Il POC tematico per il recupero ambientale: un esempio di pianificazione urbanistica partecipata.

14 Dic 2020 | giurisprudenza, amministrativo

Di Elena Capone

TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, 14 ottobre 2020 n. 628- Pres. Mozzarelli; Est. Tenca- G.R. (Avv. L. Biagini) c. Comune di Santarcangelo di Romagna (Avv. G.D. Rossi). 

L’adozione di un “POC Tematico” relativo ad una specifica area non si pone in contrasto con lo strumento urbanistico sovraordinato poiché questo non prevede alcun divieto per gli interventi di tipo settoriale, anzi demanda proprio alla pianificazione di dettaglio la disciplina volta alla conservazione, al restauro ambientale, alla difesa, alla ricostituzione degli equilibri idraulici e geologici, nonché le previsioni relative alle trasformazioni insediative e infrastrutturali.

La revoca di un’ordinanza di rimozione e rimessione in pristino ai sensi dell’art. 21 quinquies L. 241/1990 è consentita soltanto laddove l’ordine in essa contenuto non abbia ancora esaurito gli effetti tipici che lo connotano, non essendosi ancora realizzato il concreto ripristino dello stato dei luoghi, l’esecuzione d’ufficio ovvero l’acquisizione coattiva al patrimonio comunale. L’ammissibilità della revoca, nei confronti di un provvedimento ad effetti istantanei, può essere motivatamente consentita se riconducibile alle condizioni previste dal legislatore, e in particolare, ai sopravvenuti motivi di pubblico interesse” e alla “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”.

La sentenza in commento presenta particolari profili di interesse perché consente di apprezzare come gli strumenti urbanistici e negoziali previsti dal nostro ordinamento, se correttamente utilizzati, possono dare vita ad un esempio concreto di democrazia partecipata.

Nella vicenda posta a base dei fatti oggetto di causa, al fine di perseguire l’obiettivo della tutela di una porzione specifica di territorio, è stato creato un progetto urbanistico ad hoc per il recupero ambientale del sito di una ex cava e, al contempo, per la tutela di una realtà artistica che caratterizza l’area santarcangiolese con una peculiare impronta culturale.

La vicenda oggetto del contenzioso trae origine dall’insediamento di un gruppo di artisti, noti a livello internazionale come “Mutoid Waste Company”, giunti a Santarcangelo di Romagna sin dai primi anni ’90 per partecipare al Festival Internazionale del Teatro in piazza. Per l’occasione gli artisti furono autorizzati a stabilirsi con i loro mezzi in quello che era il sito di un’ex cava, già allora dismessa e da tempo abbandonata, precedentemente destinata ad attività estrattiva e lavorazione ghiaie.

Conclusosi il Festival, vista anche l’abbondanza sul sito di materiali abbandonati che gli artisti avrebbero potuto utilizzare per le loro opere, alcuni decisero di rimanere con le loro abitazioni mobili (roulottes, camion e furgoni) presso l’area che era stata loro assegnata in occasione del Festival, localizzata in area demaniale lungo l’alveo del Fiume Marecchia.

Nel corso degli anni il gruppo di artisti e performers – specializzato nella trasformazione di rottami e scarti industriali in sculture e installazioni artistiche, nonché promotore di uno stile di vita anticonsumista e anticonformista – ha convertito le strutture abbandonate dall’attività estrattiva in ateliers, laboratori e servizi pubblici, consentendo altresì la rinaturalizzazione dei luoghi attraverso il crescente reinsediamento della vegetazione autoctona.

È nato così Mutonia “il villaggio degli scarti”, caratterizzato dalla presenza di particolari sculture composte unicamente da materiali metallici di scarto (per lo più pezzi di automobili, motori, tubature), ma anche plastica e rivestimenti in plexiglass e linoleum, riproducenti automi, animali mitologici, insetti, mostri e cyborg, alcuni di questi semoventi, ispirati allo scenario post-apocalittico e cyberpunk in stile Mad Max.

