EU Emission Trading System. L’assegnazione di quote di emissione a titolo gratuito nella compliance europea.

01 Giu 2022 | giurisprudenza, amministrativo

di Elena Felici e Valentina Brovedani

TAR Lazio – Roma, sezione II, ordinanza 25 gennaio 2022, n. 287 – Pres. Stanizzi, Est. Gatto Costantino – Omissis S.p.a. (avv.ti Riccardo Montanaro e Laura Ferrua Magliani) c. Comitato Nazionale per la Gestione della Direttiva 2003/87/CE e per il Supporto Gest_Attiv_Progetto Kyoto, Ministero dell’Interno (non costituite in giudizio), Ministero della Transizione Ecologica (Avvocatura Generale dello Stato) e nei confronti di Omissis S.p.a. (non costituita in giudizio) e Omissis S.p.a. (avv.ti Claudio Vivani, Francesca Triveri e Silvia Giani) .

Il diritto a beneficiare di crediti di carbonio a titolo gratuito nell’ambito del mercato regolamentato dello scambio di quote di emissione è rimesso alla valutazione del Comitato ETS, che agisce in conformità e sulla base dei presupposti forniti dal diritto europeo. Con sentenza del 20 giugno 2019, causa C-682/17, la Corte di Giustizia definisce gli impianti di produzione di elettricità al fine dell’assegnazione delle quote di emissione.

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Con l’ordinanza in esame il TAR Lazio si inserisce nel contesto del mercato regolamentato dello scambio di quote di emissione definito dalla Direttiva 2003/87/CE, cosiddetto “EU Emission Trading System“.

In particolare, in ragione della natura interpretativa delle norme comunitarie attorno alla quale verte la controversia, il Tribunale Amministrativo ha deciso di rimettere in via pregiudiziale la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

In attesa del responso europeo siamo però in grado di ricostruire il contesto di riferimento nell’ambito del sistema di scambio di quote di emissione, tema peraltro al centro dell’attuale dibattito politico e sociale nella lotta contro i cambiamenti climatici.

Tale sistema rappresenta il principale strumento istituito dall’Unione europea per contrastare i cambiamenti climatici e ridurre le emissioni di gas serra in attuazione del Protocollo di Kyoto, nel rispetto dei principi sulla limitazione e sullo scambio delle emissioni.

Ad oggi, il sistema è attivo in 31 Paesi (i 28 dell’UE, l’Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia) e coinvolge le emissioni prodotte da oltre 11.000 impianti ad alto consumo di energia – centrali energetiche e impianti industriali – e dalle compagnie aeree che collegano tali Paesi, nonché circa il 45% delle emissioni di gas a effetto serra dell’Unione europea.

In concreto, l’Unione europea stabilisce, attraverso il cosiddetto sistema “cap and trade”, un tetto massimo complessivo alle emissioni consentite sul territorio europeo cui corrisponde un equivalente numero di quote di emissione: ciascuna quota [European Union Allowances – EUA] equivale a 1 tonnellata di CO2.

A ciascun grande emettitore viene dunque assegnato un tetto massimo “cap” alle emissioni di CO2 che può produrre e un corrispondente numero massimo di quote a titolo gratuito, che altro non sono se non i cosiddetti crediti di carbonio. Entro il 30 aprile di ciascun anno, i grandi emettitori devono restituire un numero di quote pari alle emissioni prodotte nell’anno precedente; se le emissioni non superano il “cap” assegnato, l’impresa avrà disponibilità di quote che potrà vendere “trade” sul mercato (sotto forma di EUA, CER o ERU); al contrario, se le emissioni registrate superano il “cap” assegnato, l’impresa dovrà reperire le quote mancanti acquistandole – questa volta a titolo oneroso – dal mercato.

È, dunque, il mercato stesso a definire il prezzo delle quote, in base alla interazione tra domanda e offerta; lo scambio crea flessibilità e garantisce che le riduzioni delle emissioni avvengano quando sono più convenienti.

