Effetti dell’inottemperanza all’ordine sindacale di rimozione dei rifiuti abbandonati

01 Giu 2024 | giurisprudenza

Cassazione Penale, Sez. III, 19 gennaio 2024, n. 9461

Integra la contravvenzione di inottemperanza all’ordinanza sindacale di rimozione di rifiuti la condotta del legale rappresentante di una società dichiarata fallita, al quale sia stata indirizzata l’intimazione, che ometta di provvedere in tal senso, anche nel caso in cui l’area sulla quale siano stati abbandonati i rifiuti sia nella concreta disponibilità del curatore fallimentare, dovendosi escludere, in tal caso, l’inesigibilità dell’ottemperanza qualora il predetto non si sia attivato né presso il curatore fallimentare per poter adempiere, né in sede giurisdizionale onde essere autorizzato ad accedere all’area da bonificare o per contestare la legittimità dell’ordine.

L’individuazione delle responsabilità e dei precisi obblighi in materia ambientale relativamente ai rifiuti abbandonati sul terreno di un’azienda dichiarata fallita è stata – come noto – oggetto di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale[i].

In merito a questo tema si è, altresì, pronunciata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 3 del 26 gennaio 2021), la quale ha riconosciuto l’obbligo del curatore a rimuovere i rifiuti abbandonati dal fallito in quanto detentore attuale dei rifiuti, e ciò a prescindere da un’imputazione in capo allo stesso di una responsabilità a titolo di dolo o colpa.

La sentenza in commento riprende l’argomento da un punto di vista penalistico, offrendo ulteriori spunti di riflessione.

La Cassazione Penale, in particolare, si sofferma sulla responsabilità personale del legale rappresentante della società fallita, a cui il Comune aveva notificato l’ordinanza di rimozione dei rifiuti abbandonati dalla società ai sensi dell’art. 192, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006.

Sebbene il rappresentante legale abbia indotto a giustificazione della mancata rimozione dei rifiuti di non avere più la diretta disponibilità dell’area interessata dall’abbandono – per l’appunto, nella disponibilità del curatore – il Collegio ha ritenuto comunque una responsabilità penale in capo allo stesso per il solo fatto di essere destinatario dell’ordinanza sindacale e di non avervi ottemperato, senza peraltro impugnare la stessa avanti al Tribunale Amministrativo Regionale. 

Di conseguenza, gli è stato imputato il reato di cui all’art. 255, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006 che prevede che “chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno”.

Da un lato, richiamando la giurisprudenza in tema di abbandono di rifiuti, il Collegio ribadisce che l’obbligo di rimozione sorge unicamente in capo al responsabile di tale abbandono, quale conseguenza della sua condotta, nonché nei confronti degli obbligati in solido, quando sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa, tornando a porre, quindi, l’accento sull’elemento soggettivo tipico della disciplina dettata ai sensi dell’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006, perlomeno in ambito penalistico.

Dall’altro lato, il Collegio considera, altresì, il caso specifico del soggetto destinatario dell’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, il quale – in forza della medesima ordinanza – risulta anch’esso obbligato.

Da tale sentenza, quindi, emerge che – a livello penale – colui che materialmente ha abbandonato i rifiuti o colui che, con una condotta dolosa o colposa, ha agevolato l’abbandono dei rifiuti è punito ai sensi dell’art. 255, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, salvo che il fatto ricada nella differente fattispecie della discarica abusiva di cui all’art. 256, comma 2, del medesimo decreto.

Coloro che, invece, non ottemperano all’ordinanza di rimozione dei rifiuti emessa dal Sindaco, a prescindere dal fatto che siano materialmente responsabili dell’illecito o dalla sussistenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa), saranno chiamati a rispondere della violazione sanzionata con la pena dell’arresto fino ad un anno ai sensi dell’art. 255, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006.

Quest’ultima ipotesi di reato, peraltro, appare in linea con la fattispecie criminosa considerata dall’art. 452 terdieces del Codice Penale che – sebbene in materia di bonifica – punisce colui che non ottempera all’ordine di ripristino emesso dal giudice ovvero da un’autorità pubblica.

Ne deriva che, in tale ipotesi, non rileva tanto l’elemento soggettivo del dolo o della colpa rispetto all’abbandono dei rifiuti o la causazione di una contaminazione, bensì il fatto che non si è data esecuzione ad un ordine del Sindaco e/o ad un’autorità giudiziaria.

Per quanto riguarda il caso di cui all’art. 255, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006, l’elemento rilevante, dunque, è l’emissione dell’ordinanza sindacale, con il che occorrerà valutare se la stessa sia legittima o meno e, quindi, debba essere impugnata eventualmente avanti al Tribunale Amministrativo Regionale.

Tornando al caso di specie, il Sindaco avrebbe emesso l’ordinanza ai sensi dell’art. 192 D.Lgs. n. 152/2006 direttamente nei confronti del legale rappresentante della società.

Occorre, quindi, domandarsi, in termini di legittimità dell’ordinanza stessa, se questa debba essere indirizzata al soggetto responsabile da individuarsi secondo i canoni civilistici (es. società) o penalistici.

Sul punto, la giurisprudenza amministrativa[ii] ha chiarito che l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006, a differenza di quella contingibile e urgente emessa ai sensi dell’art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000 – in effetti – non avrebbe natura ripristinatoria ma sanzionatoria, con il che la stessa può essere legittimamente indirizzata anche al legale rappresentante della società laddove allo stesso sia imputabile una responsabilità personale.

Pertanto, anche laddove l’ordinanza fosse stata emessa in assenza o in violazione dei presupposti di legge, sarebbe comunque onere del destinatario chiederne l’annullamento avanti al Tribunale Amministrativo Regionale, e ciò al fine di demolire i presupposti per la configurazione dell’ipotesi di reato di cui all’art. 255, comma 3, del D.Lgs. 152/2006. 

Resta poi l’ipotesi, ormai pacifica in giurisprudenza, in cui tale ordinanza possa essere indirizzata, altresì, al detentore attuale dei rifiuti (es. il curatore fallimentare) a prescindere dalla sua responsabilità rispetto alla fattispecie di abbandono.

Ne consegue che, pur non responsabile dell’abbandono dei rifiuti, anche al mero detentore potrebbe essere dunque contestato il reato di cui all’art. 255, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006 qualora non ottemperi all’ordinanza sindacale.

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NOTE:

[i] Si veda, per un approfondimento, F. Vanetti – C. Fischetti, “Cambio rotta: il curatore fallimentare è obbligato a rimuovere i rifiuti abbandonati dal fallita” in questa Rivista, 4, 2017; F. Peres, “Gli obblighi del curatore fallimentare in materia di rifiuti e bonifica: analisi della giurisprudenza”, in questa Rivista, aprile 2019; F. Vanetti – E. Ippolito, “Curatore fallimentare e obblighi di bonifica: aggiornamento alla luce della giurisprudenza più recente” in Ambiente & Sviluppo, 6/2021.

[ii] Cfr.  TAR Veneto (Venezia), sez. III, 29 settembre 2009, n. 2454; TAR Sicilia (Catania), sez. II, 12 febbraio 2021, n. 471.

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