di Elisa Marini
CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 20 luglio 2021 (dep. 15 ottobre 2021), n. 37566 – Pres. Andreazza, Est. Di Stasi – ric. P. F.
La contravvenzione di cui all’art. 279, comma 1, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ha natura di reato permanente, la cui consumazione perdura fino al rilascio della prescritta autorizzazione. La norma è, infatti, finalizzata alla tutela della qualità dell’aria, e l’autorizzazione costituisce il mezzo di controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e l’adozione di appropriate misure di prevenzione dell’inquinamento atmosferico, per cui il reato permane fino a quando il competente ente territoriale non abbia effettuato tale controllo.
- La vicenda in oggetto: motivi di ricorso e statuizioni della Suprema Corte
La sentenza in commento si è pronunciata su un ricorso per Cassazione con il quale l’imputato, per mezzo del proprio difensore, impugnava la sentenza del Tribunale di Padova che lo aveva condannato alla pena di € 700 di ammenda per aver asseritamente avviato una attività di trattamenti meccanici superficiali dei metalli (la cosiddetta “sabbiatura”) senza la preventiva comunicazione di modifica dello stabilimento.
Il ricorso si articolava in quattro motivi, di cui solo il primo di interesse ambientale, con il quale veniva dedotta l’erronea applicazione dell’art. 279 D.Lgs. n. 152/2006 sulla base del fatto che il Tribunale non avrebbe adeguatamente considerato (e dunque motivato in maniera coerente) la circostanza – ad avviso del ricorrente emergente dalle risultanze istruttorie – che l’impianto di sabbiatura non fosse funzionante. Secondo la prospettazione della difesa, l’autorizzazione generale non avrebbe inoltre previsto che la domanda di adesione dovesse presentarsi prima dell’installazione dell’impianto, come riportato nella motivazione, che sul punto avrebbe travisato la prova documentale, risultando viziata e contraddittoria.
La Suprema Corte dichiarava il motivo infondato, affermando che, secondo la costante giurisprudenza, l’illecito contravvenzionale di cui all’art. 279, comma 1, T.U.A. “ha natura di reato permanente, la cui consumazione perdura fino al rilascio della prescritta autorizzazione. La norma è, infatti, finalizzata alla tutela della qualità dell’aria e l’autorizzazione costituisce il mezzo di controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e l’adozione di appropriate misure di prevenzione dell’inquinamento atmosferico, per cui il reato permane fino a che il competente ente territoriale non abbia effettuato tale controllo”.
Riteneva inoltre che, nel caso di specie, il Tribunale – con motivazione scevra da vizi di logicità – avesse correttamente ritenuto irrilevante la circostanza che l’impianto di sabbiatura, rispetto al quale non era stata richiesta (né, dunque, ottenuta) la prescritta autorizzazione, non fosse in funzione al momento del sopralluogo, proprio sulla base del sopracitato principio di diritto.
- Alcune considerazioni di sintesi
Niente di nuovo nell’aria: si potrebbero così riassumere, per restare in tema con l’oggetto della pronuncia in commento, le statuizioni della Corte di Cassazione.
I profili giuridici trattati rispetto all’ipotesi di installazione o esercizio di uno stabilimento senza la prescritta autorizzazione, di cui al primo comma dell’art. 279 D.Lgs. n. 152/2006, riguardano la natura permanente del reato ed i suoi presupposti applicativi, che derivano dal bene giuridico oggetto di tutela.
Rispetto al primo punto, la pronuncia in esame si pone in assoluta continuità con la giurisprudenza affermatasi in materia[i], che ha costantemente ribadito come l’illecito de quo perdurerebbe sino al rilascio dell’autorizzazione, oppure sino al momento in cui la Pubblica Amministrazione abbia svolto un controllo preventivo sullo stabilimento volto a verificare la tollerabilità delle emissioni, o ancora sino all’intervenuto sequestro dello stabilimento da parte dell’Autorità Giudiziaria (misura che, secondo la Corte di Cassazione, è giustificata proprio dalla finalità di impedire la protrazione della condotta illecita[ii]).
