I movimenti dei rifiuti tra le regioni fra divieti incostituzionali e viaggi della speranza

20 Mag 2021 | giurisprudenza, corte costituzionale

di Luciano Butti  

Corte costituzionale 23 marzo-21 aprile 2021, n. 76 – Pres. Coraggio, Est. Amato – Giudizio di legittimità costituzionale in via principale – Pubblicazione in G. U. 21/04/2021 n. 16 – Norme impugnate: Art. 21, c. 2°, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 11/02/2020, n. 3. 

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, della legge della Regione Valle d’Aosta 11 febbraio 2020, n. 3 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale per il triennio 2020/2022. Modificazioni di leggi regionali e altre disposizioni), nella parte in cui introduce l’art. 16-bis, commi 2, 3 e 4, della legge della Regione Valle d’Aosta 3 dicembre 2007, n. 31 (Nuove disposizioni in materia di gestione dei rifiuti);

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, della legge reg. Valle d’Aosta n. 3 del 2020, nella parte in cui introduce l’art. 16-bis, comma 1, della legge reg. Valle d’Aosta n. 31 del 2007, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 120, primo comma, della Costituzione, nonché agli artt. 2 e 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), con il ricorso indicato in epigrafe.

La sentenza della Corte

Con sentenza 21 aprile 2021 n. 76, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, della legge della Regione Valle d’Aosta 11 febbraio 2020, n. 3, nella parte in cui aveva introdotto nella legge quadro regionale sui rifiuti (n. 31/2007) una serie di limitazioni di fatto e di diritto all’ingresso in regione di rifiuti (diversi da quelli urbani non pericolosi) provenienti da altre regioni, e ciò in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 120, primo comma, della Costituzione.

E’ solo infatti per i rifiuti urbani non pericolosi che queste limitazioni sono non soltanto possibili, ma doverose, vigendo per tali rifiuti il criterio tendenziale della autosufficienza regionale.

Esaminiamo nei prossimi paragrafi in dettaglio i contenuti della sentenza (che solo in parte ha accolto i rilievi dello Stato verso la legge regionale valdostana), per poi passare a considerazioni più generali sulla movimentazione dei rifiuti urbani tra le regioni italiane e verso l’estero.

La questione dichiarata non fondata dalla Corte

Prevedibilmente, la Corte ha ritenuto non fondate le questioni poste dallo Stato con riferimento all’art. 21, comma 2, della legge reg. Valle d’Aosta n. 3 del 2020, nella parte in cui prevede che, salva la sottoscrizione di appositi accordi di programma con le Regioni interessate, è vietata l’esportazione di rifiuti urbani verso altri ambiti territoriali ottimali o l’importazione di rifiuti urbani da altri ambiti territoriali ottimali.

Tale previsione della norma impugnata, infatti, era ed è conforme all’art. 182 cod. ambiente, a sua volta contenente il divieto di smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali e internazionali che, in ragione di particolari aspetti territoriali o per opportunità tecnico-economica, prevedano diversamente per raggiungere livelli ottimali di utenza servita.

Tutto ciò avviene sulla base dei principi di autosufficienza e di prossimità, di derivazione comunitaria (art. 16 della direttiva 2008/98/CE) e giustifica pertanto in pieno la conferma di questa parte della normativa regionale impugnata dallo Stato.

Le questioni dichiarate fondate dalla Corte

Come osservato in via preliminare dalla Corte, la normativa censurata interviene sulla disciplina dello smaltimento dei rifiuti, materia ascrivibile alla «tutela dell’ambiente», riservata allo Stato (art. 117 della Costituzione). Inoltre, i vincoli imposti dallo Stato per assicurare uniformità di disciplina operano anche nei confronti delle Regioni ad autonomia speciale, come la Regione autonoma Valle d’Aosta, la quale è peraltro priva di una competenza statutaria generale in materia ambientale e/o di gestione dei rifiuti.

In base a quanto previsto dai rispettivi piani regionali, regolati dagli artt. 199 e 200 cod. ambiente, le Regioni esercitano le proprie competenze concernenti l’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti, l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti e l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, nel rispetto dei ricordati principi di autosufficienza e prossimità.

