Emissioni in atmosfera (PFAS) e potere di ordinanza contingibile e urgente: invocare il principio di precauzione non basta

01 Dic 2023 | giurisprudenza, amministrativo

di Letizia Frigerio

T.A.R. Veneto, Sez. IV – 12 ottobre 2023, n. 1428 – Pres. Raiola, Est. Orlandi – C. S.r.l. (avv.ti P. Roncelli, E. Pomini e B. Mazzullo) c. Comune di Legnago (avv. M. Bertolissi), Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, Ministero della Difesa, Comando Legione Carabinieri Veneto, Carabinieri comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare (Avvocatura dello Stato) e altri (n.c.).

Il richiamo al principio di precauzione in materia ambientale nell’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente ai sensi degli articoli 50 e 54 del D.Lgs. 267/2000 (TUEL) presuppone una solida ricostruzione dei fatti a tutela di tutte le parti interessate, in particolare a tutela della parte la cui sfera giuridica viene compromessa dalle misure adottate dall’amministrazione procedente, di tal che l’ordinanza deve sempre essere preceduta da un’istruttoria adeguata, cioè tale da dimostrare, con riferimento al caso di specie, l’effettiva e attuale esistenza del fatto produttivo del rischio della dispersione di sostanza PFAS nell’aria da parte della ditta interessata (nel caso di specie non è stato ritenuto sufficiente il solo richiamo alla relazione dell’organo tecnico – ARPAV – che ha rilevato la concentrazione di PFAS in un unico campionamento, escludendo al contempo la presenza di concentrazioni significative di PFAS in aria nei pressi dello stabilimento e senza che fosse stata segnalata, nella stessa relazione, alcuna situazione critica tale da richiedere con urgenza l’adozione di provvedimenti extra ordinem).

Il T.A.R. Veneto si è pronunciato sulla richiesta di annullamento di un’ordinanza sindacale emessa ai sensi degli articoli 50 e 54 del D.Lgs. 267/2000 (TUEL) e avente ad oggetto il contenimento di sostanze “PFAS” nell’aria[i].

Ai fini di detto contenimento, l’ordinanza impugnata prevedeva l’inibizione dell’utilizzo, per la rigenerazione di carboni esausti contaminati da PFAS, di una delle due linee di rigenerazione presenti nello stabilimento della ricorrente fino alla modifica dell’AIA da parte dell’ente competente e/o di valutazioni tecniche di ARPAV a seguito di ulteriori controlli analitici.

Per comprendere meglio le ragioni dell’ordine di inibizione occorre innanzitutto precisare, come si evince dal fatto riportato in sentenza, che la società ricorrente si occupa, fra l’altro, della rigenerazione di carboni attivi impiegati come agenti filtranti negli impianti di potabilizzazione che, all’esito del processo di filtrazione, hanno assorbito le sostanze PFAS contenute nelle acque attinte dalla falda e utilizzate per l’alimentazione degli acquedotti ad uso potabile.

Il rischio sotteso all’attività di rigenerazione di carboni esausti contaminati da PFAS è quello del potenziale trasferimento di tali sostanze dalla matrice acqua alla matrice aria. Proprio con riferimento alle possibili emissioni di PFAS in aria da parte dello stabilimento della ricorrente, occorre altresì precisare come alla ricorrente, in assenza di previsioni normative concernenti limiti alle emissioni di PFAS, era stata di recente imposta come prescrizione in AIA l’attività di monitoraggio (con prelievo di campioni), a cadenza trimestrale e per un periodo di due anni, delle sostanze perfluoroalchiliche nelle emissioni prodotte da entrambi i camini collegati alle linee di rigenerazione dei carboni esausti.

Nel corso dell’anno 2022 ARPAV aveva sottoposto lo stabilimento della ricorrente a un procedimento di verifica ambientale integrata per accertare il rispetto delle prescrizioni contenute nell’AIA, in occasione del quale rilevava, in un unico campionamento interessante uno dei due camini, una concentrazione di PFAS in aria superiore ai limiti di rilevazione. Sempre in tale contesto, ARPAV aveva altresì eseguito campionamenti per la ricerca di PFAS in atmosfera presso le aree adiacenti allo stabilimento stesso, in quanto identificate come aree di massima ricaduta degli inquinanti individuate sulla base di un modello di dispersione in atmosfera, senza tuttavia riscontrare concentrazioni significative di tali sostanze, rinvenute in valori comunque inferiori rispetto a quelli riscontrati negli stessi giorni presso la sede del dipartimento provinciale ARPAV nel territorio del Comune di Verona.

