I cambiamenti climatici tra cause civili, scelte politiche e giurisdizione amministrativa

01 Apr 2024 | giurisprudenza, civile

di Federico Vanetti

Tribunale Ordinario di Roma, Seconda Sezione Civile, 26 febbraio 2024, n. 3552, Giudice dott. Assunta Canonaco – A Sud Ecologia e Cooperazione ODV + altri (avv. ti Raffaele Cesari, Luca Saltalamacchia e Prof. Michele Carducci) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avvocatura Generale dello Stato).

L’interesse ad agire in giudizio contro lo Stato per ottenere la condanna di quest’ultimo all’adozione – come forma di risarcimento – di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento entro il 2030, delle emissioni nazionali artificiali di CO2-eq nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990,  non rientra nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati, in quanto le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici.

** ** **

La sentenza in commento rappresenta la prima pronuncia in Italia relativa ad un contenzioso climatico avviato da privati contro lo Stato al fine di contrastare i cambiamenti climatici in atto.

Il climate change litigation è un fenomeno internazionale, nato negli Stati Uniti e poi diffusosi recentemente anche in Europa[i]. A fronte di alcuni precedenti favorevoli[ii], il c.d. “Giudizio Universale” mirava ad ottenere dallo Stato italiano una modifica delle politiche e strategie di contenimento del fenomeno del cambiamento climatico per raggiungere obiettivi anche più ambiziosi di quelli previsti dalla normativa europea.

La domanda risarcitoria avanzata dagli attori si basa su un’asserita responsabilità extracontrattuale dello Stato che, non avendo intrapreso misure straordinarie idonee a ridurre del 92% le emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030, avrebbe illegittimamente leso il diritto al clima e alla conservazione delle condizioni di vivibilità per le generazioni future.

La c.d. tutela intergenerazionale dei diritti umani troverebbe fondamento nell’art. 2 della Costituzione e, tra i diritti umani tutelati, rientrerebbe anche l’ambiente nella sua componente climatica.

Su tale presupposto, l’azione promossa contestava anche il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), ritenendolo inidoneo al raggiungimento degli obiettivi desiderati dagli attori.

Il Tribunale di Roma, tuttavia, ha ritenuto inammissibili le domande attoree per difetto di giurisdizione.

Per quanto riguarda la domanda principale volta ad ottenere misure idonee a garantire la riduzione del 92% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990, il Tribunale rileva come la richiesta vada ben oltre gli obiettivi che gli Stati si sono auto-imposti con gli accordi internazionali e poi recepiti a livello europeo e nazionale che fissavano il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 con un taglio delle emissioni di CO2 al 2030 pari al 55% di quelle prodotte nel 1990.

Sul punto, il Giudice di prime cure rileva come l’azione non sia volta a censurare gli atti normativi e programmatori europei attraverso i rimedi previsti dall’ordinamento (es. artt ex 263 e art. 340 TFUE), né a contestare una presunta violazione dello Stato rispetto alla disciplina sovraordinata, bensì ad individuare un comportamento illecito a fronte della violazione dell’obbligo che lo Stato italiano avrebbe assunto direttamente nei confronti dei singoli cittadini per garantire a questi un diritto al clima, che presuppone anche scelte più rigorose rispetto a quelle imposte dalla UE, facendo leva sul principio di precauzione che imporrebbe l’adozione di misure legislative e programmatiche basate sulle evidenze scientifiche.

Il Tribunale, dunque, ha declinato la propria giurisdizione dando atto del fatto che, attraverso un’azione risarcitoria extracontrattuale, invero, gli attori intendono imporre giudizialmente scelte politiche riservate al legislatore e all’esecutivo per il raggiungimento degli obiettivi assunti a livello internazionale ed europeo (nel breve e lungo periodo).

Sotto altro punto di vista, per quanto riguarda la contestazione degli atti di pianificazione generale (PNIEC), il Tribunale si è ritenuto incompetente, atteso che l’eventuale illegittimità di tali atti aventi natura di provvedimento amministrativo generale deve essere vagliata dal Giudice Amministrativo.

Questa prima decisione italiana sui cambiamenti climatici offre diversi spunti di riflessione.

Innanzitutto, pur dovendo affrontare un tema quanto mai delicato e di massima attualità, il Tribunale soppesa attentamente gli equilibri costituzionali, declinando la propria competenza rispetto a decisioni e scelte che spettano al legislatore o all’esecutivo e, quindi, rispettando il principio di separazione dei poteri.

A supporto del proprio difetto assoluto di giurisdizione, la sentenza in esame richiama alcuni precedenti della Suprema Corte di Cassazione[iii] che richiedono l’esistenza di una norma idonea a tutelare l’interesse dedotto in giudizio, ritenendo di contro non consentito un sindacato sulla sfera riservata dalla Costituzione allo Stato legislatore.

Sul punto, è bene osservare che il climate change rappresenta un fenomeno globale sia come cause, sia come effetti, che prescinde dalla territorialità e competenza di un singolo Stato.

Gli accordi internazionali, dunque, costituiscono lo strumento attraverso cui possono essere definite politiche unitarie e condivise tra Stati, ma ciò nell’ambito di una negoziazione delle politiche economiche e ambientali che appartiene evidentemente ad una autoregolamentazione pattizia.

Peraltro, nel nostro sistema giuridico, i trattati internazionali (in particolare quelli sul clima) sono prima recepiti dall’Unione Europea che stabilisce attraverso le proprie norme gli impegni e obblighi degli Stati Membri, e poi da questi ultimi nel proprio ordinamento, così come per altro avvenuto con la Direttiva sull’Emission Trading[iv] che ha definito il sistema europeo e, a cascata, quello nazionale del mercato dei crediti di CO2.

