Emissioni acustiche aeroportuali tra salute ed esigenze della produzione

27 Dic 2021 | giurisprudenza, amministrativo

di Federico Peres

Consiglio di Stato, IV 18 ottobre 2021, n. 6976 – Pres. Maruotti, Est. D’Angelo – Ryanair Dac (Avv.ti Mazzei, Pecchia e Castioni) c. Ministero della Transizione Ecologica, Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avvocatura Generale), e Regione Lazio (Avv. Ciotola), Comune di Marino (Avv. Carrubba), Aeroporti di Roma (Avv.ti Zoppini e Vercillo), ENAC, Wizz Air Hungary (Avv. Gambuto)

Le emissioni acustiche da attività aeroportuali, rispetto alle quali valgono principi diversi da quello della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., pur soggiacendo a disposizioni di legge e di regolamento che ne disciplinano le specifiche sorgenti e le priorità di un loro determinato uso, debbono in ogni caso essere considerate alla stregua di una interpretazione costituzionalmente orientata, tenendo anche conto che “il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente, rispetto alle esigenze della produzione, il soddisfacimento ad una normale qualità della vita” (cfr. Cass. civ., 8 marzo 2010, n. 5564).

La vicenda nasce a seguito della redazione, nel novembre 2015, del nuovo Piano degli interventi per il contenimento e l’abbattimento del rumore derivante dal traffico aeronautico dell’aeroporto di Ciampino da parte del gestore Aeroporti di Roma spa. Detto Piano, basato sulla zonizzazione acustica dell’intorno portuale[i] e integrato dal gestore tra il 2016 e il 2017, veniva approvato dal Ministero dell’Ambiente con Decreto n. 345 del 18.12.2018 che prevedeva, in particolare, alcuni interventi funzionali all’abbattimento del rumore, quali l’introduzione di una nuova procedura di decollo, la riduzione dei voli commerciali giornalieri, l’introduzione di nuovi velivoli acusticamente più performanti e la limitazione del volo notturno.

Contro le suddette restrizioni Ryanair Dac, operatore dell’aeroporto di Ciampino, presentava ricorso al TAR e successivi motivi aggiunti. In massima sintesi l’operatore contestava, inter alia, l’inadeguatezza dell’istruttoria che non avrebbe perseguito un giusto compromesso tra le esigenze degli operatori aeroportuali e quelle dei recettori sensibili, la mancata considerazione delle ulteriori proposte previste nel Piano (in particolare la sostituzione dei veicoli e la nuova procedura di decollo) e diverse combinazioni delle stesse che secondo la ricorrente avrebbero potuto salvaguardare maggiormente le esigenze dei vettori.

Il TAR Roma, dopo il parziale accoglimento della domanda cautelare, respingeva il ricorso con la sentenza n. 6976 del 18.10.2021, evidenziando – per quanto qui rileva – l’impossibilità di adottare misure alternative e meno pregiudizievoli per i vettori, alla luce di una grave – poiché generalizzata e sistematica – situazione di violazione dei limiti normativi, in un contesto peraltro fortemente urbanizzato.

Ryanair proponeva appello che il Consiglio di Stato, dopo aver disposto la sospensione degli effetti della sentenza, respingeva, aderendo sostanzialmente alle motivazioni del TAR. Il Giudice di secondo grado dava atto, innanzitutto, dell’elevata densità abitativa dell’area territoriale impattata dalle emissioni acustiche ed osservava che, nel prescrivere ai gestori interventi di contenimento, non si dovrebbe prescindere da un approccio equilibrato, che tenga conto anche degli operatori economici «mediante misure che riducano il rumore con un massimo beneficio ambientale al minimo costo».

Nonostante questa premessa – che sembrava aprire la strada a un contemperamento tra le diverse esigenze – il Consiglio di Stato, invocando una interpretazione costituzionalmente orientata e richiamando a tal fine la sentenza della Corte di Cassazione Civile n. 5564/2010, afferma che il bene salute doveva considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione. Su questa affermazione è bene soffermarsi.

Il tema del bilanciamento tra tutela della salute, del lavoro e dell’impresa è stato oggetto di dibattito. Un orientamento iniziale poneva l’accento sul carattere fondamentale del diritto alla salute, posto che l’art. 32 Cost. lo qualifica esplicitamente in tal modo e tale espressione sarebbe, dunque, esplicativa del carattere (sempre) preminente della salute rispetto agli altri diritti della persona.

