Il cinghiale di campagna e il cinghiale di città. Prelievi e controlli per l’equilibrio dei diversi ecosistemi

03 Giu 2019 | giurisprudenza, amministrativo, corte costituzionale

di Paola Brambilla

CORTE COSTITUZIONALE, 16 ottobre 2018, n. 206 – Pres. Lattanzi, Red. Morelli PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (Avvocatura dello Stato) c. REGIONE LOMBARDIA (Avv. Marini)

L’art. 3, comma 1, della L.R. Lombardia 17 luglio 2017 n. 19, in tema di gestione faunistica-venatoria del cinghiale e recupero degli ungulati feriti, è costituzionalmente illegittimo ai sensi dell’art. 117 comma 2, lett. s) della Costituzione, ove prevede un potere deliberativo della Giunta, in tema di gestione faunistica, sull’intero territorio regionale e quindi anche sulle aree protette nazionali; per queste infatti la L. 6 dicembre 1991 n. 394 all’art. 11 demanda la disciplina dei piani di abbattimento – riconducibili alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema di competenza statale – in via esclusiva all’Ente Parco, a mezzo di apposito regolamento.

L’art. 3, comma 3 della L.R. Lombardia 17 luglio 2017 n. 19, ove demanda la determinazione della densità obiettivo di ungulati all’interno delle aree protette alla Giunta, d’intesa con i relativi enti gestori, supera il vaglio di legittimità costituzionale dell’art. 117 comma 2 lett. s) Costituzione: la soluzione regionale infatti non si discosta dalla formula dell’art. 22, comma 6, della L. 6 dicembre 1991 n. 394, che assegna tale potere al regolamento del parco ovvero, quando esso non esista, a direttive regionali per iniziativa e sotto la responsabilità dell’ente gestore. 

T.A.R. LIGURIA sez. II, 5 ottobre 2018, n. 799 – Pres.Est.  Pupilella, EARTH ONLUS (Avv. Massimo Rizzato) c. COMUNE VALLECROSIA (n.c.)

L’ordinanza sindacale contenibile ed urgente che demanda agli agenti della vigilanza faunistica regionale la rimozione di cinghiali nelle aree urbane – con i metodi ritenuti più efficaci a seconda del caso – è illegittima, posto che in Liguria la materia è compiutamente regolata dalla L. 1° luglio 1994 n. 29, il cui art. 36 demanda la competenza in ordine a tali abbattimenti ad ordinanze sindacali o prefettizie, con la presenza e il coordinamento di eventi o ausiliari di pubblica sicurezza; oltre a mancare la contingibilità dunque, intesa come possibilità di far fronte all’evento con strumenti ordinari, si estromette la necessaria presenza del personale di pubblica sicurezza che la normativa regionale impone.

T.A.R. TOSCANA, Firenze, sez. II, 1° febbraio 2019, n. 163 – Pres. Trizzino, Est. Fenicia, EARTH ONLUS (Avv. Massimo Rizzato) c. COMUNE GAVORRANO (Avv. Loriano Maccari)

L’ordinanza sindacale emanata per ragioni di sicurezza urbana che consente alla polizia provinciale e municipale di collocare gabbie trappola per la cattura dei cinghiali e il loro abbattimento è illegittima, stante la presenza di uno strumento ordinario previsto a livello regionale dalla L. 12 gennaio 1994 n. 3 il cui art. 37 prevede che la Regione autorizzi specifici piani, anche su richiesta dei Comuni, con parere favorevole dell’Infs (oggi Ispra), con specifico personale e definendo anche l’utilizzo dei capi abbattuti; a maggior ragione quando le autorizzazioni regionali siano state rilasciate, con ulteriore carenza di motivazione, nell’ordinanza, sulle ragioni del mancato utilizzo di tali mezzi ordinari previsti e disponibili.

T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, sez. II, 8 aprile 2019, n. 319 – Pres. Farina, Est. Bertagnolli, LAC ONLUS E LAV ONLUS (Avv. Claudio Linzola) c. REGIONE LOMBARDIA (Avv. Alessandro Gianelli) e PROVINCIA DI BRESCIA (n.c.)

Il decreto regionale di autorizzazione del controllo selettivo del cinghiale ai sensi dell’art. 19 comma 2 della L. 11 febbraio 1992 n. 157 è illegittimo nella parte in cui non opera la fissazione di una soglia di tollerabilità del danno, dipendente dal contesto locale, dalla colture in essere, dalla presenza di fauna stanziale, dalla modifica delle comunità vegetali e dalla predazione dell’erpetofauna, ma lo consente in presenza di un solo danno denunciato nel triennio o in caso di allarme sociale, in quanto vanifica la ragionevole necessità di limitare l’intervento regolatore al superamento di un livello di normale tollerabilità.

Siffatto decreto regionale è legittimo anche nella parte in cui consente la caccia notturna o la girata o la cattura con gabbie e chiusini su disposizione della polizia provinciale, posta la ragionevolezza delle relative misure e la motivazione circa l’impatto minimo alle altre specie, in relazione all’obiettivo perseguito, specie in assenza di ulteriori censure.