La permanenza degli artisti presso il sito dell’ex cava ha nel tempo riscontrato il favore degli Enti pubblici locali, grazie anche e soprattutto al riconosciuto valore artistico di fama internazionale del gruppo di performers, tanto che, anche al fine di disciplinarne l’insediamento, la Regione ha dato in concessione al Comune di Sant’Arcangelo l’area, da questo ceduta a sua volta in comodato alla comunità Mutoid nel 2003.

Tuttavia, la presenza dei Mutoids non sempre ha trovato il favore della cittadinanza santarcangiolese. In particolare un cittadino, residente a ridosso dell’area dell’ex cava, ha presentato numerosi esposti al Comune e altrettanti ricorsi innanzi al giudice amministrativo per denunciare alcune irregolarità dal punto di vista urbanistico-edilizio presso l’insediamento. Il giudice amministrativo non ha mai riscontrato illegittimità, se non in un caso, cui ha fatto seguito una pronuncia del TAR Bologna[1] che ha imposto all’amministrazione comunale di provvedere all’emanazione di un’ordinanza di demolizione e ripristino dei luoghi, riconoscendo la fondatezza di quanto lamentato dal ricorrente, in particolare circa la carenza di istruttoria e insufficiente motivazione in ordine alle diffide da lui presentate.

Il Comune di Santarcangelo ha quindi adottato l’ordinanza di demolizione e rimessione in pristino dei manufatti abusivi e successivamente una nuova ordinanza di correzione di errori materiali[2]. L’amministrazione comunale, però, è tornata nuovamente sui propri passi con l’ordinanza n. 6 del 12.02.2014, con la quale ha revocato, ai sensi dell’art. 21 quinquies L. 241/1990, le precedenti intimazioni di rimessione in pristino.

Le Soprintendenze per i Beni Architettonici e Paesaggistici e per i Beni Storici Artistici territorialmente competenti, dato l’alto valore artistico dei manufatti realizzati, sono infatti intervenute per raccomandare al Comune di preservare e regolarizzare l’insediamento artistico della Mutoid West Company, accrescendo le dotazioni culturali della città attraverso la riqualificazione della ex cava quale “Parco artistico” e la sua conservazione, non riscontrandovi alcun pregiudizio sotto l’aspetto della tutela ambientale dell’area sottoposta a vincolo paesaggistico.

Contro l’atto di revoca dell’ordinanza è insorto il ricorrente, dando avvio al contenzioso oggetto della sentenza in commento, deducendo in primo luogo la violazione dell’art. 21- quinquies della L. 241/90, sotto molteplici profili. A detta del ricorrente la norma si applicherebbe soltanto ai provvedimenti aventi efficacia durevole, mentre l’ordine di demolizione avrebbe operatività istantanea; inoltre la revoca sarebbe un atto connotato da discrezionalità, non conciliabile con gli atti vincolati, per i quali non è ammessa alcuna valutazione di opportunità, poiché si rimetterebbe all’apprezzamento dell’amministrazione il mantenimento o meno di un illecito edilizio.

Il TAR bolognese nel rigettare le doglianze del ricorrente, afferma di aderire al richiamato orientamento maggioritario del Consiglio di Stato[3] sulla disciplina dell’istituto generale della revoca dell’atto amministrativo. Tale orientamento circoscrive il novero dei provvedimenti revocabili a quelli ad efficacia durevole, che siano ancora in grado di produrre effetti nel momento in cui l’amministrazione ne valuta la perdurante operatività, con la conseguenza che l’istituto non può essere applicato a quelli con efficacia istantanea, quelli interamente eseguiti e quelli che hanno determinato una consumazione del potere in capo all’autorità emanante.

Il Collegio tuttavia chiarisce altresì che il comma 1-bis della norma, disciplinando il caso specifico della rimozione di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incidente su rapporti negoziali, “presuppone l’utilizzo dell’istituto anche nei confronti di atti che producono effetti istantanei, i quali per qualsivoglia ragione non abbiano ancora trovato attuazione” come l’ordinanza di rimozione poi revocata nel caso di specie.

