Criteri per la localizzazione dei centri di raccolta differenziata

20 Giu 2021 | giurisprudenza, amministrativo

di Roberto Gubello

Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 27 aprile 2021 n. 377 – Pres. DE NICTOLIS, Est. MODICA DE MOHAC – L.A. ed altri (Avv.ti Rossi, Scuderi, Luca) c. C. Viangrande (Avv. Alì).

E’ legittima la decisione della Giunta comunale di organizzare la raccolta dei rifiuti mediante lo strumento del centro di raccolta differenziata, ubicandolo in un’area ricadente all’interno di una zona (“zona F”) destinata dal P.R.G. ad ospitare attrezzature, servizi e impianti di interesse generale, senza che possa assumere rilievo alcuno il fatto che il P.R.G. strutturi le predette zone “F” in varie sotto-zone, con destinazioni particolari differenziate, e che la sotto-zona prescelta per ubicarvi il centro di raccolta sia destinata ad attrezzature sportive.

* * *

Con propria deliberazione, la Giunta comunale di un comune siciliano decideva di organizzare la raccolta dei rifiuti mediante conferimento in un centro comunale di raccolta differenziata di rifiuti urbani (la c.d. piazzola ecologica)[i] e, al contempo, di ubicarlo in un’area di proprietà comunale ricadente, secondo il Piano Regolatore Generale, all’interno di una “zona F”, zona che ricomprendeva le aree da destinare ad attrezzature, servizi e impianti di interesse generale.

In particolare, lo strumento urbanistico comunale, nell’individuare le predette zone F, le suddivideva in varie sotto-zone, ciascuna con destinazioni particolari differenziate. Quella di cui si è detto, ad esempio, risultava specificamente destinata ad attrezzature sportive.

Un gruppo di residenti ed esercenti attività imprenditoriali in stretta prossimità dell’area di cui si discute proponevano impugnazione avverso la predetta delibera, sostenendo che la localizzazione di un tale centro (assimilabile, secondo la difesa privata, ad una discarica) fosse incompatibile con la specifica destinazione impressa dallo strumento urbanistico generale all’area individuata, destinata – come detto – ad ospitare attrezzature sportive.

Con la sentenza annotata, il Collegio muove da un punto di partenza diametralmente opposto: un centro per la raccolta differenziata è servizio ben diverso da quello reso mediante una discarica e, come tale, ad esso non altrimenti equiparabile. E tanto discenderebbe dalle caratteristiche e finalità stesse del servizio:

– le isole ecologiche[ii] sono aree cittadine recintate e sorvegliate, dotate di impianti strutturali e di accorgimenti funzionali idonei ad evitare immissioni, inquinamenti e degrado ambientale, attrezzate per la raccolta differenziata dei rifiuti;

– si tratta di un servizio pubblico generalizzato e necessario in ogni quartiere del territorio comunale, con la conseguenza che deve essere capillarmente strutturato sull’intero tessuto del territorio cittadino – nessuna zona esclusa[iii] – mediante strutture ed impianti che non possono che essere dislocati in modo da realizzare efficientemente l’obiettivo di risposta alla domanda[iv].

In ragione di tali fattori, a parere del Collegio, “è fisiologico che la sua ubicazione nel tessuto urbano prescinda, tendenzialmente, dalla destinazione urbanistica delle singole aree“.

Una volta che l’amministrazione comunale abbia optato per la scelta – di politica ambientale e territoriale e, per ciò stesso tendenzialmente insindacabile[v] – di organizzare la raccolta mediante lo strumento del centro di raccolta differenziata e abbia deciso di ubicarlo all’interno di un’area – di sua proprietà – comunque ricadente all’interno di una zona destinata genericamente a servizi, non può in alcun modo rilevare, ai fini della legittimità del provvedimento, il fatto che la specifica destinazione della sotto-zona in cui si è deciso di localizzare il centro di raccolta preveda ivi la realizzazione di attrezzature sportive.

