Deposito incontrollato di rifiuti: quando il proprietario incolpevole può essere “colpevolizzato” ?

23 Set 2019 | giurisprudenza, penale, in evidenza 1

di Roberto Losengo

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 4 aprile 2019 (dep. 25 giugno 2019), n. 27911 – Pres. Lapalorcia, Est. Di Nicola – ric. V.S. 

Il proprietario di un terreno su cui terzi conduttori dell’immobile abbiano depositato rifiuti in modo incontrollato risponde del reato di gestione illecita, essendo tenuto a vigilare sull’osservanza da parte dei medesimi delle norme in materia ambientale.

La sentenza ha respinto il ricorso avverso la decisione della Corte d’Appello di Milano, che a sua volta aveva confermato quella del Tribunale con cui l’imputato era stato condannato per il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) e b) D.Lgs. 152/2006, per avere effettuato una raccolta di rifiuti (così definita in sentenza, anche se la condotta parrebbe in realtà riferirsi ad un deposito incontrollato) costituiti da carcasse di automobili, batterie e olii lubrificanti esausti derivanti dall’attività di carrozzeria (che, per quanto si intenderebbe dalle premesse della decisione, era esercitata dallo stesso ricorrente).

L’imputato aveva sostenuto l’insussistenza di una posizione di garanzia del proprietario di un fondo rispetto all’abbandono di rifiuti commesso da terzi, qualora il proprietario si sia limitato a tollerare l’accumulo di rifiuti, senza tuttavia porre in essere condotte di compartecipazione agevolatrice; evidenziava inoltre di essere stato condannato quale unico responsabile di una condotta omissiva, senza che fossero state avanzate contestazioni in forma commissiva ai soggetti terzi sui quali lo stesso imputato avrebbe dovuto espletare la propria vigilanza.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, fondandosi sull’orientamento giurisprudenziale in base al quale, nel caso in cui il proprietario di un bene immobile lo conceda a terzi per l’esercizio di un’attività da cui scaturisca una produzione di rifiuti, incombe sullo stesso l’obbligo di verificare che l’utilizzo dell’immobile avvenga nel rispetto dei parametri legali e dunque che l’utente del bene sia in possesso dell’autorizzazione necessaria per la gestione di rifiuti esercitata sul terreno e rispetti le prescrizioni in essa contenute.

In realtà – se appunto si intendono correttamente le premesse fattuali della vicenda – il principio di diritto è stato “scomodato” in termini non del tutto appropriati: parrebbe, infatti, che l’imputato avesse conservato piena disponibilità del terreno in questione (stipulando un fittizio contratto di locazione) su cui venivano depositati in modo irregolare rifiuti che provenivano dall’attività svolta dallo stesso ricorrente: se così effettivamente si sono svolti i fatti, non si tratterebbe tanto di un’ipotesi di culpa in vigilando, quanto di un illecito svolto in forma commissiva direttamente dall’imputato.

Ipotizzando, invece, che il deposito di rifiuti fosse opera di terzi, il principio di diritto in ordine alla responsabilità del proprietario del fondo sembra comunque meritare alcune precisazioni, in quanto la sua affermazione acritica porterebbe a fondare tout court l’estensione della posizione di garanzia (basando peraltro la fonte della stessa su un parametro non propriamente specifico, quale la funzione sociale della proprietà) [1].

In tal modo si verrebbe a “colpevolizzare” la posizione del soggetto che – ad esempio nell’ambito delle tematiche di contaminazione dei terreni – è pacificamente considerato un “proprietario incolpevole” non soggetto ad obblighi di bonifica.

Pare allora necessario un distinguo per comprendere sulla base di quali presupposti e a quali condizioni – non foss’altro per ragioni di prova della colpevolezza soggettiva – il titolare di un fondo sui cui soggetti terzi abbandonino o depositino rifiuti sia effettivamente passibile di rispondere per culpa in vigilando.

A ben vedere, proprio la giurisprudenza citata (forse, come detto, non del tutto in modo pertinente) dalla sentenza in commento fornisce un indicatore, anch’esso però da “prendere con le pinze”: si afferma infatti che deve essere considerato responsabile il soggetto che conceda a terzi un immobile per l’esercizio di un’attività che produce rifiuti, nel caso in cui l’utente del bene non sia in possesso dell’autorizzazione per la gestione dei rifiuti ivi esercitata o non rispetti le prescrizioni contenute nell’autorizzazione.

Ovviamente, se il proprietario di un fondo o di un immobile lo locasse per consentire lo svolgimento di un’attività di trattamento rifiuti, non sarebbe irragionevole richiedere che sia verificata l’esistenza dell’autorizzazione a svolgere l’attività ambientale.

Per qualsiasi ulteriore attività produttiva (che pure generi rifiuti) non è invece, di norma, necessaria alcuna autorizzazione in relazione ai rifiuti prodotti (che saranno verosimilmente gestiti in regime di deposito temporaneo), di cui il proprietario possa verificare l’esistenza e validità.

Ma anche nel caso in cui, in ipotesi, il concessionario o conduttore dell’immobile non osservi le prescrizioni dell’autorizzazione ambientale in materia di rifiuti o violi la disciplina del deposito temporaneo, non si vede in che modo il proprietario del fondo possa esercitare un potere di controllo o di intervento su cui fondare addirittura una responsabilità penale dello stesso.

Ne consegue che il principio viene ad avere un concreto spazio di applicazione nelle ipotesi in cui la violazione da parte del terzo risulti macroscopica, o quantomeno tale da non poter sfuggire all’ordinaria diligenza del proprietario, che in questi termini – ma solo in essi – potrebbe dunque essere “colpevolizzato”.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito della Corte di Cassazione) cliccare sul pdf allegato

cass. sez. III, 25 giugno 2019, n. 27911

[1] In termini critici, sul punto, si veda V. Paone, Responsabilità del proprietario del fondo e scarico abusivo di rifiuti in Ambiente & Sviluppo, 2013, pg. 427 ss.

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Losengo_Cass. III 27911.2019

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