In questo caso, infatti, secondo il TAR “la disposta revoca non si dirige nei confronti di un provvedimento ad effetti continuativi, ma investe un ordine che non ha ancora esaurito gli effetti tipici che lo connotano, non essendosi ancora realizzati il concreto ripristino dello stato dei luoghi, l’esecuzione d’ufficio ovvero l’acquisizione coattiva al patrimonio comunale. L’ammissibilità della revoca nel peculiare caso esaminato consente di riportarsi alle condizioni previste dal legislatore, e in particolare ai sopravvenuti motivi di pubblico interesse” e alla “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, non rinvenendosi un’attribuzione di vantaggi economici (cfr. art. 21-quinquies comma 1)”.

La scelta dell’amministrazione santarcangiolese di mantenere l’insediamento si fonda quindi sulla riconosciuta preminenza dell’interesse pubblico culturale, artistico e paesaggistico che ha stimolato l’avvio del procedimento di adozione di un POC specifico. Per cui, sebbene non possa essere ammesso alcun ripensamento da parte dell’amministrazione di fronte ad un illecito edilizio acclarato, poiché l’attività repressiva, essendo vincolata, è per definizione totalmente priva di discrezionalità, tuttavia, nel caso in esame, secondo il TAR emiliano, “il vincolo all’azione amministrativa è (eccezionalmente) depotenziato a seguito della concorde valutazione degli Enti preposti alla tutela di interessi pubblici costituzionalmente tutelati”.

Successivamente all’adozione delle ordinanze di rimessione in pristino, già il 30.07.2013 la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici competente aveva affermato che “all’arrivo del gruppo di artisti nel 1990, l’area versava in condizione di forte degrado paesaggistico a seguito dell’abbandono dell’attività estrattiva, mentre con lo sviluppo dell’attuale insediamento la copertura arborea ha ripreso un costante sviluppo con diffusa vegetazione spontanea e “una pressoché assente percepibilità delle forme artificiali, a beneficio di quelle naturali e tipiche delle aree fluviali, sia per lo smantellamento completo che lo sviluppo dell’insediamento Mutoid ha comportato degli impianti e manufatti legati alla precedente attività di lavorazione inerti, sia per la schermatura vegetazionale dell’intero perimetro del sito”.

Anche la Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici con una relazione del 25.08.2013 ha riconosciuto l’interesse artistico delle opere esposte sul sito e raccomandato la conservazione di una simile “realtà creativa” mediante l’elaborazione di un progetto che attui le necessarie regolarizzazioni per preservare “l’identità di Mutonia come luogo del contemporaneo”.

Con l’adozione del POC Tematico in data 05.12.2013 il Comune di Santarcangelo ha recepito le riflessioni sviluppate dai due pareri espressi dalle Soprintendenze competenti alla protezione dell’ambiente, del paesaggio e dei beni storici e artistici, rendendo l’ordinanza di demolizione e rimessione in pristino non più in linea con l’interesse pubblico che quindi è stata legittimamente revocata.

L’efficacia dell’ordinanza di revoca era stata inoltre espressamente condizionata “all’esito favorevole alla permanenza dell’insediamento nel percorso redazionale del POC tematico” e con deliberazione commissariale n. 94 del 22.05.2014 il POC è stato approvato in via definitiva[4].

Con ulteriore ricorso, riunito al precedente per evidenti ragioni di connessione oggettiva, il ricorrente impugnava dunque anche il provvedimento di adozione del POC per asserita violazione della pianificazione sovraordinata (PSC, PTCP, Piano delle Attività Estrattive), nonché in quanto il POC, a detta del ricorrente, non può investire una limitata porzione di territorio senza il necessario coordinamento con la parte restante.