Parimenti la legittimità del provvedimento non è inficiata dall’astratta esistenza di metodi alternativi ecologici, quali recinzioni e la sterilizzazione, quando detti metodi siano stati posti in essere con insuccesso e ISPRA abbia convenuto che motivazioni di carattere ecologico rendono inopportuna un’eccessiva proliferazione di recinzioni, e problematica la sterilizzazione chirurgica o farmacologica dei selvatici.

L’autorizzazione regionale è invece illegittima mancando un criterio che fissi il limite massimo distinguendo le aree in ragione della diffusione del cinghiale al loro interno, ed ove consente un aumento del tetto massimo in presenza del semplice fatto del raggiungimento in tempi brevi del tetto massimo durante la campagna di controllo.

Emergenza cinghiali in città, ma anche nelle aree rurali ed agricole e persino nelle aree protette. Il numero di questi animali, specie in Italia, conosce una crescita inarrestabile, e con essa, quando gli areali liberi sono limitati, si accrescono correlativamente i danni alle coltivazioni e gli ecosistemi naturali: infatti il cinghiale, onnivoro, si nutre oltre che di vegetali, tuberi e rizomi (danneggiando così il soprassuolo boscato e riducendo il cibo per altri ungulati come i cervidi)  anche di piccoli invertebrati, rettili, anfibi, uccelli e loro uova (ciò che impoverisce la biodiversità).[i]

I danni della specie sus scrofa si stanno però estendendo anche nelle zone periurbane e nei centri urbani, dove gli animali trovano cibo facile, provocando collisioni stradali pericolose – anche per la grossa stazza, frutto dell’incrocio con maiali domestici e esemplari dell’est da parte di allevatori per interessi venatori – e altri problemi di convivenza con la specie umana.[ii]

Raggiunta in Italia una popolazione stimata in oltre 1 milione di esemplari, il legislatore è alfine intervenuto a livello normativo, modificando il quadro di riferimento ad opera della legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante “disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”, che forse non molti sanno essersi occupata anche di cinghiali, aggiungendo alle disposizioni relative al prelievo venatorio di cui alla legge 11 febbraio 1992 n. 157, una disposizione specifica per il contenimento della specie.

L’art. 7 della L. 221/2015, appunto intitolato “disposizioni per il contenimento della diffusione del cinghiale nelle aree protette e vulnerabili”, ha così introdotto il divieto dell’immissione di cinghiali su tutto il territorio nazionale, a eccezione delle aziende faunistico-venatorie e delle aziende agri-turistico-venatorie adeguatamente recintate, sanzionato con la pena prevista dall’articolo 30, comma 1, lettera l), della legge 11 febbraio 1992, n. 157, particolarmente pesante, ovvero con  l’arresto da due a sei mesi o l’ammenda sino a oltre 2000 euro. La stessa norma vieta il foraggiamento di cinghiali, a esclusione di quello finalizzato alle attività di controllo, cosiddetta pasturazione[iii], divieto assoggettato alla stessa sanzione. La stessa normativa ha inoltre prescritto a regioni e province autonome – per dar corso alla programmazione di interventi di contenimento su tutto il territorio nazionale – di adeguare entro sei mesi i loro piani faunistico-venatori[iv] provvedendo ad individuare, a fini di controllo della specie, aree in cui vietare l’allevamento e l’immissione di cinghiali, in relazione alla presenza o alla contiguità con aree naturali protette o con zone caratterizzate dalla presenza di produzioni agricole particolarmente vulnerabili.

Si tratta di disposizioni di chiaro carattere programmatorio, del tutto in linea con il concetto di caccia programmata proprio delle disposizioni statali sulla tutela della fauna omeoterma, finalizzate a garantire l’equilibrio delle specie sotto il profilo ecologico prima che della densità venatoria, ed evidentemente intese a prevenire le principali cause della proliferazione di questi suidi, da annoverarsi nell’allevamento a scopo alimentare – con fughe più o meno involontarie – e purtroppo anche da immissioni deliberate proprio al fine di alimentare una tradizionale forma di caccia. Certo, anche l’abbandono del bosco, specie sull’Appennino, può aver contribuito alla diffusione dell’animale, ma al contempo la ricomparsa dei grandi carnivori, lupo e orso, negli stessi areali, ne trae giovamento e contribuisce alla relativa regolazione con metodi naturali.

Questa nuova disciplina che mira al divieto di allevamento, di immissione e di alimentazione ha dunque un chiaro approccio preventivo che integra le previsioni, invece di controllo ex post, che la legge quadro sulla caccia già conosceva all’art. 19, comma 2, dedicato agli abbattimenti selettivi o piani di controllo.

Questi ultimi consistono in misure che possono essere disposte solo dalle Regioni o dalle Province autonome, ed esclusivamente per motivi tassativi direttamente previsti dal legislatore nazionale, quali la migliore gestione del patrimonio zootecnico, la tutela del suolo, motivi di natura sanitaria (ad esempio oggi la peste suina africana), la selezione biologica, la tutela del patrimonio storico-artistico, e ancora per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche.