La Direttiva 2003/87/CE (o Direttiva ETS) – modificata dalle più recenti Direttive 2009/23/UE e 2018/410/UE, quest’ultima recepita dall’Italia con D.Lgs. 9 giugno 2020, n. 47 – fissa al 1° gennaio 2005 la data di partenza del sistema europeo dello scambio di quote, stabilendo che, da quel momento, i grandi impianti emettitori siti nel territorio europeo devono altresì essere provvisti, per poter funzionare, dell’autorizzazione alle emissioni di gas serra.

Inoltre, la Direttiva ETS stabilisce che a partire dal 2013 gli impianti di produzione di energia elettrica e gli impianti che svolgono attività di cattura, trasporto e stoccaggio del carbonio sono tenuti ad approvvigionarsi all’asta di quote per l’intero del proprio fabbisogno; mentre gli impianti afferenti i settori manifatturieri hanno diritto all’assegnazione a titolo gratuito, sulla base del loro livello di attività e di standard di riferimento [benchmark] elaborati dalla Commissione europea e validi a livello europeo; i settori ad elevato rischio di carbon leakage, ossia esposti al rischio delocalizzazione a causa dei costi del carbonio verso paesi con politiche ambientali meno rigorose, beneficiano invece di un’assegnazione di quote a titolo gratuito pari al 100% del proprio benchmark di riferimento.

Viene così inaugurato il mercato regolamentato dei crediti di carbonio.

In Italia – dapprima con D.Lgs. 216/2006 e successivamente con D.Lgs. 30/2013 e D.Lgs. 47/2020 – è stato istituito il Comitato Nazionale per la gestione della Direttiva 2003/87/CE e per la gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto (o Comitato ETS) quale Autorità nazionale competente per l’attuazione del sistema ETS. Trattasi di un organo interministeriale presieduto dal Ministero dell’Ambiente e partecipato dai Ministeri dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture, avente il compito di determinare il quantitativo annuo di quote da assegnare a titolo gratuito ai gestori eleggibili conformemente alle norme dell’Unione.

La questione oggetto della controversia in commento riguarda i  presupposti per l’assegnazione delle quote gratuite, i cosiddetti crediti di carbonio.

Nel caso concreto, il gestore di una centrale termoelettrica, operante dunque in un settore altamente energivoro, lamenta la mancata assegnazione delle suddette quote gratuite da parte del Comitato ETS in ragione dell’errata applicazione dell’art. 10 bis, comma 3 della Direttiva ETS, dovuta ad una asserita errata interpretazione della sentenza della Corte di Giustizia del 20 giugno 2019 (causa C-682/17), con la quale è stata fornita la definizione di “impianto di produzione di elettricità” e sono stati chiariti i limiti entro i quali detti impianti hanno diritto a ricevere le quote di emissione a titolo gratuito.

Nell’opinione della ricorrente, la conclusione della Commissione Europea e del Comitato Nazionale sarebbe errata in quanto gli stessi non avrebbero preso in considerazione lo specifico caso in cui sono presenti più fonti in uno stesso impianto, non avendo distinto l’energia prodotta dalla centrale termica  (che avrebbe potuto ricevere quote gratuite) e quella dell’impianto di cogenerazione (non ad alto rendimento).

Come anticipato, la Direttiva 2009/29/UE ha modificato l’originaria Direttiva ETS e apportato alcune limitazioni all’emissione delle quote gratuite. In particolare, l’art. 10 bis, par. 3, della Direttiva ETS dispone che “fatti salvi i paragrafi 4 e 8 e a prescindere dall’articolo 10 quater, gli impianti di produzione di elettricità, gli impianti deputati alla cattura di CO2, le condutture per il trasporto di CO2 o i siti di stoccaggio di CO2 non beneficiano dell’assegnazione gratuita di quote».

A partire dal 2009, quindi, le quote a titolo gratuito non possono essere assegnate agli impianti di produzione di elettricità, salvo eccezioni specificamente stabilite nell’Allegato I.