Con particolare riferimento allo smaltimento in discarica, infine, proprio l’art. 182 cod. ambiente rinvia al d.lgs. n. 36 del 2003, recentemente modificato dal decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 121, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti», che ha rinnovato i criteri per lo smaltimento in discarica già indicati da tale ultimo atto.

Ciò premesso, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità di tre aspetti della disciplina regionale impugnata.

In primo luogo, è stata dichiarata incostituzionale la parte dell’art. 21, comma 2, della legge reg. Valle d’Aosta n. 3 del 2020 che – al fine di disincentivare la realizzazione di discariche per il conferimento di rifiuti speciali provenienti da altre Regioni – vietava, con assai limitate eccezioni, di completare i lavori relativi alle attività finalizzate alla gestione di siffatti rifiuti nelle discariche non ancora in esercizio alla data del 1° gennaio 2020, con revoca delle autorizzazioni e delle eventuali proroghe già concesse a decorrere dal 15 febbraio 2020. Osserva puntualmente la Corte come, in questo caso, non venga in rilievo la facoltà della Regione autonoma di disincentivare le discariche, conformemente agli indirizzi europei. La norma impugnata, e dichiarata incostituzionale, conteneva ben altro. Essa infatti nella sostanza “cristallizzava” in via legislativa l’esistente, sull’assunto che il fabbisogno regionale sarebbe sufficientemente coperto, sia per quanto concerne la domanda interna, sia per quella extraregionale. Siffatta valutazione di autosufficienza avveniva attraverso un intervento legislativo tale da sottrarre in via legislativa e permanente agli strumenti di pianificazione la valutazione sul fabbisogno di smaltimento dei rifiuti: in violazione pertanto dell’art. 182 cod. ambiente, che rinvia al d.lgs. n. 36 del 2003 sulle discariche, ove sono appunto richiamate le procedure e la pianificazione di cui al codice dell’ambiente.

In secondo luogo, secondo la Corte, il disincentivo alla realizzazione di nuove discariche – realizzato dalla normativa regionale impugnata dallo Stato – assumeva una portata lesiva della Costituzione anche nella parte in cui consentiva il conferimento di rifiuti speciali provenienti da altre Regioni solo nelle discariche per rifiuti inerti già in esercizio alla data del 1° gennaio 2020, entro e non oltre il limite del 20 per cento della loro capacità annua autorizzata.  Tale disposizione, infatti, realizzava un’ulteriore cristallizzazione dell’esistente, non solo per gli impianti, ma anche per le tipologie e i quantitativi di rifiuti extraregionali conferibili nelle discariche del territorio valdostano, al dichiarato fine di ridurre la movimentazione dei rifiuti nella Regione. Come più volte chiarito dalla Corte, infatti, un criterio di autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti in ambiti territoriali ottimali vale solo per i rifiuti urbani non pericolosi e non anche per altri tipi, per i quali vige invece il diverso criterio della vicinanza di impianti di smaltimento appropriati. Un limite quantitativo e qualitativo non derogabile per lo smaltimento di rifiuti extraregionali diversi da quelli urbani non pericolosi, pertanto, contrasta con il vincolo generale imposto alle Regioni dall’art. 120, primo comma, Cost., che vieta ogni misura atta ad ostacolare la libera circolazione delle cose e delle persone fra le stesse Regioni e che s’impone anche alle autonomie speciali. Per tali tipologie di rifiuti, infatti, non è possibile preventivare in modo attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa che, conseguentemente, rende impossibile individuare un ambito territoriale ottimale che valga a garantire l’obiettivo della autosufficienza nello smaltimento.

In terzo e ultimo luogo, la normativa regionale impugnata è risultata costituzionalmente illegittima nella parte in cui attribuiva alla Giunta regionale l’individuazione dei rifiuti, soggetti a caratterizzazione, derivanti da processi industriali, il cui conferimento è vietato presso le discariche per rifiuti inerti. Tale disposizione – pur non facendo riferimento ai soli rifiuti extraregionali –consentiva nella sostanza ulteriori restrizioni al conferimento dei rifiuti speciali nelle discariche per inerti, i cui criteri di ammissibilità sono tra l’altro previsti dalla normativa europea e dal d.lgs. n. 36 del 2003 e, quindi, non sono nella disponibilità delle Regioni.