Siffatto controllo, proprio perché legato a circostanze eccezionali, può essere attuato anche nelle zone vietate alla caccia, ma deve avere due caratteristiche ben precise. Quanto al profilo oggettivo deve essere selettivo e quindi ricadere su consistenze determinate scientificamente, nonché essere praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici; solo in caso di inefficacia di tali misure, contemplare veri e propri piani di abbattimento. Invece quanto al profilo soggettivo questi piani devono essere posti in atto esclusivamente dalla polizia provinciale, la quale può avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi che ne sono oggetto, nonché di agenti forestali e della polizia locale, sempre che siano muniti di licenza di caccia.

Ora, nel migliore dei mondi possibili ci si sarebbe aspettata una nuova generazione di piani faunistico venatori, con misure preventive in linea con le nuove disposizioni, seguite solo in seconda battuta da piani di controllo regionali, varati in seguito ad accurate analisi faunistiche ed ecologiche accurate e aggiornate.

In realtà la fioritura giurisprudenziale a cui si è assistito[v] dimostra come le istituzioni abbiano invece cercato, nel sistema multilivello[vi], salvo rari casi, soluzioni davvero semplicistiche e grossolane, tutte riconducibili alla logica dell’abbattimento e del prelievo venatorio, ora sotto forma di deroghe quanto ai tempi, ai luoghi e ai modi di caccia – dirette a consentire la caccia con ogni mezzo e in ogni tempo all’ungulato – ora sotto forma di ordinanze extra ordinem; le prime, ovviamente, generalmente partorite sotto forma di leggi regionali o di provvedimenti straordinari di gestione e di controllo, le ultime invece frutto della solerte attivazione dei primi cittadini, che hanno preso al balzo l’estensione della nozione di ordine e sicurezza pubblica operata dalla riforma del 2008 dell’art. 54 del TUEL, per ergersi a difensori dell’incolumità dei cittadini di fronte agli impertinenti zannuti.[vii]

Quando ad occuparsi di controllo del cinghiale sono le leggi, la criticità evidente consiste nel fatto che si tratta di leggi provvedimento, in cui il ricorso allo strumento legislativo segnala la preoccupazione dell’istituzione di rafforzare contenuti spesso eversivi e deteriori rispetto agli standard nazionali di tutela dell’ecosistema, e quindi della fauna; la forma normativa del provvedimento risponde così all’esigenza di impedire che le associazioni ambientaliste o animaliste, o in altri casi l’Associazione vittime della caccia, separatamente o unite, impugnino il provvedimento avanti al giudice amministrativo per ottenerne l’annullamento.[viii]

Resta salvo, ovviamente, l’intervento del giudice delle leggi, o su ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, quando si ritenga violato il riparto di competenze tra Stato e Regione in conseguenza della riduzione degli standard di tutela o di invasioni di campo, o su rinvio del giudice amministrativo, quando lo stesso ritenga non manifestamente infondata e rilevante la questione.

Al primo caso si ascrive la prima delle pronunce in commento, in cui la Presidenza del Consiglio censura la legge regionale lombarda 17 luglio 2017 , n. 19, recante disposizioni in tema di “Gestione faunistico – venatoria del cinghiale e recupero degli ungulati feriti”, emanata con l’aspirazione di generare una compiuta disciplina appunto della gestione faunistico-venatoria del cinghiale diretta a contenere le popolazioni presenti allo stato selvatico entro densità socialmente, ecologicamente ed economicamente tollerabili, per una maggiore salvaguardia delle colture agricole e della biodiversità, nonché per la tutela dell’incolumità delle persone e la sicurezza dei trasporti; così si legge all’art. 1.

Si tratta di una normativa abbastanza ben congegnata, che suddivide il territorio in aree idonee e non idonee, a seconda di fattori quali la consistenza e la frequenza dei danni arrecati alla colture agricole e ai pascoli; la presenza di coltivazioni di particolare pregio; la presenza di habitat e di specie animali e vegetali di importanza per la biodiversità, con particolare riferimento ai siti Natura 2000; le modalità pregresse di gestione della specie; infine la vocazione del territorio alla presenza della specie. A seconda del fatto che si tratti di aree idonee o meno, la normativa opera la gestione del suide con il prelievo venatorio e il controllo, oppure con il solo controllo e prelievo selettivo.

L’invasione di campo, con sconfinamento nella competenza esclusiva statale, è però ugualmente presente: l’art. 3 della normativa regionale prevede infatti che la Regione definisca la densità obiettivo su tutto il territorio regionale, al fine dell’attuazione delle misure di prelievo e controllo, senza operare una specifica eccezione per il territorio compreso nelle aree protette nazionali, per le quali invece l’art. 11 della legge 6 dicembre 1991 n. 394 sulle aree protette prevede un potere deliberativo dell’ente parco, sulla base dello specifico regolamento del parco.

La Corte costituzionale recepisce e condivide la censura, rilevando che i piani di controllo  afferiscono alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, quanto alla biodiversità e tutela della fauna, ed annulla il comma 1 dell’art. 3 che invade la sfera di competenza esclusiva dello Stato; salva invece il comma 3, che si limita a prevedere lo stesso potere regionale quanto alla definizione della densità obiettivo e alla gestione del cinghiale nelle aree protette regionali, nei casi di assenza del Regolamento e d’intesa con l’ente parco. Rileva, infatti, che siffatta previsione non si discosta dalla formula dell’art. 22, comma 6, della medesima legge quadro nazionale, che assegna tale potere al regolamento del parco ovvero, quando esso non esista, a direttive regionali per iniziativa e sotto la responsabilità dell’ente gestore.