In termini analoghi si è espressa una parte della dottrina[iii], mentre l’altra parte ha ritenuto che si tratti di un reato istantaneo, in quanto “la formula “inizia” sembra indicare un momento temporale ben preciso, superato il quale il reato è già integrato in tutti i suoi requisiti; l’eventuale prosecuzione della costruzione e l’eventuale seguente messa in esercizio riguardano fasi diverse, se del caso integranti altre fattispecie contenute nell’art. 279, con applicazione di un unico reato (di esercizio non autorizzato, trattandosi di norma a più fattispecie), posto che la seconda porzione di condotta assorbe il disvalore della prima”[iv].
Secondo tale esegesi, che non ha praticamente trovato riscontro sul piano giurisprudenziale, il reato in esame non può che definirsi istantaneo, in quanto, in caso contrario, il Legislatore avrebbe dovuto utilizzare formule diverse, in modo da valorizzare la protrazione della condotta.
Anche rispetto al secondo profilo la sentenza in commento non risulta affatto innovativa rispetto alle precedenti, che avevano individuato il bene giuridico tutelato dalla fattispecie nella funzione di controllo preventivo sulle emissioni inquinanti attribuita alla Pubblica Amministrazione, evidenziando che “l’autorizzazione all’esercizio di impianti produttivi di emissioni ha funzioni non soltanto abilitative, ma anche di controllo del rispetto della normativa di settore”[v].
Già sotto la vigenza dell’abrogato D.P.R. n. 203/1988 – richiamato, nel caso di specie, dalla Corte di Cassazione – si era affermato che l’autorizzazione non si limita a svolgere una funzione abilitativa, assumendo, al contrario, anche un ruolo di controllo volto ad effettuare il cosiddetto “monitoraggio ecologico”: “Conseguentemente, l’omessa valutazione della P.A. impedisce quella conoscenza ed informazione ambientale e quel controllo sull’attività cui sono deputati il procedimento autorizzatorio e le relative sanzioni in caso di disobbedienza a questi precetti, comportando perciò una effettiva conseguenza pericolosa, in quanto conoscenza ed informazione sono strumenti necessari per la prevenzione. Pertanto solo dopo aver ottenuto il provvedimento autorizzatorio può affermarsi che sono venute meno le conseguenze pericolose eliminabili dal contravventore”[vi].
In questa ottica si suppone che debba leggersi l’assunto di cui alla pronuncia in commento, relativo alla sostenuta irrilevanza – ai fini dell’accertamento della contravvenzione – del fatto che l’impianto non autorizzato non fosse effettivamente in funzione.
Sugli stessi presupposti, autorevole dottrina ha evidenziato come la fattispecie in esame configuri un reato di pericolo presunto, “slegato da un’effettiva verifica della compromissione delle condizioni, seppur definite in premessa, di salubrità dell’aria. Ad essere tutelato è il regime amministrativo facente capo alla PA, giacché la norma mira a garantire il controllo preventivo da parte di quest’ultima sul piano della funzionalità e della potenzialità inquinante di un impianto industriale”[vii].
Per riassumere, secondo il consolidato orientamento interpretativo – confermato, da ultimo, dalla pronuncia in commento – la fattispecie di cui all’art. 279, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 integra un reato permanente, formale e di pericolo, “che non richiede che l’attività inquinante abbia avuto effettivo inizio, essendo sufficiente la sola sottrazione della stessa al controllo preventivo degli organi di vigilanza”; si tratta, dunque, di un reato “di mera condotta, la cui ratio si ravvisa nella necessità che la pubblica amministrazione possa esercitare un controllo preventivo su attività potenzialmente dannose per l’ambiente (…)”[viii].
Su tale specifico punto, è opportuno precisare come la Suprema Corte abbia espressamente evidenziato, in altre occasioni[ix], che la valutazione sulla potenzialità inquinante, in relazione all’esercizio di un impianto in assenza della prescritta autorizzazione, vada comunque effettuata in concreto, e che solo l’effettiva produzione di emissioni integri il presupposto per l’applicazione della sanzione penale, non essendo sufficiente la mera capacità o idoneità produttiva.
Nonostante la sintesi della sentenza, sembrerebbe che, nel caso in esame, tale presupposto sia stato accertato, e che dunque l’impianto fosse effettivamente funzionante, per quanto non attivo al momento dei controlli (lo si evince, per l’appunto, dalla specificazione temporale “al momento del sopralluogo”).
Del resto, una differente valutazione avrebbe fatto completamente venir meno qualsivoglia offensività della condotta: profilo che, in ogni caso, la pronuncia in commento non pare aver adeguatamente considerato (anche sotto tale aspetto ponendosi in assoluta continuità rispetto ai propri precedenti).