In base a quanto rilevato, ARPAV aveva quindi trasmesso agli enti competenti i rapporti di prova relativi alle emissioni in atmosfera, dando atto di un solo campionamento avente una concentrazione di PFAS superiore al limite di rilevazione, nonché del mancato riscontro di concentrazioni significative nell’area adiacente allo stabilimento della ricorrente, e suggerendo all’autorità competente un aggiornamento dell’AIA per limitare lo svolgimento dell’attività di rigenerazione di carboni contenenti PFAS nelle sola linea di rigenerazione dal cui camino non era mai stata rilevata alcuna concentrazione di PFAS superiore al limite di rilevazione. Ricevuta per conoscenza la nota di ARPAV, la ricorrente aveva chiesto di attendere la conclusione del periodo biennale di monitoraggio previsto dalla prescrizione dell’AIA prima di intervenire sul contenuto del titolo autorizzativo, evidenziando peraltro come l’accertamento che aveva rilevato  una concentrazione di PFAS superiore al limite di rilevazione fosse costituito da tre campionamenti e che solo il primo aveva reso un valore di concentrazione di PFAS “fuori scala” rispetto a entrambe le successive misurazioni, in questo modo adombrandosi l’ipotesi di un errore tecnico durante il primo prelievo dei fumi.

Senza dar riscontro alle osservazioni presentate dalla società, il Comune decideva, peraltro a distanza di sei mesi dal campionamento in questione, di adottare l’ordinanza sindacale contingibile e urgente impugnata dinnanzi al T.A.R. Veneto, a mezzo della quale, facendo proprie le considerazioni di ARPAV e invocando il principio di precauzione, ordinava alla ricorrente di non utilizzare, per la rigenerazione di carboni esausti contaminati da PFAS, l’impianto in questione fino alla modifica dell’AIA da parte della Provincia e/o fino all’espressione di ulteriori valutazioni tecniche di ARPAV all’esito di nuovi controlli.

La società ricorrente impugnava quindi l’ordinanza di cui sopra, deducendo, fra l’altro, il vizio di eccesso di potere per difetto di un’istruttoria idonea a dimostrare l’esistenza di un’emergenza sanitaria o di igiene pubblica, così come di gravi pericoli volti a minacciare l’integrità fisica della popolazione.

In accoglimento dei motivi di impugnazione, il T.A.R. Veneto ha precisato che, con riguardo alle ordinanze adottate ai sensi degli artt. 50 e 54 TUEL, il principio della completezza dell’istruttoria, che informa in via generale l’azione amministrativa, assume un peso maggiore in ragione del fatto che sono proprio la non ordinarietà e la pericolosità della situazione di fatto a giustificare la deroga al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi.

Secondo il collegio giudicante, i profili fattuali dai quali sorge la dedotta situazione di pericolo devono essere ricostruiti quantomeno con “sufficiente precisione” dall’amministrazione, prima che la stessa proceda all’adozione di ordinanze contingibili e urgenti. In particolare, prosegue il collegio “l’istruttoria deve essere completa in ordine alla effettiva sussistenza del fatto fonte di pericolo, in ordine alla sua attualità e in ordine alla sua consistenza, con particolare riferimento all’attitudine a pregiudicare i beni giuridici protetti dagli artt. 50 e 54 TUEL”. Per meglio argomentare sul punto, la sentenza in commento rimanda a quanto già statuito dal Consiglio di Stato[ii] in due precedenti pronunce, secondo cui “il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale”.

Inoltre, l’esigenza dell’adeguatezza dell’istruttoria in relazione al fatto da cui scaturirebbe il pericolo atto a pregiudicare beni giuridici protetti, viene poi collegata dal collegio giudicante anche al principio di precauzione (art. 191, par. 2, TFUE e art. 301 Cod. Amb.), in quanto invocato dall’autorità comunale nel caso di specie. Si tratta, peraltro, di un principio generale del diritto comunitario “che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici[iii].

Al riguardo, il T.A.R. Veneto, pur partendo dall’assunto secondo cui il principio in parola consiste “in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica. Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti[iv], chiarisce tuttavia che, proprio in ragione del fatto che il principio di precauzione mira a gestire rischi potenziali, ovvero rischi che “benché scientificamente probabili non sono esattamente definibili a priori nella loro consistenza”, è necessario che l’attività istruttoria tesa all’accertamento del fatto produttivo dei rischi considerati si svolga in modo particolarmente accurato, nel senso che, secondo il collegio giudicante, “l’esistenza, a monte, del fatto produttivo del rischio deve essere pressoché certa, a differenza del rischio, a valle, che, come detto, resta potenziale, ancorché probabile”.