La decisione sul punto è invero anomala, perché contraddice la tendenza a rinvenire i sintomi dell’incostituzionalità anche in normative regionali meramente dirette – in tema di caccia e parchi – a riformulare la disciplina nazionale, con novazione della fonte, ma viene forse incontro a un approccio normativo tutto sommato razionale e compiuto[ix] che, a parte la gestione nei parchi nazionali, per il resto trova condivisione.[x]

I giudici amministrativi si sono occupati anche di una serie di provvedimenti regionali di autorizzazione del controllo del cinghiale; restando in Lombardia, il TAR Brescia nella sentenza qui annotata, ha di recente fornito una sorta di decalogo del corretto strumento di contenimento. Nel caso in esame, si trattava dell’autorizzazione rilasciata per l’abbattimento di oltre mille cinghiali nella provincia di Brescia, con modalità di prelievo particolarmente articolate (anche notturno, con girata e con utilizzo di gabbie e chiusini)  contro cui erano insorte alcune associazioni animaliste, che contestavano in radice il prelievo, sostenendo trattarsi di abbattimento sconsiderato e non di controllo, oltre all’introduzione di un inconcepibile eradicazione in alcune zone dove sostanzialmente ai cinghiali non sarebbe stato permesso vivere. Nel dettaglio le ricorrenti eccepivano l’assenza di una soglia di tollerabilità teorica, il coinvolgimento di soggetti diversi dalla polizia provinciale, e la forte pressione comunque generata su altre specie ed habitat da questo intenso prelievo.

Riconosciuta in prima battuta dal giudice amministrativo una difettosa istruttoria, nonché profili di irrazionalità, sproporzionalità e assenza di adeguata motivazione nel provvedimento regionale, l’ente veniva indotto a disporre un riesame istruttorio dell’atto, che veniva quindi riemesso e tosto impugnato con motivi aggiunti.

La sentenza emessa all’esito di questo laborioso contenzioso costituisce una riflessione attenta su tutti i temi trattati; riscontra invero che nelle more l’atto era stato correttamente emendato quanto ai profili di compatibilità con la rete Natura 2000 – per i cui siti il confronto con gli enti gestori aveva prodotto l’individuazione di specifiche cautele – e quanto all’esplicitazione dell’insuccesso delle altre forme di contenimento operate,[xi] ma che alcuni rilevanti vizi motivazionali non erano stati rimossi.

Si tratta, in primis, della mancata fissazione di una soglia di tollerabilità, cosa ben possibile in base alla letteratura scientifica esistente sull’argomento e idonea a diversificare zona per zona gli impatti tollerabili della presenza dell’ungulato,[xii] non essendo viceversa legittimo consentire un prelievo prossimo all’eradicazione in presenza di un solo danno noto nell’ultimo triennio, o nei casi non meglio definiti di “allarme sociale”.

In secondo luogo il TAR ritiene illegittima la previsione di un aumento del tetto massimo dei prelievi nel corso della medesima campagna di controllo, fondato solo sul fattore temporale del breve raggiungimento del numero fissato, finirebbe per diventare un’incentivazione ad ulteriori veloci abbattimenti per conseguirne altri, dando vita a un loop incoerente con le finalità non di eradicazione totale e generalizzata della specie, ma di controllo numerico.

Nulla dice invece la pronuncia, deludendo i ricorrenti, sul personale impiegato in difformità da quanto previsto dalla normativa nazionale (art. 19 comma 2 della L. 157/92), in quanto – così si legge – detto utilizzo sarebbe stato disposto da una previa deliberazione consiliare regionale non tempestivamente impugnata, sì da rendere non rilevante, nel caso concreto, la questione di legittimità costituzionale della disposizione regionale di riferimento (l’art. 41 della L.R. 26/93).

Anche in un altro caso recente, invece, relativo a un Programma per il contenimento del cinghiale varato dalla città metropolitana di Torino in applicazione di un’altra legge regionale in contrasto con l’art. 19 comma 2 della L. 157/92 (per l’assenza di previsione del parere di Ispra, della preventiva messa in atto di metodi ecologici e per l’apertura della caccia alla specie per tutto l’anno), la questione di legittimità costituzionale della disciplina regionale non viene sollevata, ma i giudici riescono lo stesso ad affrontare la questione; vediamo ora come. Il TAR Piemonte rileva invero che il programma, sospeso quasi subito in via cautelare, ha sì esaurito i suoi effetti, con la conseguente improcedibilità del ricorso e dunque la non rilevanza della questione, pure in presenza di una sua scrutinata fondatezza; ciononostante il collegio non si sottrae all’analisi del quadro normativo di riferimento, ed anzi formula un chiaro e severo giudizio di non conformità del quadro regionale, dichiaratamente funzionale alla riedizione del potere amministrativo.[xiii]

Ciò posto, abbiamo visto la Regione, la Provincia, e ora tocca ai Sindaci.