In particolare la Corte Costituzionale aveva ritenuto che «il condizionamento al costo non eccessivo dell’uso della migliore tecnologia disponibile va riferito al raggiungimento di livelli inferiori a quelli compatibili con la tutela della salute umana: salvo che non si tratti di piani di risanamento di zone particolarmente inquinate  (…)», sicché il limite massimo di emissione inquinante «non potrà mai superare quello ultimo assoluto e indefettibile rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana e dell’ambiente in cui l’uomo vive: tutela affidata al principio fondamentale di cui all’art. 32 della Costituzione, cui lo stesso art. 41, secondo comma, si richiama».[ii]

In seguito, la Consulta aveva evidenziato che la tutela dell’affidamento dell’impresa «non può prevalere sul perseguimento di una più efficace tutela di tali superiori valori, ove la tecnologia offra soluzioni i cui costi non siano sproporzionati rispetto al vantaggio ottenibile»[iii] . È, pertanto, a tale indirizzo che il Consiglio di Stato aderisce nella sentenza in commento riportando uno stralcio della sentenza della Corte di Cassazione n. 5564/2010 secondo la quale «il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente, rispetto alle esigenze della produzione, il soddisfacimento ad una normale qualità della vita».

Tuttavia, quello ora richiamato non è l’unico orientamento e non è nemmeno il più recente. Occorre infatti dare conto di quello successivo espresso dalla Corte Costituzionale a partire dalla sentenza n. 85/2013 secondo la quale il bene salute non è destinato a prevalere tout court sugli interessi economici, ma occorre pur sempre un ragionevole bilanciamento da effettuarsi caso per caso[iv], senza che nessun diritto possa considerarsi assoluto o gerarchicamente superiore rispetto agli altri.

Nella pronuncia del 2013 la Consulta ha, infatti, sostenuto che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri». Ove così non fosse, «si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona»[v].

In altre parole, i diritti costituzionalmente tutelati non debbono essere inquadrati isolatamente, ma vanno considerati in un’ottica di sistema, poiché la pluralità dei diritti poggia su un equilibrio dinamico che non può essere cristallizzato ex ante.

Di questo orientamento la sentenza del Consiglio di Stato non ha purtroppo dato conto e nemmeno ha richiamato un altro precedente, questa volta della stessa IV Sezione del Consiglio di Stato, che, facendo leva sulla più recente pronuncia della Corte Costituzionale, ha definito l’autorizzazione integrata ambientale come «il “punto di equilibrio” fra contrastanti interessi, in particolare fra la salute (art. 32 Cost.), da cui deriva altresì il diritto all’ambiente salubre, e il lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali e il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso (§ 9. della sent. n. 85 del 2013)» (sent. n. 4802/2021).

Il tema del bilanciamento resta dunque di grande attualità, non solo quando ad essere in contrapposizione sono l’ambiente e il lavoro, ma anche quando il conflitto si manifesta all’interno della tutela dell’ambiente come quando si discute di incentivare l’utilizzo di fonti rinnovabili di produzione energica quali il fotovoltaico o l’eolico o l’idroelettrico che inevitabilmente impattano sul territorio e sulla risorsa idrica.

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Contributo RGA dicembre Peres

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa).

2021.10.18 Consiglio di Stato sent. n. 6976

Note:

[i] Approvata in precedenza con Decreto della Giunta Regionale del Lazio n. 381 del 07/08/2010.

[ii] Corte Costituzionale, sentenza del 7 marzo 1990, n. 127.

[iii] Corte Costituzionale, sentenza del 16 luglio 2009, n. 250.

[iv] La dottrina ha rilevato che tale strumento è utilizzabile non solo quando a scontrarsi sono diritti di pari rango, ma anche quando vi sia un contrasto che coinvolge i diritti “primari” (i.e. collegati al rispetto della persona umana): «nello Stato costituzionale ciascun diritto ha un peso diverso in base alle circostanze, in base agli interessi contrapposti: l’assolutezza che si conviene ai diritti fondamentali è in realtà una “assolutezza condizionata”» (G. Pino, Diritti e interpretazione. Il ragionamento giuridico nello Stato Costituzionale, Bologna, 2010).

[v] Corte Costituzionale, sentenza del 9 aprile 2013, n. 85: si tratta del noto caso Ilva.

 

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