Le rilevanti esportazioni fuori regione di rifiuti urbani non pericolosi: un macigno per la sostenibilità e la transizione ecologica

Come si è visto sopra, l’art. 182 cod. ambiente prevede il divieto di smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali e internazionali che, in ragione di particolari aspetti territoriali o per opportunità tecnico-economica, prevedano diversamente per raggiungere livelli ottimali di utenza servita. Tutto ciò avviene in conformità ai principi di autosufficienza e di prossimità, di derivazione comunitaria (art. 16 della direttiva 2008/98/CE) ed ha portato alla conferma di quella parte della disciplina regionale che si limitava a meglio precisare il menzionato generale divieto.

Senonché, da molti anni, in molte regioni d’Italia, quella che dovrebbe essere l’eccezione è divenuta la regola. L’esportazione dei rifiuti urbani non pericolosi in altre regioni o addirittura all’estero non è affatto – come richiesto dal menzionato art. 182 (e dai principi comunitari di autosufficienza e prossimità) – una decisione eccezionale e di breve durata, quanto invece una scelta strategica, sostanzialmente collegata alla decisione politica di non realizzare in ambito regionale e/o di Città Metropolitana i necessari impianti di trattamento dei rifiuti urbani.

Ciò comporta, per i cittadini delle comunità interessate e per l’intera nazione, un rilevantissimo danno economico, di immagine e ambientale.

Comporta un danno economico, in quanto il trasporto verso luoghi lontani ha ovviamente un alto costo e tali impianti, conoscendo le difficoltà del territorio di provenienza, spuntano prezzi davvero elevati.

Comporta un danno di immagine, per la palese arretratezza di una comunità che non si mostra in grado di realizzare i necessari impianti di trattamento dei rifiuti, nonostante l’ampia e diffusa disponibilità di moderne tecnologie sicure per la salute e per l’ambiente.

Comporta, infine, un grave danno per l’ambiente e per il clima, giacché rilevantissime sono le inutili emissioni di gas serra che il trasporto di questi rifiuti (in quantitativi enormi) inevitabilmente comporta.

La prassi della esportazione dei rifiuti urbani verso altre regioni o addirittura verso l’estero ha caratterizzato negli ultimi decenni, per lunghi periodi, regioni come la Campania e la Sicilia, ma anche alcune regioni del Nord, come parte del Veneto.

Nelle ultime settimane, però, la prassi menzionata ha raggiunto aspetti paradossali con l’ordinanza n. 12355 del 20 aprile 2021 del Presidente della Regione Lazio. Tale ordinanza infatti non si limita ad autorizzare per un periodo i purtroppo necessari movimenti di ampi quantitativi di rifiuti urbani laziali verso altre regioni, ma sembra persino anticipare che questa situazione diventerà in Lazio, e in particolare a Roma, permanente.  Il provvedimento regionale infatti ordina a Roma Capitale e ad AMA spa, di porre in essere una serie di attività amministrativo-contabili in una prospettiva di lunga durata, quali:

  • La stipula di accordi tra gestori in ambito interregionale e contratti/convenzioni ulteriori rispetto a quelli vigenti, necessari per far fronte all’emergenza creatasi e ad eventuali ulteriori emergenze ascrivibili al perdurare della mancata autosufficienza impiantistica del sub ambito di Roma Capitale;
  • La proroga del termine per gli adempimenti per l’avvio della procedura di gara per la selezione di impianti di conferimento all’estero.

Quando l’emergenza diviene tendenzialmente una regola, la transizione ecologica, della quale tanto si parla in questo periodo, viene dimenticata. Tutto questo non ha alcunché a che fare con una moderna gestione dei rifiuti, né con la doverosa protezione della salubrità ambientale e della salute dei cittadini.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito della Corte costituzionale) cliccare sul pdf allegato.

pronuncia_76_2021

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