Nel caso di specie, il Comitato ETS escludeva che l’impianto richiedente rientrasse in alcuna delle suddette eccezioni e, su parere della Commissione europea, rigettava la richiesta di quote a titolo gratuito (i) in ragione dell’interpretazione della definizione di “impianto di produzione di elettricità” – di cui all’art. 3, lett. u) della Direttiva – fornita dalla Corte di Giustizia con sentenza del 20 giugno 2019, causa C-682/17, nonché (ii) in virtù della peculiare struttura della centrale termoelettrica, storicamente costituita da diversi impianti di cogenerazione.

In particolare, con la decisione del 2019 la Corte di Giustizia aveva definito impianto di produzione di elettricità quello che dal 1° gennaio 2005, o successivamente, mediante attività di combustione di carburanti produce energia ai fini della vendita a terzi, indipendentemente dalla quantità prodotta: secondo questa interpretazione possono dunque essere qualificati impianti di produzione di elettricità anche quegli impianti che, pur producendo energia prevalentemente per uso interno, destinino una minima parte di questa, dietro corrispettivo, al mercato, salvo le eccezioni di cui sopra Ciò in quanto, ad avviso della Corte, se la qualità di impianto di produzione di elettricità dovesse dipendere dal fatto che le vendite di elettricità rientrino nell’ambito di un’attività principale o di un’attività accessoria, la determinazione del quantitativo finale delle quote di emissioni da assegnare a titolo gratuito si fonderebbe su criteri non chiari e prevedibili, considerato che il legislatore europeo non ha disciplinato alcuna soglia per chiarire in quali casi l’attività di vendita di energia debba qualificarsi come principale e in quali accessoria; ne deriverebbe una violazione del principio di certezza del diritto.

Su tale assunto la Corte aveva, inoltre, precisato che la conseguenza di quanto sopra è il venir meno del diritto all’assegnazione gratuita delle quote anche per ogni “sottoimpianto” di un impianto considerato “electricity generator” che, oltre a produrre elettricità, generi calore anche per fini diversi dalla produzione elettrica in quanto un tale impianto “non soddisferebbe le condizioni poste dall’articolo 10-bis, paragrafi 4 e 8 della direttiva”.

Secondo tale decisione, quindi, affinché un impianto possa essere qualificato come produttore di energia (e quindi escluso dall’assegnazione) è necessario che soddisfi due requisiti cumulativi e non alternativi: (i) l’impianto deve produrre, da gennaio 2005 o successivamente, elettricità ai fini della vendita a terzi, indipendentemente dalla quantità e (ii) non deve essere destinato all’esercizio di “alcuna attività elencata all’allegato I diversa dalla combustione di carburanti”.

La mancanza di anche solo uno di tali requisiti è sufficiente ad escludere l’impianto dalla categoria di impianti di produzione di elettricità.

Data la rilevanza degli interessi coinvolti e dei valori in gioco, il TAR ha quindi deciso di rimettere al Giudice Comunitario (oltre alla valutazione circa la possibilità di impugnare autonomamente la delibera oggetto di ricorso al TAR e circa la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo italiano) la valutazione circa la definizione di “impianto di produzione di elettricità” al fine di verificare se essa possa ricomprendere o meno anche situazioni in cui vi sia una pluralità di fonti di energia termica (diverse dalla cogenerazione) aventi le caratteristiche per il riconoscimento delle quote gratuite; e se una tale interpretazione sia compatibile con il diritto dell’Unione in tema di condizioni concorrenziali tra operatori.  A ben vedere, infatti, l’interpretazione europea parrebbe in contrasto con la ratio e la finalità del “EU Emission Trading System” che imporrebbe invece di differenziare gli operatori economici sulla base delle emissioni realmente prodotte e non su altri criteri, che generato disparità di trattamento tra gli operatori economici. Sarà quindi particolarmente importante conoscere quale sarà la posizione che prenderà la Corte di Giustizia sul punto.

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RGA Online – nota a TAR Lazio 287_2022 def (1)

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

N. 06397_2021 REG.RIC_

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