La Seconda sezione del TAR Bologna, pronunciandosi sulla questione, chiarisce tuttavia come il POC tematico oggetto di impugnativa risponda ad un fine specifico: la valorizzazione dell’insieme di opere d’arte realizzate nell’area oggetto di disciplina, attraverso il recupero di un’area degradata sulla quale insistevano le strutture abbandonate dalla precedente attività estrattiva, realizzando un progetto di valorizzazione di Mutonia quale “Parco artistico”.

Il lamentato contrasto tra la normativa regionale che disciplina i Piani Operativi Comunali e il POC tematico gravato, per il Collegio non sussisterebbe perché “L’invocato art. 30 della L.r. 20/2000 per tempo vigente sancisce che il POC “è lo strumento urbanistico che individua e disciplina gli interventi di tutela e valorizzazione, di organizzazione e trasformazione del territorio …” (comma 1), che definisce tra l’altro “le dotazioni territoriali da realizzare o riqualificare e delle relative aree, nonché gli interventi di integrazione paesaggistica” (comma 2 lett. e), e disciplina “i progetti di tutela, recupero valorizzazione del territorio rurale di cui all’art. 49 nonché la realizzazione di dotazioni, ecologiche o di servizi ambientali negli ambiti agricoli periurbani ….” (comma 6).

Sottolinea inoltre come “in un ambito territoriale rurale come quello di cui si controverte il PSC demanda al POC l’elaborazione della pianificazione di dettaglio, finalizzata alla conservazione, restauro ambientale, difesa, ricostituzione degli equilibri idraulici e geologici, previsioni relative alle trasformazioni insediative ed infrastrutturali”, ed è esattamente entro tali confini che si muove il POC Tematico impugnato, volto alla conservazione di Mutonia quale “luogo del contemporaneo”.

Esso, infatti, persegue la realizzazione della duplice esigenza del recupero ambientale-paesaggistico dell’ex cava e la salvaguardia dell’apporto culturale della realtà di Mutonia.

Il Collegio, nel motivare la sua decisione, evidenzia come il progetto preveda puntualmente la collaborazione dei soggetti coinvolti attraverso la divisione di una serie di interventi, alcuni posti a carico del Comune (raccolta e smaltimento eternit, riqualificazione delle aree di sosta nella viabilità di accesso, mitigazione e verde di ambientazione, ristrutturazione edifici esistenti per usi collettivi e pubblici con strutture amovibili), altri dei Mutoid (recinzione, manutenzione atelier e residenze, realizzazione di opere artistiche, raccolta del materiale destinato alle opere d’arte, pulizia e mantenimento dell’area), nel rispetto dei titoli abilitativi indicati dalle leggi vigenti e della normativa ambientale, edilizia e sismica.

Il ricorrente ha denunciato un ulteriore profilo di contrasto con la superiore normativa regionale per il quale il POC non potrebbe riguardare solamente una limitata parte del territorio, senza coordinamento con la restante parte, prevedendo peraltro un incremento delle dotazioni territoriali della città.

Il Collegio però non accoglie nemmeno questa ulteriore censura dal momento che la normativa superiore non prevede alcun divieto per gli interventi di tipo settoriale, limitati ad una determinata porzione di territorio, anzi a maggior ragione deve ritenersi ammissibile un POC Tematico che disciplini puntualmente una determinata area in presenza di interessi specifici da tutelare.

Per quanto riguarda l’aspetto dell’incremento delle dotazioni territoriali, il problema non sussisterebbe perché le abitazioni consentite sono già limitate e disciplinate in base all’accordo convenzionale a massimo 30 persone.

Con successivi per motivi aggiunti, il ricorrente ha impugnato altresì la Deliberazione di approvazione della “Convenzione per l’utilizzo – da parte dell’associazione Mutonia – dell’area demaniale a margine del fiume Marecchia”. I terreni che ospitano la comunità sono di proprietà del Demanio dello Stato – Ministero del Lavori Pubblici per le opere idrauliche e delle bonifiche, dati in concessione dalla Regione Emilia Romagna all’Amministrazione Comunale di Santarcangelo di Romagna con atto n. 013399 del 05.12.2012.

