I requisiti per l’utilizzo agronomico del digestato

15 Nov 2019 | giurisprudenza, amministrativo

di Ada Lucia De Cesaris e Elena Serra  

CONSIGLIO DI STATO, Sez. III – 4 settembre 2019, n.  6093– Pres. Frattini, Est. Santoleri – Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero della Salute (Avvocatura generale dello Stato) c. S. F. S.r.l. (avv.ti Munari e Blasi). 

Il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il Decreto Ministeriale che, nel disciplinare l’utilizzazione agronomica del digestato, individua limiti stringenti scegliendo un’interpretazione restrittiva di agroindustria applicando il principio di precauzione.

Con la pronuncia in commento il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza del TAR Lazio, Sez. II-ter, n. 6906/2018 che aveva dichiarato illegittime alcune disposizioni del Decreto Ministeriale n. 5046 del 25 febbraio 2016 (in seguito anche Decreto o D.M.) recante criteri e norme tecniche per la produzione e l’utilizzazione agronomica del digestato.

Il digestato è un materiale semisolido con proprietà fertilizzanti che risulta da processi di digestione anaerobica finalizzati alla produzione di biogas. Si tratta, quindi, di una sostanza, originata da un processo di produzione di cui costituisce parte integrante e del quale non costituisce la finalità, che può essere utilizzata in ambito agricolo come fertilizzante. La medesima è pertanto astrattamente qualificabile come sottoprodotto ai sensi dell’art. 184-bis del D.lgs. 152/2006 (in seguito anche Codice dell’Ambiente); tale disposizione prevede che sia sottoprodotto e non rifiuto quella sostanza che soddisfa cumulativamente le seguenti condizioni: a) sia originata da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza; b) è certo che la sostanza sarà riutilizzata; c) la medesima può essere utilizzata direttamente senza essere sottoposta a particolari trattamenti; d) l’ulteriore utilizzo è legale in quanto la sostanza soddisfa tutti i requisiti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente.

Atteso che il digestato può essere adoperato in agricoltura, si è resa necessaria una disciplina che indicasse i limiti di tale utilizzo, al fine di proteggere la salute e l’ambiente, dando così attuazione ad una delle prescrizioni di cui all’art. 184-bis del Codice dell’Ambiente.

In proposito va ricordato che una prima disciplina è stata fornita dall’art. 52 comma 2-bis del D.L. 83/2012 (convertito con L. 134/2012) che ha stabilito che è sottoprodotto il digestato utilizzato a fini agronomici a condizione che sia ottenuto in impianti aziendali o interaziendali dalla digestione anaerobica – anche associata ad altri trattamenti di tipo fisico-meccanico – di i) effluenti di allevamento, ii) residui di origine vegetale o iii) residui delle trasformazioni o valorizzazioni delle produzioni vegetali effettuate dall’agroindustria conferiti come sottoprodotti.

La predetta disposizione ha previsto, altresì, che le caratteristiche e le modalità di impiego del digestato equiparabile – per effetti fertilizzanti ed efficienza d’uso – ai concimi di origine chimica venissero però regolate da un apposito Decreto ministeriale. È stato, quindi, emanato il D.M. n. 5046/2016, oggetto della controversia in esame, che ha individuato ulteriori requisiti affinché il digestato possa essere qualificato come sottoprodotto e non come rifiuto.

In primo luogo, è stato previsto che all’origine del processo di digestione vi possano essere solo determinate sostanze, individuate nel dettaglio dall’art. 22 del Decreto. Inoltre si richiede che le sostanze immesse nell’impianto di digestione provengano da attività agricole o agroalimentari svolte dalla medesima impresa che ha la proprietà o la gestione dell’impianto di digestione anaerobica o da attività di imprese agricole o agroalimentari associate, consorziate o legate da un contratto pluriennale con essa.

L’elenco di sostanze previsto dal Decreto non include la “glicerina grezza” che è un sottoprodotto del processo di produzione del biodiesel, biocombustibile ottenuto da oli vegetali e grassi animali. Per effetto di tale normativa, la glicerina grezza non può essere utilizzata per alimentare gli impianti di biogas, sia perché non contemplata nelle sostanze specificamente individuate, sia perché non deriva da attività di imprese agricole o agroalimentari.

Proprio questa limitazione è stata censurata con il ricorso avanti al TAR Lazio, proposto da un’impresa produttrice di biodiesel, che ne ha dedotto il contrasto con la normativa primaria, sulla base del fatto che la glicerina grezza sarebbe qualificabile come “residuo delle trasformazioni o valorizzazioni delle produzioni vegetali effettuate dall’agroindustria”, ai sensi dell’art. 52, comma 2-bis, D.L. 83/2012 (convertito con L. 134/2012). Il Giudice di prime cure ha osservato che la nozione di agroindustria prevista dalla predetta disposizione non è definita da alcuna fonte normativa e può essere, quindi, interpretata sia in senso restrittivo, correlandola al settore agroalimentare, quanto in senso più ampio come comprensiva di ogni “valorizzazione di produzioni vegetali” e, quindi, anche degli impianti di produzione di biodiesel quando siano alimentati unicamente con materie prime di origine vegetale. Il TAR ha però optato per quest’ultima interpretazione, ritenendola “comunitariamente” orientata, posto che la normativa dell’Unione Europea favorisce il riutilizzo, riciclaggio e recupero di residui della produzione al fine di ridurre al minimo la creazione di rifiuti.

Il Consiglio di Stato non ha però condiviso le valutazioni del TAR del Lazio, ritenendo che il Decreto impugnato si sia limitato a specificare quanto già desumibile dalla normativa primaria, laddove la nozione di agroindustria va intesa, in senso restrittivo, come l’insieme dei processi produttivi dedicati alla raccolta, al trattamento e alla trasformazione dei prodotti agricoli e non può quindi includere l’attività industriale di produzione dei carburanti.

Il Consiglio di Stato ha evidenziato che sebbene la normativa europea promuova il massimo sfruttamento delle risorse e la riduzione dei rifiuti, nondimeno la qualificazione come sottoprodotto di un residuo necessita di “particolare cautela” poiché impatta sull’ambiente ma soprattutto sulla salute umana. Ad avviso del Collegio, infatti, atteso che il digestato, quale fertilizzante, agisce direttamente sulla catena alimentare, l’Amministrazione ha fatto corretta applicazione del principio di precauzione e di prevenzione, ammettendo i soli materiali per i quali l’impiego deve ritenersi sicuramente privo di rischi per la salute e richiedendo a tal fine che i medesimi provengano da attività che appartengano alla filiera alimentare, sottoposte a rigorose norme sanitarie.  Al contrario non potrebbe considerarsi priva di rischi la glicerina grezza, considerato che gli operatori del biodiesel devono rispettare solo la normativa sui rifiuti e non gli adempimenti e i controlli sanitari che si applicano agli operatori del settore alimentare.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

De Cesaris_Cons. Stato 6093_2019

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