Francia e Cambiamento Climatico: riconosciuto il danno morale, ma non il préjudice écologique

18 Feb 2021 | giurisprudenza, altro

di Eva Maschietto

Il Tribunale Amministrativo di Parigi il 3 febbraio 2021 ha pronunciato una sentenza sui ricorsi di quattro organizzazioni non governative (Association Oxfam France, Association Notre Affaire À Tous, Fondation Pour La Nature Et L’homme, Association Greenpeace France) che in molti non hanno esitato a definire storica, perché costituisce il primo precedente francese di condanna dello Stato Francese alla cifra simbolica di un Euro in un giudizio promosso da associazioni ambientaliste per inadempimento agli obblighi assunti in materia di cambiamento climatico.

Delle molte domande di risarcimento presentate dai ricorrenti alla fine solo una è stata riconosciuta come accoglibile, ma non c’è dubbio che anche dalla semplice lettura della decisione si colga chiaramente una volontà dei giudici francesi ad entrare nel merito, dando forse anche qualche indicazione sistematica utile a nuove azioni.

In particolare, la quarta sezione, prima camera del Tribunale francese, ha riunito i quattro ricorsi proposti dalle organizzazioni non governative, ciascuno dei quali era stato supportato da interventi adesivi di altre associazioni esponenziali di interessi specifici, che domandavano la condanna dello Stato Francese al risarcimento della somma simbolica di 1 Euro a titolo di danno ambientale, di 1 Euro per il risarcimento del danno morale, e all’ingiunzione nei confronti del Primo Ministro e dei ministri competenti, affinché adempissero, entro un termine specifico, alle obbligazioni in materia di lotta al cambiamento climatico, prendendo tutte le misure idonee nel minor tempo possibile per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, con lo scopo di contenere l’incremento della temperatura media del pianeta al di sotto della soglia di 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali.

Le associazioni ambientaliste hanno sostenuto, nella sostanza, che lo Stato Francese è soggetto a una serie di obblighi che impongono l’adozione di misure concrete di lotta contro il cambiamento climatico e che trovano fondamento, da un lato, nel diritto di ciascuno a vivere in un ambiente equilibrato e rispettoso della salute (secondo l’art. 1 della Carta dell’Ambiente, norma di valore costituzionale) e dall’altro lato, negli obblighi internazionali assunti dalla Francia, dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici del 1992 all’Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015, il tutto sotto l’egida del principio di precauzione (in un panorama di disposizioni comunitarie specifiche) e del principio del diritto alla vita e al rispetto della vita privata e familiare, garantito dagli articoli 2 e 8 della CEDU (Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali).

Le fonti cui si appellano i ricorrenti, quindi, sono di diritto internazionale, di diritto dell’Unione Europea e di diritto interno.

Le associazioni si lamentano del fatto che lo Stato Francese abbia disconosciuto gli obblighi assunti, omettendo di adottare le misure minime richieste per il raggiungimento di obiettivi specifici, mancando di investire nella riconversione di industria e tecnologia in modo efficace a contrastare il cambiamento climatico, come avrebbero dovuto. Le censure specifiche si riferiscono a diversi profili e diverse industrie: innanzitutto si contestano le mancate misure di incentivazione del risparmio energetico e nelle fonti rinnovabili; le emissioni a effetto serra prodotte dalla Francia superano i plafond assegnati, egualmente il ritmo di efficientamento energetico non è al passo con gli obiettivi prefissati (con diretta violazione della Direttiva 2009/28/CE e delle norme nazionali francesi), così come vi è un ritardo nei trasporti, denunciandosi uno stallo nella transizione della logistica su gomma e aerea verso quella ferroviaria.  Ancora l’efficienza energetica degli edifici, l’agricoltura biologica (obiettivo del 20% sul totale), la riduzione dell’uso delle sostanze azotate, l’aumento delle leguminose sono obiettivi che non sono stati raggiunti.

Nei diversi giudizi, poi riuniti, sono intervenute diverse associazioni, (alcune escluse alla fine per aver proposto domande “ulteriori” rispetto a quella delle associazioni principali: ad esempio la Fédération nationale d’agriculture biologique a supporto del ruolo dell’agricoltura biologica nella politica ambientale, come contributore agli obiettivi di attenuazione e adattamento al cambiamento climatico perché creatrice di minori emissioni di gas serra) portatrici di specifici interessi correlati.

I ricorrenti dunque domandano il risarcimento del danno ambientale inteso come «préjudice écologique», (categoria introdotta nel codice civile francese nel 2016) e cioè della «lesione non trascurabile agli elementi o alle funzioni degli ecosistemi o ai benefici collettivi che l’uomo trae dall’ambiente», riconoscibile secondo i ricorrenti dal giudice amministrativo.