Fertili e fervidi di iniziative, non si contano le ordinanze emesse per il controllo della fauna selvatica in ambito rurale, periurbano e urbano, sulla scorta della generica invocazione di ragioni di tutela della salute pubblica – di volta in volta snocciolando le patologie delle specie prese di mira – o di gravi pericoli per l’incolumità pubblica. [xiv]

Nella seconda sentenza in esame, del TAR Liguria, viene in rilievo un’ordinanza di un sindaco ligure, che ordina la rimozione degli esemplari di cinghiale presenti nelle zone urbanizzate e periurbane “con i metodi ritenuti più efficaci nelle circostanze” ad opera degli agenti di vigilanza faunistica regionale.

I giudici amministrativi hanno qui buon gioco a evidenziare come la legge regionale ligure vigente disciplini in via ordinaria la materia, prevedendo che in simili casi prefetti o sindaci debbano procedere con la presenza e il coordinamento di agenti di pubblica sicurezza. Dunque, conclude, oltre a difettare il presupposto per l’emissione di un provvedimento extra ordinem in via teorica, risulta illegittimo anche lo strumento prescelto, sia quanto a personale sia quanto alla soluzione ipotizzata, perché la rimozione degli animali affidata alla discrezionalità degli agenti significa il loro abbattimento selettivo.

Anche la pronuncia del TAR Toscana, analizzata per ultimo, segue la stessa direzione ed annulla l’ordinanza sindacale che consentiva alla polizia locale provinciale e comunale di posizionare gabbie trappola per la cattura dei cinghiali e il loro abbattimento. Pure in tal caso i giudici escludono che la presenza di cinghiali abbia i tratti di una situazione eccezionale e imprevedibile di minaccia all’ordine pubblico tale da non consentire l’utilizzo dei mezzi ordinariamente previsti dall’ordinamento giuridico, riscontrando invece sia la presenza di una legge regionale per il caso, conforme al quadro nazionale, con previsione di piani di abbattimento o di cattura, una volta verificata l’inefficacia di metodi ecologici e previo parere ISPRA; sia la presenza di una specifica delibera regionale relativa proprio al territorio del comune de quo.

La presenza e disponibilità di uno strumento ordinario per fronteggiare la pretesa situazione di pericolo, già attivato a livello amministrativo, dunque rende illegittimo anche in questo caso, a maggior ragione, l’uso dei poteri contingibili ed urgenti extra ordinem.

Una riflessione allora si impone: in tutte queste fattispecie è evidente che il tema dell’eccezionalità della situazione, altro presupposto per l’emanazione dell’ordinanza, non viene minimamente affrontato, al contrario della contingibilità, nonostante alla radice della problematica di ordine e sicurezza pubblica ci sia proprio una responsabilità umana, antropica verrebbe da dire in quest’era detta antropocene, e non già una colpa animale.[xv]

Gli studi scientifici hanno infatti evidenziato come le popolazioni di questi ungulati si avvicinino ai centri urbani quando vi trovino cibo, sotto forma di discariche, abbandono di rifiuti domestici, raccolta in cassonetti aperti o di scarsa efficienza, se non quando siano volontariamente alimentati da singoli. Questo per quanto riguarda l’avvicinamento in città.

Quanto invece alle problematiche da investimento, la prima causa è da riscontrarsi nella progettazione stessa delle infrastrutture, che vengono collocate in zone rurali o di pregio ambientale, ricche di biodiversità dove la fauna selvatica trova rifugio e sostentamento, senza alcuna attenzione per le collisioni: quando basterebbe un sottopassaggio o un sovrappasso dedicato alla fauna, unitamente all’installazione di recinzioni adeguate, di indirizzamento degli animali a questi varchi. Come dice una bellissima immagine che fa da qualche tempo il giro del web, non è il bosco che attraversa la strada, è la strada che attraversa il bosco.[xvi]

La logica della prevenzione di questi inurbamenti della fauna selvatica, dunque, dovrebbe avere come destinatari dei provvedimenti volti a porvi rimedio non già gli animali stessi, ma le stesse istituzioni e i cittadini, in via di prevenzione e in chiave di informazione sui criteri alla base di una corretta convivenza, in un pianeta in cui l’urbanizzazione e il consumo e la trasformazione del suolo, sottraggono sempre più spazi vitali per la biodiversità.

Solo in Italia, ad esempio, i periodici rapporti di ISPRA evidenziano come il consumo di suolo [xvii] continui a crescere, pur segnando un importante rallentamento negli ultimi anni: i dati della nuova cartografia SNPA mostrano come, a livello nazionale, la copertura artificiale del suolo sia passata dal 2,7% stimato per gli anni ’50 al 7,65% (7,75% al netto della superficie dei corpi idrici permanenti) del 2017, con un incremento di 4,95 punti percentuali e una crescita percentuale di più del 180%. In termini assoluti, il consumo di suolo ha intaccato ormai 23.063 chilometri quadrati del nostro territorio, con una velocità di 2 mq al secondo.

Le aree più colpite sono le pianure del Settentrione, dell’asse toscano tra Firenze e Pisa, del Lazio, della Campania e del Salento, le principali aree metropolitane, le fasce costiere, in particolare di quelle adriatica, ligure, campana e siciliana, zone in cui si segnala sempre più di frequente una conflittualità tra attività antropiche e fauna selvatica, cinghiali, orsi, lupi.

