronte: nella prima parte aggrava e nella seconda parte (di fatto) estingue i reati ambientali, in www.dirittoambiente.net, 17 marzo 2014.

[2] Definita dalla dottrina come il “secondo pilastro” della riforma in materia ambientale introdotta dalla L. 22 maggio 2015, n. 68; cfr., C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015, p. 73.

[3] Recante “Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro” (G.U. 26 gennaio 1995, n .21 suppl. ord.).

[4] Per un’ampia elencazione esemplificativa delle contravvenzioni interessate dalla nuova procedura estintiva, cfr., P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, 2015, p. 833.

[5] Trattasi, a norma dell’art. 318 ter D.Lgs. n. 152/2006, di prescrizioni “tecnicamente asseverate dall’ente specializzato competente nella materia trattata”;

[6] Si pensi, a mero titolo esemplificativo, all’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale), ma anche al Corpo Forestale dello Stato, oggi assorbito nell’arma dei Carabinieri. Il problema connesso alla competenza tecnica delle forze di polizia giudiziaria è un tema che è stato posto: “è evidente, infatti, che accanto a forze dell’ordine dotate di alta specializzazione in materia ambientale ve ne sono altre del tutto prive della competenza utile ad impartire prescrizioni”, M. C. Amoroso, La nuova procedura estintiva dei reati contravvenzionali previsti dal D.Lgs. n. 152/2006. Quali direttive per gli organi accertatori?, in Dir. pen. cont., 5 novembre 2015, p. 2.

[7] A. Martufi, La “diversione” ambientale tra esigenze deflattive e nuove tensioni sistemiche, in Diritto Penale Contemporaneo, fasc. n. 1, 2018, p. 297, nel quale vengono riportate le contrastanti posizioni in dottrina rispetto al concetto di “ripristino dello stato quo ante”; v. ad esempio, C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015; M. C. Amoroso, La nuova procedura estintiva dei reati contravvenzionali previsti dal D.Lgs. n. 152/2006. Quali direttive per gli organi accertatori?, in Dir. pen. cont., 5 novembre 2015.

[8] Ibidem.

[9] Le contravvenzioni ambientali risultano, per lo più, strutturate secondo lo schema dei reati di pericolo astratto: dovrà comunque essere svolta una valutazione circa la concretezza e l’attualità del pericolo. È stato sottolineato, infatti, che tale circostanza “non esclude che anche in queste situazioni sia riscontrabile una modificazione della realtà materiale ad opera dell’uomo: infatti, aprire senza autorizzazione uno scarico idrico o un punto di emissione in atmosfera o attivare un impianto per smaltire rifiuti comporta pur sempre una più o meno rilevante e significativa trasformazione della realtà perché lo scarico prima non esisteva, ora esiste, e via dicendo”,  V. Paone, La prescrizione dei reati ambientali secondo la l. 68/2015: non mancano dubbi interpretativi, in Amb. Svil., 2016, p. 501.

[10] Cfr., art. 318 bis D.Lgs. n. 152/2006: “Le disposizioni della presente parte si applicano alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette”.

[11] L’art. 19 D.Lgs. n. 758/1994, tra le definizioni, riporta quella di “contravvenzione” rilevante ai sensi della disciplina dettata dal capo II: “a)  contravvenzioni, i reati in materia di sicurezza e di igiene del lavoro puniti con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda in base alle norme indicate nell’allegato I.