Nella prospettazione del ricorrente, la convenzione si porrebbe in contrasto con gli obblighi derivanti dalla concessione demaniale e con gli obblighi di salvaguardia delle aree del demanio idrico, i quali prevederebbero un divieto di sub-concessione del bene, mentre l’utilizzo dell’area sarebbe stato indebitamente assegnato all’Associazione Mutonia fino alla scadenza della concessione stessa, della durata di 19 anni.

La Seconda Sezione del TAR Bologna rileva tuttavia che il gruppo Mutoid ha utilizzato fino ad allora l’area in virtù di un contratto privatistico di comodato d’uso gratuito “notoriamente revocabile ad nutum”; inoltre, per quanto riguarda la concessione, la normativa regionale per tempo vigente, stabilisce espressamente che le aree del demanio idrico debbano essere concesse preferibilmente a Enti locali “per finalità di tutela ambientale e per la realizzazione di interventi di recupero o valorizzazione finalizzati anche alla fruizione pubblica”, i quali “si rapportano con i soggetti privati per consentirne l’utilizzo a scopo sociale o ricreativo.

Il Collegio pertanto ritiene sussistere la piena legittimità del Comune, ai sensi della normativa regionale[5] nell’individuare soggetti privati cui concedere l’uso di determinate aree “per un uso “sociale o ricreativo”, secondo criteri di priorità che nella fattispecie appaiono pienamente rispettati.

Difatti, conclude il TAR emiliano, la convenzione con il gruppo di artisti dell’Associazione Mutonia “prevede un mero utilizzo della porzione demaniale nell’ambito del programma di valorizzazione e di qualificazione ambientale e paesaggistica dell’ex cava, in piena sintonia con il dettato legislativo.

In conclusione, la pronuncia del TAR di Bologna consente di riconoscere come determinate esigenze di interesse pubblico, quali ad esempio la riconversione ambientale di un territorio, l’interesse culturale e paesaggistico di una determinata realtà sociale, possano trovare compiuta e concreta attuazione in maniera maggiormente proficua mediante la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti e attraverso l’utilizzo degli strumenti normativi messi a disposizione dall’ordinamento. Ciò dovrebbe far pensare a come un atteggiamento inclusivo alle volte possa essere più produttivo di un costante e determinato ostracismo nei confronti delle iniziative culturali sempre in cerca di spazi creativi; le strutture abbandonate sparse sul territorio nazionale sono innumerevoli e un loro crescente recupero per diffondere un modello di democrazia partecipativa sarebbe in futuro auspicabile.

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Capone_Articolo RGA Online – Dicembre 2020 letto rt

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TAR ER Bologna sentenza n. 628_2020 del 14.10.2020

Note:

[1] TAR Emilia Romagna, Sede di Bologna, Sezione II, sentenza n. 334 del 02.05.2013.

[2] Ordinanze n. 41 del 13.06.2013 e n. 50 del 12.08.2013 di rettifica degli errori materiali pregressi.

[3] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 6240 del 19.09.2019.

[4] La Delibera è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione del 02.07.2014.

[5] Il riferimento è all’art. 15 della L.R: n. 7/2004 per tempo vigente, il quale, ai commi 3 e 4, prevede che “3. Le aree del demanio idrico sono concesse, con preferenza rispetto ai privati, ad Enti locali, singoli o associati per finalità di tutela ambientale e per la realizzazione di interventi di recupero o valorizzazione finalizzati anche alla fruizione pubblica. Tali Enti si rapportano con i soggetti privati per consentirne l’utilizzo a scopo sociale o ricreativo.

  1. Nel rilascio e nel rinnovo delle concessioni l’Amministrazione regionale osserva i seguenti criteri di priorità relativi all’uso richiesto: a) tutela della biodiversità e riqualificazione ambientale; b) realizzazione di opere e infrastrutture di interesse pubblico nel rispetto delle caratteristiche ambientali dell’area”.

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