Il report ci indica anche come la trasformazione derivi dalla copertura di aree  naturali  e  agricole con  asfalto  e  cemento,  edifici  e fabbricati,  strade e  altre infrastrutture, insediamenti commerciali, produttivi e di servizio, ma anche dall’espansione di aree urbane, spesso a bassa densità, il cd. sprawling, a cui si unisce ora lo sprinkling, ovvero la penetrazione di piccoli avamposti urbanizzati, spesso case sparse, in territori seminaturali. [xviii]

E’ proprio questa dinamica insediativa a porre le basi per una difficile convivenza tra uomo e cinghiale, dove però pare evidente che l’invasivo non è quest’ultimo. Di più, oltre 74.500 ettari di suolo risultano consumati ad oggi all’interno delle aree protette; ebbene, quest’ultimo dato è particolarmente significativo, perchè il sistema parchi deve assicurare da un lato la conservazione della biodiversità, dall’altro deve essere efficace a tal fine; il che importa dunque che le aree protette siano davvero luoghi oggetto di protezione, santuari naturali che possano assolvere alle funzioni di rifugio e trofica delle popolazioni animali per un verso, dall’altro che restino sottratte agli appetiti venatori, frustrati dalla scarsità faunistica nel restante territorio, depauperato per via delle dinamiche descritte.

La presenza di cinghiali nelle aree urbane, alla luce di questa consapevolezza, non può essere il pretesto per implementare il prelievo venatorio in periodi, tempi e luoghi in cui la caccia è vietata,[xix] o per dar vita a provvedimenti privi di motivazione sotto il profilo giuridico e scientifico, ma dovrebbe essere l’occasione per il legislatore regionale di rimeditare in genere, e con coerenza, le politiche di governo del territorio, nel rispetto degli standard nazionali di tutela dell’ecosistema. Certo, una normativa nazionale di contrasto al consumo di suolo, da tempo invocata ma sempre rimasta allo stadio di progetti e disegni di legge, potrebbe fare la differenza.

Per il testo delle sentenze cliccare sui pdf allegati.

Brambilla_Corte Cost. 206_2018 Brambilla_Tar brescia 319-2019 Brambilla_Tar Liguria 799-2018 Brambilla_Tar Toscana 163-2019

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Brambilla_RGA2_giugno2019

[i] G. Dovrat, A. Perevolotsky, G. Ne’eman, Wild boars as seed dispersal agents of exotic plants from agricultural lands to conservation areas,Journal of Arid Environments, Elsevier, 2012, p. 49 e ss.

  1. Cutini, F. Chianucci, R. Chirichella, E. Donaggio, L. Mattioli, M. Apollonio, Mast seeding in deciduous forests of the northern Apennines (Italy) and its influence on wild boar population dynamics, Annals of forest science, Springer 2013, p. 493 e ss.

[ii] L. Iacolina, C.Pertoldi, M.Amills, S.Kusza, H.J.Megens, V.A. Bâlteanu, J.Bakan, V.Cubric-curic, R.Oja, U.Saarma, Hotspots of recent hybridization between pigs and wild boars in Europe, in Scientific reports, Nature Publishing Group, 2018, p. 17372.

[iii] La pasturazione è una pratica per cui si utilizzano fonti alimentari – generalmente mangiatoie e vari distributori di granella di mais – con la funzione di attirare i cinghiali verso il punto di cattura, di particolare efficacia perché si tratta di specie dalle abitudini crepuscolari e molto particolarmente elusiva, rispetto ad altre misure di prelievo scarsamente capaci di dar vita alla realizzazione dei piani assegnati. Recentemente la regione Emilia Romagna, con deliberazione n. 1204 del 2 agosto 2017, in tema di “Somministrazione di fonti trofiche attrattive nell’attività di caccia di selezione al cinghiale. Disciplina delle caratteristiche e delle modalità di attuazione”, ha regolamentato questa pratica per evitare che si potesse comunque favorire anche involontariamente il foraggiamento di una specie di interesse venatorio, stabilendo la possibilità di collocare un punto di alimentazione ogni 50 ha di superficie dell’unità territoriale di gestione (intesa come distretto nell’ambito degli ATC, o come Azienda faunistico-venatoria), prescrivendo l’utilizzo esclusivamente di mais in granella pari a un kg per punto, e disponendo soprattutto l’obbligo di sospendere la distribuzione del cibo attrattivo al termine del periodo di prelievo consentito, o al completamento degli abbattimenti autorizzati.

[iv] Si tratta della pianificazione ordinaria di competenza di Regione e Province, di cui all’articolo 10 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, per cui in genere si rimanda a P. Brambilla, voce Caccia del Codice dell’Ambiente, a cura di A.L. De Cesaris e S. Nespor, Giuffrè, 2003 p. 572 e ss. con ampia bibliografia. Cfr. anche P. Brambilla, La pianificazione faunistica venatoria regionale: vecchi e e nuove questioni procedurali e contenutistiche, tra discrezionalità e interpretazione conservativa, in questa Rivista, 2018 p. 163 nonché Il calendario venatorio regionale e le festività soppresse. La scure degli interventi giurisprudenziali sui provvedimenti pianificatori e regolamentari delle autonomie locali in materia di caccia, in questa Rivista, 2013, pag. 607. Si veda anche F. Rescigno, Equilibrismi giurisprudenziali ed equilibrio ambientale, in Giurisprudenza Costituzionale, 2013, pag. 2754.