La maggiore criticità della giurisprudenza formatasi sull’art. 279 T.U.A. (e più in generale sulle contravvenzioni ambientali) consiste proprio nell’omissione di qualsivoglia verifica in ordine alla effettiva ricaduta della violazione formale – lesiva dei poteri di controllo e vigilanza della Pubblica Amministrazione – sul bene “finale” dell’ambiente (nel caso di specie, della salubrità dell’aria)[x].
Si tratta di un rilievo che, in assenza di espresse valutazioni sul punto, parrebbe contraddistinguere anche la pronuncia in oggetto, che, di contro, ha ancora una volta evidenziato la pregnanza e il disvalore dell’inosservanza amministrativa non solo per l’affermazione della responsabilità penale, ma anche per ribadire la natura permanente del reato.
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RGA Online – Marini – contributo novembre 2021
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Cass. III, 37566_2021 (marini)
[i] Ex multis, Corte Cass. pen., Sez. III, 7 luglio 2015, n. 28764, Corte Cass. pen., Sez. III, 10 gennaio 2012, n. 192 e Corte Cass. pen., Sez. III, 28 dicembre 2011, n. 48474.
[ii] Corte Cass. pen., Sez. III, 29 gennaio 2019, n. 4250.
[iii] Su tutti P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, 2015, p. 751.
[iv] C. Ruga Riva, Questioni controverse nelle contravvenzioni ambientali: natura, consumazione, permanenza, prescrizione, in Lexambiente, n. 3/2019, p. 92.
[v] Corte Cass. pen., Sez. III, 18 dicembre 2017, n. 56281.
[vi] Corte Cass. pen., Sez. III, 13 marzo 1996, n. 3589. Ex multis, successivamente, Corte Cass. pen., Sez. III, 28 giugno 2007, n. 35232.
[vii] . De Santis, La violazione dei limiti di emissioni in atmosfera nella strettoia tra istantaneità e permanenza. (Nota a Cass. Sez. III n. 16042 del 12 aprile 2019), in Lexambiente, n. 2/2019, p. 77.
[viii] Corte Cass. pen., Sez. III, 28 novembre 2019, n. 48413.
[ix] Si veda, ad esempio, Corte Cass. pen., Sez. III, 14 settembre 2015, n. 36903 (ma anche Corte Cass. pen., Sez. feriale, 6 ottobre 2015, n. 40155), che ha sostenuto testualmente – sulla scorta della giurisprudenza precedente, tra cui Corte Cass. pen., Sez. III, 12 gennaio 2011, n. 5347 – come “l’affermazione di responsabilità per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 279, per l’emissione in atmosfera di sostanze (pericolose e non) in assenza di autorizzazione, comporta la prova della concreta produzione delle emissioni da parte dell’impianto, non potendo ritenersi sufficiente la mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti (…). Ciò in quanto, per la configurabilità del reato occorre che le emissioni siano effettivamente sussistenti posto che l’art. 269 T.U.A. prescrive che l’autorizzazione deve essere richiesta per “tutti gli stabilimenti che producono emissioni” e l’art. 267, comma 1, T.U.A. nel definire il campo di applicazione della nuova disciplina, precisa che essa “si applica agli impianti (..) ed alle attività che producono emissioni in atmosfera”, e con ciò definisce in modo più rigoroso e restrittivo il presupposto del reato, che non è più la generica possibilità (come nella disciplina previgente), ma la concreta attività di produzione delle emissioni da parte dell’impianto (Sez. 3, n. 40964 del 11/10/2006, P.M. in proc. D’Orta, Rv. 235454)”.
[x] Sul punto si vedano anche C. Melzi D’Eril, Reato di inosservanza delle prescrizioni: la Cassazione insiste nel suo esasperato formalismo (nota a Cass. pen. n. 6256/2011), in Ambiente & Sviluppo, 2011, p. 918, ed E. Pomini, Adempimenti prodromici alla messa in esercizio di un impianto e reato ex art. 279, comma 2 del D.Lgs. 152/2006, in questa Rivista, 1/2012, p. 68. Si consenta altresì di richiamare E. Marini, Emissioni in atmosfera e sanzioni penali: questioni (ancora) controverse sull’impianto contravvenzionale previsto dal Testo Unico Ambientale, in Lexambiente, 1/2021, pp. 41 e ss.