Del resto, la giurisprudenza amministrativa ha ben delineato i tratti giuridici del principio in esame già in passato, statuendo come l’individuazione di detti tratti venga sviluppata “lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi – carattere necessario delle misure adottate; le misure precauzionali, infatti, presuppongono che la valutazione dei rischi di cui dispongono le autorità riveli indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attuazione di tali misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute; si rifiuta un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente[v].  Principio puntualizzato anche più di recente, sempre dal Consiglio di Stato, posto che “la legittimità della tutela anticipata della salute dell’uomo e del suo ambiente (evidentemente a scapito di altri interessi) deve fondarsi su una base scientifica, per quanto controversa e non unanimemente condivisa, esondando altrimenti nell’inammissibile auto-fondamento dell’azione amministrativa su un postulato posto dalla stessa Amministrazione[vi].

Da qui, l’esigenza di una solida ricostruzione dei fatti a tutela di tutte le parti interessate e, in particolare, della parte la cui sfera giuridica viene compressa dalle misure adottate dall’amministrazione procedente. Ciò che, a giudizio del T.A.R. Veneto, non è avvenuto nel caso di specie. Il collegio giudicante ha infatti annullato l’ordinanza impugnata puntualizzando come l‘istruttoria non sia stata eseguita in modo tale da dimostrare l’effettiva e attuale esistenza del fatto produttivo del rischio della dispersione di sostanze PFAS nell’aria, anche considerando l’assenza di un’indicazione, da parte di ARPAV, di una situazione critica tale da richiedere con urgenza l’adozione di provvedimenti extra ordinem[vii].

In definitiva, la decisione in commento ribadisce ancora una volta la necessità che l’utilizzo dei poteri extra ordinem da parte dell’autorità sia motivato e preceduto da adeguate verifiche, in assenza delle quali, anche in un contesto di “nuova frontiera” come quello della presenza di sostanze PFAS nell’aria – ancora cioè caratterizzato dalla carenza di evidenze, studi scientifici e disciplina normativa delle emissioni – il rischio è quello di veder vanificato il perseguimento di quella stessa esigenza di tutela della salute e dell’ambiente che è alla base dell’adozione del provvedimento di inibitoria, venendo richiesto, da parte dell’autorità giudiziaria alle autorità competenti, un supplemento di attenzione nell’esercizio dei predetti poteri di inibitoria, visto che, come confermato anche dal T.A.R. Veneto, invocare il solo principio di precauzione non basta.

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Commento_PFAS e ordinanza sindacale

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

TAR Veneto n. 1428_2023_PFAS

NOTE:

[i] I “PFAS” sono sostanze perfluoroalchiliche, ossia una famiglia di composti chimici costituiti da catene di atomi di carbonio a lunghezza variabile legate ad atomi di fluoro e ad altri gruppi funzionali, che hanno da sempre trovato un vasto impiego in numerose applicazioni e prodotti industriali. Tali sostanze, soprattutto negli ultimi anni, hanno cominciato a essere oggetto di particolare attenzione, poiché, essendo poco biodegradabili, la loro presenza è stata rilevata in concentrazioni elevate nelle falde acquifere ubicate al di sotto di alcune grandi zone industriali, in particolare in Veneto e Piemonte).

[ii] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 13.9.2023, n. 8297; Cons. Stato, sez. II, 22.4.2021, n. 3260.

[iii] Cfr. Tribunale CE, Seconda Sezione ampliata, 26.11.2002, in cause riunite T-74/00 e altre, Artegodan GmbH e aa. c. Commissione delle Comunità europee, punto 184; Cons. Stato 31.5.2023, n. 5377 e Cons. Stato 31.8.2023, n. 8098, in questa rivista con nota di Eva Maschietto; cfr, inoltre, Tribunale UE, Settima Sezione, 4.10.2023, nella causa T-77/20, Ascenza Agro, SA e Industrias Afrasa, SA c. Commissione Europea.

[iv] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31.8.2023, n. 8094.

[v] Cfr. Consiglio di Stato sez. V, 27.12.2013, n. 6250.

[vi] (sul punto, da ultimo, Corte cost., 9.2.2023, n. 14; id., 18.2.2018, n. 5; cfr. anche Cons. Stato, Sez. IV, 22.3.2023, n. 2895, in A&S, 2023, n. 5, pag. 104).

[vii] Cfr. Cons. Stato n. 2895/2023, cit., secondo cui l’istruttoria a base di un’ordinanza contingibile e urgente deve sfociare nella puntuale indicazione, nell’ordinanza stessa, pena la sua illegittimità, “di quali siano, in base alla legge o alla migliore scienza ed esperienza, i concreti profili di pericolosità per la salute umana posti a base di un esercizio di poteri extra ordinem”.