[v] Una ricerca sul sito della giustizia amministrativa quanto ci mostra 105 record, di cui oltre 30 successivi alla normativa del 2015.

[vi] Si veda, per la pluralità degli interventi da parte di più enti in tema, La disciplina della caccia in un sistema multilivello, a cura della Redazione regionale Liguria (P.Costanzo; D.Banfi; G. Bobbio; L. Trucco; G. Taccogna), www.Federalismi.it, n. 2/2007.

[vii]  L’art. 54, come novellato dall’art. 6, d. l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla l. .25 luglio 2008, n. 125 ed emendato dall’intervento “correttivo” della Corte costituzionale con sentenza 7 aprile 2011, n. 115 consente infatti al Sindaco, quale ufficiale del Governo, di adottare “con atto motivato, provvedimenti contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”.

[viii] Si rimanda, per un approfondimento a S. Giuliano, Riflessioni sulla problematica delle leggi-provvedimento (in margine alla sent. n. 20 del 2012), in Giur. cost. 2012, p. 1591, e G. Saputelli, Dall’illegittimità della legge «in luogo» di provvedimento regionale alla «riserva (materiale) implicita» di atto amministrativo per la disciplina dei calendari venatori, in Giur. cost. 2012, p. 216. La Consulta ha sempre aspramente censurato il fenomeno, cfr. G. Bernabei, Legge provvedimento e tutela giurisdizionale nell’ordinamento costituzionale italiano, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2015, p. 1305, in quanto elusivo del potere di annullamento governativo degli atti regionali difformi dal quadro precettivo delle direttive in tema. In ogni caso, anche se in veste di legge, si tratta di provvedimenti che devono essere motivati; sul punto M. Picchi, Un altro caso di motivazione obbligatoria della legge (nell’attesa del riconoscimento del principio generale), Giur. cost. 2010, p. 4006. Sempre sull’argomento, dell’A., Caccia in deroga allo storno e ‘deregulation’ regionale: dalle leggi-provvedimento alle leggi ‘con’ provvedimento (tutte illegittime), in questa Rivista, 2018, p. 103.

[ix] La legge regionale 19/17 infatti si distingue per essere una tra le più articolate in tema, nonostante l’approccio quasi esclusivamente venatorio ed alimentare, posto che si occupa anche della gestione dei capi abbattuti, prevedendone il conferimento a centri appositi, per finalità di controllo sanitario e di tracciabilità della filiera (art. 6), del recupero dei capi feriti (art. 7) e dell’indennizzo e prevenzione dei danni (art. 5).

Diverse sorti ha invece avuto, di recente, la legge regionale ligure 28 dicembre 2017 n. 29, che aveva previsto l’affiancamento di squadre di cacciatori come coadiutori degli organi pubblici di vigilanza in periodi e zone di divieto di caccia e liberalizzato il consumo di carne di cinghiale abbattuto per sagre e manifestazioni gastronomiche, quando il consumo di selvaggina deve essere in forma privata e non per fini di lucro. Cfr. sentenza 44 del 13 marzo 2019, in www.cortecostituzionale.it

[x] Al riguardo, ad esempio, il TAR Toscana, sez. II, nella recente sentenza 521 dell’8 aprile 2019, si occupa della gestione del cinghiale in Toscana, nel quadro del riordino delle funzioni provinciali in materia di caccia, trasferite alle Regioni unitamente ai rapporti attivi e passivi, processuali e finanziari dalla legge regionale 22/2015. Ebbene, rilevando che quest’ultima è stata dichiarata incostituzionale proprio per tale effetto sostitutivo dalla Consulta, con sentenza 110 del 2018, i giudici amministrativi – facendo applicazione della successione universale tra enti al caso concreto – ravvedono nel trasferimento ope legis della funzione una causa di interruzione del processo amministrativo; cosi in www.giustizia-amministrativa.it

[xi] In particolare il Collegio si diffonde sui rilievi di ISPRA, che evidenzia come le alternative al prelievo a fini di controllo debbano essere praticabili, e non solo teoriche: quanto alle recinzioni, per esempio, è l’organo statale stesso a rilevare la necessità di un utilizzo limitato delle stesse, in quanto potenzialmente negative per la fauna in generale, specie se utilizzate diffusamente e in modo indiscriminato. E’ la stessa ISPRA che poi evidenzia i limiti della sterilizzazione, difficilmente praticabile su specie selvatiche diffuse sul territorio.

[xii] Sebbene il legislatore non abbia introdotto tale requisito di fissazione di una soglia minima e massima di presenza tollerabile – criterio comunque riconducibile a quello di densità faunistica ottimale – il TAR nella sentenza in esame è risoluto nell’affermare la necessità – a pena di irragionevolezza – della presenza di detta soglia, e della valutazione del suo superamento o meno per la modulazione dell’intervento “in maniera adattiva sulla base dei risultati raggiunti in termini di riduzione dei danni alle attività antropiche e alla biodiversità, nonché di contenimento dei conflitti sociali”, obiettivo enunciato oltretutto dal decreto regionale stesso.