Come anche rilevato dalla sentenza in commento, potrebbe rinvenirsi una responsabilità di uno Stato Membro per non essersi uniformato alla disciplina europea sovraordinata, ma non invece una responsabilità extracontrattuale per non aver perseguito obiettivi più stringenti di quelli imposti a livello comunitario e, addirittura, di quelli pattuiti a livello internazionale.

Invero, ad avviso di chi scrive, rileva anche un ulteriore elemento di valutazione: per il raggiungimento degli obiettivi fissati dai trattati internazionali, è necessario che tutti i Paesi firmatari adempiano correttamente ai propri obblighi. L’azione del singolo, infatti, non è determinate senza le altre parti.

Basti pensare che l’Italia produce lo 0,9% delle emissioni di Co2 globali, con il che – anche ipotizzando un impegno assoluto del nostro Paese per neutralizzare tali emissioni al 2030 – il problema climatico risulterebbe sostanzialmente inalterato senza l’azione congiunta degli altri Paesi[v].

Ciò, di fatto, porterebbe a ritenere che l’azione promossa dai cittadini per tutelare il proprio diritto al clima difetterebbe anche dell’interesse ad agire in quanto, ove anche un venissero fissati giudizialmente obiettivi e misure più ristrettive per l’Italia, questi non sarebbero idonei a garantire un effettivo risarcimento inteso come diritto delle generazioni future a preservare la vivibilità del nostro Pianeta.

È proprio la globalità del problema che supera la territorialità del singolo Stato e rende inadeguati i rimedi giudiziari ordinari anche laddove applicati in modo innovativo per superare eccezioni processuali.

Sotto altro profilo e con riferimento alla domanda avanzata in subordine dagli attori, il Tribunale declina la propria giurisdizione anche rispetto al sindacato di legittimità sugli atti amministrativi generale adottati dal Governo per perseguire gli obiettivi internazionali ed europei di riduzione della CO2 (PNIEC – Piano Nazionale Integrato Energie e Clima).

Come noto, infatti, il d.lgs. n. 152/2006 demanda alla Pubblica Amministrazione la gestione delle questioni ambientali sia in sede autorizzativa, sia in sede di controllo, anche con riferimento agli aspetti sanzionatori e risarcitori, tra cui il risarcimento del c.d. danno ambientale[vi].

È, quindi, evidente che la contestazione degli atti amministrativi con cui il Governo intende dare attuazione alle politiche climatiche o agli obblighi europei, non può che essere rimessa al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.

È bene evidenziare che il giudice amministrativo è anche competente a sindacare rispetto ai giudizi di legittimità o di ottemperanza relativi alle ipotesi di accertamento del danno ambientale.

A tal proposito, è bene ricordare che il d.lgs. n. 152/2006 legittima tanto i cittadini quanto le associazioni ambientaliste a dare impulso all’avvio dei procedimenti di accertamento del danno ambientale da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, legittimandoli anche a promuovere le azioni giudiziali avanti al TAR e al Consiglio di Stato contro le decisioni o l’inerzia ministeriale.

Fermo restando che non è affatto scontato che il c.d. “danno climatico” rappresenti una sottocategoria del danno ambientale, è comunque evidente che il nostro ordinamento previlegia una gestione “pubblica” delle questioni ambientali con il che le azioni proposte in sede civile per finalità asseritamente risarcitorie rappresentano evidentemente un tentativo giudiziale volto a bypassare tale impostazione che, tuttavia, è stata scelta dal legislatore e dovrebbe essere modificata eventualmente nelle opportune sedi.

SCARICA L’ARTICOLO IN PDF

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato.

NOTE:

[i] Sul punto, vedi anche S. Nespor, “L’etica, il capitalismo e il cambiamento climatico”, RGA on line 20 giugno 2021; L. Butti, “Il contenzioso sul cambiamento climatico in Italia”, RGA on line 20 giugno 2021; J. Green e L. Camenzuli, “Court decisions herald dramatic evolution of climate change litigation” RGA on line 20 giugno 2021. Cfr. F.Vanetti e L. Ugolini, “Il climate change arriva in tribunale: quadro giuridico e possibili scenari giudiziali”, in Ambiente e Sviluppo, 2019, 10, pag. 739 e ss.

[ii] Il caso Urgenda, dove lo Stato olandese, (considerato tra i Paesi maggiormente emissivi d’Europa) è stato condannato definitivamente dalla Corte Suprema nel dicembre 2019 a ridurre del 25% le emissioni di CO2 nell’atmosfera entro la fine del 2020 e del 40 % entro il 2030. Successivamente altre pronunce sono state rese in cause promosse nei diversi Stati: la sentenza pronunciata dal Tribunale amministrativo di Parigi il 3 febbraio 2021 (con la quale è stata riconosciuta una responsabilità omissiva in relazione agli obiettivi e agli impegni comunitari e nazionali in materia derivanti dalla Decisione n. 406/2009/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009); la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 29 aprile 2021 che si è pronunciata sulla parziale incostituzionalità della legge federale sui cambiamenti climatici del 2019. V. anche E. Maschietto, “Cambiamento Climatico, Disastro Ambientale e violazione dei Diritti Umani: il nesso c’è anche per la Cassazione”, RGA on line 20 giugno 2021.

[iii] Cass. Sez. U – Ordinanza n. 15601 del 01/06/2023 e n. 15058 del 29.05.2023, Cass. N. 9147/2009 e n. 23730/2016).

[iv] Direttiva 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nell’Unione

[v] https://www.wired.it/article/india-cina-stati-uniti-produzione-emissioni-co2-classifica/

[vi] Fermo restando che si nutrono perplessità sul fatto che il fenomeno del climate change possa essere ricondotto al c.d. danno ambientale per come disciplinato a livello europeo e nazionale.

Scritto da