La difesa dello Stato Francese nel corso del giudizio si è concentrata sia su profili formali sia sostanziali, giustificando lo specifico operato in ciascuna materia.

Innanzitutto, ha rilevato che l’Accordo di Parigi non ha pattuizioni che abbiano un effetto diretto sugli individui, non potendo fondare quindi un’azione diretta delle associazioni che se ne rendono portavoce.

Sono poi portati avanti argomenti di merito volti a negare l’inadempimento francese, soprattutto sotto il profilo della tutela dei diritti umani, ribadendo l’impegno della Francia al raggiungimento degli obiettivi, rilevando – tra l’altro – che la questione relativa alle energie rinnovabili deve ritenersi non sovrapponibile e anzi ben distinta rispetto a quella relativa al cambiamento climatico, con anche date obiettivo diverse.

Lo Stato ha poi contestato il nesso causale tra i fatti allegati e il pregiudizio lamentato, perché la Francia è responsabile del solo 1% delle emissioni mondiali di gas serra, opponendosi al riconoscimento del danno morale per mancanza di prova e al danno ambientale per difetto di riconoscibilità da parte della giurisdizione amministrativa, rilevando – quanto all’ultima domanda – che il giudice amministrativo non avrebbe comunque mai potuto pronunciare una decisione che avesse l’effetto di presentare un disegno di legge al parlamento.

Il Tribunale ha riconosciuto innanzitutto che l’azione per la richiesta di risarcimento del « préjudice écologique » può essere proposta da tutte e quattro le associazioni ricorrenti che hanno ad oggetto la tutela dell’ambiente.

In secondo luogo il Tribunale ha riconosciuto – sulla base di fonti governative (non da ultimo quelle del Ministero della Transizione Ecologica) – la sussistenza di quel «préjudice écologique» derivante dal riscaldamento globale, indicando una serie di circostanze inequivocabili sia a livello globale (ad es. scioglimento dei ghiacci) sia a livello francese (con la descrizione di effetti climatici estremi per il 62% della popolazione francese che hanno comportato anche l’incremento delle malattie veicolate dagli insetti come la dengue e la chikungunya: (“Au regard de l’ensemble de ces éléments, le préjudice écologique invoqué par les associations requérantes doit être regardé comme établi”).

A proposito del nesso causale di natura omissiva – lo Stato Francese era infatti accusato di non aver assunto le misure appropriate cui era obbligato in virtu’ degli impegni assunti – il Tribunale, ripercorrendo le fonti delle obbligazioni, osserva come sia stato lo stesso Stato Francese a riconoscere l’esistenza dell’urgenza della lotta al cambiamento climatico; con ciò, quindi, ha riconosciuto la propria capacità di agire in modo efficace sul fenomeno, agendo sulle cause e attenuandone le conseguenze disastrose, obbligandosi quindi a rispettare misure specifiche e anche scadenze precise.

Tuttavia il Tribunale non riconosce un diretto nesso causale tra il ritardo nell’incremento delle fonti di energia rinnovabile o lo sviluppo delle norme sull’efficienza energetica e il danno ambientale, rigettando quindi le prime richieste dei ricorrenti.

Quanto, invece, all’obiettivo di riduzione dei gas ad effetto serra, il Tribunale riconosce – invece – una diretta responsabilità omissiva in relazione agli obiettivi e agli impegni comunitari e nazionali in materia derivanti dalla Decisione n. 406/2009/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020.  Tuttavia, il risarcimento monetario (anche simbolico) del «préjudice écologique» non è stato riconosciuto dal Tribunale che osserva come i ricorrenti non abbiano dimostrato l’impossibilità di una riparazione in natura, riparazione sempre preferibile secondo la legge francese, rispetto al risarcimento monetario, secondo l’insegnamento comunitario.

Il pregiudizio morale viene, invece, riconosciuto e la condanna a 1 Euro per ciascuna delle associazioni effettivamente pronunciata.

Sulla richiesta di ingiunzione allo Stato affinché cessi per l’avvenire l’aggravamento del “préjudice écologique” constatato, il Tribunale ritiene necessario un supplemento di istruttoria, in attesa di esame delle osservazioni dei ministri competenti e dispone un rinvio di due mesi.

La vicenda, quindi, non finisce qui e rimaniamo in attesa di conoscere l’esito della domanda piu’ ardita delle associazioni ambientaliste: quella di ingiungere al governo francese l’adozione di misure concrete per evitare il perdurare del ritardo e per assumere le opportune iniziative di lotta al cambiamento climatico. Una domanda i cui effetti certamente sarebbero ben più tangibili e rilevanti.

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Tribunale Amministrativo Francia

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