[12] La “nuova” disciplina non prevede un’interlocuzione “preventiva” tra l’organo accertatore ed il pubblico ministero, nemmeno in ordine alla valutazione, caso per caso, della effettiva sussistenza di un pericolo concreto ed attuale di danno tale da escludere l’applicabilità della procedura estintiva; trattasi di un profilo che costituisce sicuramente uno dei passaggi applicativi con maggiori difficoltà. Da qui, l’importanza di prevedere linee guida preventive da parte degli uffici inquirenti per indicare, almeno in linea di massima, i criteri di valutazione. Sul punto, già in data 29 novembre 2016 all’interno del SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’ambiente), il Consiglio Federale ha deliberato di approvare gli “Indirizzi per l’applicazione della procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali ex parte Sesta bis D.Lgs n. 152/2006. L’esclusione dalla procedura estintiva delle contravvenzioni punite congiuntamente con pena pecuniaria e detentiva, dopo una prima incertezza interpretativa, è stata accolta in modo pressoché unanime dai diversi Protocolli / Linee Guida emanati dalle singole Procure della Repubblica.

[13] Contra, v. G. Del Prete, L’applicabilità della procedura estintiva della parte sesta bis del D.L.vo 152/2006 oltre il termine delle indagini preliminari, in www.tuttoambiente.it, 10 febbraio 2020.

[14] Cfr., Ordinanza Giudice monocratico del Tribunale ordinario di Marsala in data 23 maggio 2016, iscritta al n. 12 del registro ordinanza 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2020.

[15] G. Leo, Inefficacia retroattiva delle norme sull’oblazione speciale prevista per i reati ambientali: la Consulta giudica costituzionalmente compatibile l’art. 318-octies del T.U. Ambiente, in Sistema Penale, 16 novembre 2020.

[16] La sentenza in commento richiama sul punto, tra le altre, Corte Cost. 12 marzo 1998, n. 72; Corte Cost. 25 marzo 1998 n. 85 e Corte Cost. 16 dicembre 1998 n. 455.

[17] Corte Cost. 19 luglio 2011, n. 236.

[18] Corte Cost. 8 novembre 2006, n. 392

[19] Il riferimento è all’art. 15, primo comma del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, il quale stabilisce che “se, posteriormente alla commissione di un reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, il colpevole deve beneficiarne”.

[20] Corte Cost. 19 luglio 2011 attribuisce rilievo alla giurisprudenza costituzionale sulle norme della CEDU, “che – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (sentenze n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008”.

[21] Corte Cost. 20 febbraio 2019, n. 63; a commento di tale sentenza cfr., M. Scoletta, Retroattività favorevole e sanzioni amministrative punitive: la svolta, finalmente, della Corte Costituzionale, in Dir. Pen. Cont., 2 aprile 2019.

[22] Ex multis, Corte Cass. pen., Sez. III, 15 giugno 2017, n. 35581.

[23] G. Del Prete, cit., p. 4

[24] Tribunale di Brindisi, ordinanza 8 novembre 2019, n. 1928, con cui il giudice – accogliendo la richiesta dell’imputato, che aveva provveduto, in assenza di prescrizioni dall’organo competente, alla regolarizzazione della violazione – ha conferito mandato ad ARPA al fine di verificare l’effettiva eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della violazione ed impartire, in caso contrario, le prescrizioni del caso, ritenendo così applicabile – sino alla fase del dibattimento – la procedura estintiva degli artt. 318 ter e seguenti nel caso in cui l’organo di vigilanza non abbia provveduto ad impartire alcuna prescrizione ambientale.

[25] Corte Cass. pen., Sez. III, 13 gennaio 2017, n. 7678.

[26] Sul punto, un consolidato, benché in parte superato, orientamento di legittimità riteneva che la notifica della prescrizione costituisse condizione di procedibilità dell’azione penale, di talché “il giudice non può pervenire ad una pronuncia nel merito se preventivamente non abbia accertato che vi è la prova della effettiva notificazione dell’invito ad adempiere rivolto al contravventore dall’organo di vigilanza” (cfr., Corte Cass. pen.,, Sez. III, 9 gennaio 2009, n. 10726); contra, Corte Cass., sez. III, 12 luglio 2010, n. 26756 secondo cui la parentesi che si apre nell’indagini preliminari con l’introduzione del procedimento estintivo si configura come condizione di procedibilità solo nel senso che realizza un condizionamento pro tempore dell’azione penale, fin tanto che l’illecito non venga regolarizzato; si precisa anche che “il fatto che l’organo di vigilanza non impartisca alcuna prescrizione di regolarizzazione è un’ipotesi possibile e legittima e non condiziona affatto l’esercizio dell’azione penale”.