[xiii] La sentenza, TAR Piemonte n. 144 del 6 febbraio 2019 dà peraltro atto dell’interesse delle parti ad una pronuncia sulle questioni di principio, sia per la valutazione dei profili di soccombenza virtuale, ma soprattutto per “orientare la futura attività provvedimentale della città metropolitana nel settore in esame”, ciò che viene espressamente richiesto da ambedue i difensori. Il Collegio quindi affronta professamente gli scostamenti della legge regionale piemontese dalla legge quadro nazionale, affermandone la violazione sotto i profili dedotti dai ricorrenti quali vizi discesi anche nel provvedimento impugnato, per concludere appunto nel senso della fondatezza della questione di legittimità costituzionale. Inoltre i giudici si spingono oltre, e richiamando le sentenze della Corte costituzionale 217/2018 relativa all’Abruzzo, 139/2017 relativa alla legge ligure, 107/2014 relativa al Veneto, la sentenza 303/2013 relativa alla legge campana e le più risalenti pronunce 151/2011 relativa a Bolzano e 227/2011 relativa al Friuli Venezia Giulia, conclude che “se il presente giudizio fosse pervenuto a una definizione nel merito il collegio avrebbe certamente sollevato la q.l.c….attivando un giudizio dall’esito pressochè scontato visti i precedenti in termini della stessa Corte riferiti a normative analoghe” ed ammonisce l’ente: “è bene però che l’amministrazione resistente tenga conto delle considerazioni di cui sopra in vista dell’attività provvedimentale che verosimilmente si appresta a porre in essere in materia di contenimento dei cinghiali in ambito provinciale, attività nell’ambito della quale non potrà prescindere da quanto previsto dalla legge statale di riferimento n. 157/1002; sicchè delle due l’una: o verrà modificata la normativa statale in senso conforme alla vigente normativa regionale, condividendo i caratteri di specialità ed emergenzialità della specie cinghiale, oppure sarà necessario modificare quest’ultima in senso conforme alla normativa statale, per non incorrere in una pronuncia di incostituzionalità pressochè inevitabile”. In www.giustizia-amministrativa.it

[xiv] Sul tema delle patologie, per un’analisi realistica A.Jansen, E.Luge, B.Guerra, P.Wittschen, Petra; A.Gruber, C. Loddenkemper, T.Schneider, M.Lierz, D.Ehlert, B.Appel, Leptospirosis in urban wild boars, Berlin, Germany, Emerging infectious diseases, Centers for Disease Control and Prevention, 2007, p. 739. Quanto all’allarme sociale, J. Mayer, Wild pig attacks on humans, University of Nebraska – LincolnWildlife Damage Management Conferences –Proceedings, 2013.

[xv] Numerosi gli studi faunistici sul tema; per i più recenti e completi, si rimanda a S.Cahill, F.Llimona, L.Cabañeros, F. Calomardo, Characteristics of wild boar (Sus scrofa) habituation to urban areas in the Collserola Natural Park (Barcelona) and comparison with other locations, Animal Biodiversity and Conservation, 2012, p.221 e ss.; G.Massei, J.Kindberg, A. Licoppe, D.Gačić, N.Šprem, J.Kamler, E. Baubet, U. Hohmann, A. Monaco, J. Ozoliņš, Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe, Pest management science, Wiley Online Library, 2015, p. 492; M.Stillfried, J. Fickel, K. Börner, U.Wittstatt, M.Heddergott, S.Ortmann, S. Kramer‐Schadt, A.C. Frantz, Do cities represent sources, sinks or isolated islands for urban wild boar population structure? Journal of applied ecology, Wiley Online Library, 2017, p. 272 e ss.

[xvi] Cfr. I.Zuberogoitia, J.Del Real, J.J. Torres, L.Rodríguez, M. Alonso, J. Zabala, Ungulate vehicle collisions in a peri-urban environment: consequences of transportation infrastructures planned assuming the absence of ungulates, PloS one, Public Library of Science, 2014, p. 107713.

[xvii] Il quadro conoscitivo sul consumo di suolo nel nostro Paese  è disponibile  grazie ai dati aggiornati al 2016 da  parte  del Sistema  Nazionale  per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e, in particolare, della cartografia prodotta dalla rete dei referenti per il monitoraggio del territorio e del consumo di suolo del SNPA,  formata  da ISPRA e dalle Agenzie per la Protezione dell’Ambiente delle Regioni e delle Province autonome. Così ISPRA,  Consumo di suolo, dinamiche territoriali eservizi ecosistemici, Edizione 2018.

[xviii]Si veda R.Castillo-Contreras, J.Carvalho, E.Serrano, G.Mentaberre, X.Fernández-Aguilar, A.Colom, C.González-Crespo, S.Lavín, J.R. López-Olvera, Urban wild boars prefer fragmented areas with food resources near natural corridors, Science of the Total Environment, Elsevier, 2018, p. 282 e ss.

[xix] Cfr. P. Brambilla, Standard di protezione della fauna selvatica e capricci venatori regionali: un passo avanti, due indietro, in questa Rivista, 2017 p. 437.

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