[27] In dottrina, v. C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015; Contra, M. C. Amoroso, La nuova procedura estintiva dei reati contravvenzionali previsti dal D.Lgs. n. 152/2006. Quali direttive per gli organi accertatori?, in Dir. pen. cont., 5 novembre 2015, p. 2.

[28] A. Martufi, La “diversione” ambientale tra esigenze deflattive e nuove tensioni sistemiche, in Diritto Penale Contemporaneo, fasc. n. 1, 2018, p. 300

[29] Corte Cass. pen., Sez. III, 2 agosto 2018, n. 387878; vedi anche, Corte Cass. pen., Sez. III, 18 aprile 2019, n. 36405, che, ritenendo integralmente acquisibili alla materia ambientale gli approdi raggiunti dalla giurisprudenza, di legittimità e costituzionale, in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, ha affermando che “la procedura estintiva delle contravvenzioni in materia ambientale prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 318 bis, e s.s. è applicabile anche nel caso in cui, previo accertamento dell’assenza di danno o pericolo concreto di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette, l’autorità amministrativa di vigilanza competente non abbia impartito prescrizioni per regolarizzare la situazione di fatto che integra la contravvenzione accertata”; in particolare, la Corte di Cassazione ha precisato che “deve, infatti, ritenersi che la procedura di estinzione prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 318 bis, e s.s. si applichi tanto alle condotte esaurite – come tali dovendosi intendere tutte le condotte prive di conseguenze dannose o pericolose per cui risulti inutile o impossibile impartire prescrizioni al contravventore – quanto alle ipotesi in cui il contravventore abbia spontaneamente e volontariamente regolarizzato l’illecito commesso”.

[29] Sulla legittimità di tale previsione si è anche espressa la Corte Costituzionale con la decisione n. 76 del 20 febbraio 2019, che – nel parallelismo con la previsione dell’art. 24 D.Lgs. n. 758/1994, ha chiarito che “non è manifestamente irragionevole la previsione di una diversa entità della somma che l’imputato deve pagare per beneficiare dell’oblazione ai sensi dell’art. 162 bis c.p. in caso di adempimento tardivo delle prescrizioni imposte dall’organo di vigilanza. La differenza è riconducibile a scelte discrezionali del legislatore in relazione a beni diversi con conseguente non omogeneità del tertium comparationis evocato”.

[30] Il D.Lgs. n. 124/04, recante “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell’articolo 8 della L. 14 febbraio 2003, n. 30”, all’art. 15 (“Prescrizione obbligatoria”), stabilisce che: “1. Con riferimento alle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro, qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ovvero con la sola ammenda, impartisce al contravventore una apposita prescrizione obbligatoria ai sensi degli articoli 2021 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, e per gli effetti degli articoli 23 e 24 e 25, comma 1, dello stesso decreto. 2. L’articolo 22 del citato decreto legislativo n. 758 del 1994, trova applicazione anche nelle ipotesi di cui al comma 1. 3. La procedura di cui al presente articolo si applica anche nelle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione”.

[31] Sulla legittimità di tale previsione si è anche espressa la Corte Costituzionale con la decisione n. 76 del 20 febbraio 2019, che – nel parallelismo con la previsione dell’art. 24 D.Lgs. n. 758/1994 – ha chiarito che “non è manifestamente irragionevole la previsione di una diversa entità della somma che l’imputato deve pagare per beneficiare dell’oblazione ai sensi dell’art. 162 bis c.p. in caso di adempimento tardivo delle prescrizioni imposte dall’organo di vigilanza. La differenza è riconducibile a scelte discrezionali del legislatore in relazione a beni diversi con conseguente non omogeneità del tertium comparationis evocato”.

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