Una opzione ermeneutica – quella secondo cui l’ubicazione di strutture strumentali all’erogazione di pubblici servizi possa prescindere, in caso di motivate ragioni di interesse pubblico, dalla regolamentazione della destinazione urbanistica – che, sempre secondo la sentenza in commento, si inserirebbe all’interno di una sorta di “linea di tendenza” avallata dallo stesso legislatore, almeno quello regionale[vi].

Ciò detto, la pronuncia in commento si segnala anche per un altro elemento di riflessione, allorché il Collegio si pronuncia sulla questione – sollevata in via preliminare in primo grado ma non affrontata dal Tribunale Amministrativo – della sussistenza in capo ai ricorrenti della necessaria legittimazione ad agire.

Ebbene, al fine di effettuare tale verifica, il Giudice d’appello muove, questa volta, dalla sostanziale equiparazione tra il centro di raccolta differenziata di rifiuti e la discarica di rifiuti[vii].

Pur nella diversità dell’impatto ambientale riconducibile a ciascuna di queste ipotesi, resta fermo, a parere del Giudice d’appello, che trattasi in ogni caso di atti di gestione urbanistica del territorio per i quali la cerchia dei soggetti legittimati ad impugnarli “va circoscritta allorché gli interventi abbiano carattere urbanistico di portata generale, idonei a coinvolgere potenzialmente interessi pubblici riguardanti l’intera collettività; ragion per cui per contestare le scelte amministrative non è sufficiente la sola prossimità del ricorrente rispetto ai luoghi interessati dall’azione amministrativa, tranne che egli sia in grado di allegare una specifica lesione o il rischio di pregiudizi effettivi da essa derivanti[viii].

Superando di fatto la teoria della “vicinitas[ix], il Collegio ritiene che, ai fini della verifica sulla legittimazione ad agire, non sia sufficiente il mero rapporto di spaziale tra la propria abitazione e la discarica; la parte che si duole della scelta di localizzazione (sia essa riferita ad una discarica, sia essa riferita ad un semplice centro di raccolta di rifiuti) in prossimità della propria abitazione sarebbe tenuta altresì ad allegare e provare che la scelta di localizzazione contestata le arrechi un pregiudizio concreto, personale e diretto, pena l’inammissibilità dell’impugnazione.

In tal senso, la sentenza richiama un proprio precedente secondo cui “la mera vicinanza di un’abitazione ad una discarica non legittima il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento di approvazione dell’opera, essendo al riguardo necessaria la prova del danno che da questa egli riceva nella sua sfera giuridica, o per il fatto che la localizzazione dell’impianto riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze, o perché le prescrizioni dettate dall’autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell’impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle sue vicinanze[x].

Detto altrimenti, solo la parte che alleghi e dimostri di subire un danno concreto riconducibile alla scelta di localizzazione operata dall’amministrazione vanterebbe quella posizione effettivamente differenziata rispetto alla generalità degli abitanti della zona. Solo tale posizione sarebbe, cioè, compatibile con l’esigenza di ‘restringere’ la cerchia dei soggetti legittimati ad impugnarla.

In conclusione, dunque, secondo l’approccio fatto proprio dal Consiglio di Giustizia Amministrativa, le scelte di localizzazione delle strutture strumentali all’erogazione di pubblici servizi, non solo possono prescindere dalla regolamentazione della destinazione urbanistica delle aree coinvolte; rispetto ad esse, emergerebbe addirittura un’esigenza di ripensamento delle categorie generali del diritto, alla quale non si sottrarrebbero nemmeno gli istituti più ‘fondanti’, quali (appunto) la legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

C.G.A.S. 377.2021

Note:

[i] Si tratta dei centri di raccolta differenziata – spesso denominati anche isole ecologiche, ecopiazzole, ecostazioni o, ancora, riciclerie – che sono previsti e disciplinati dal decreto Ministero dell’Ambiente del 8 aprile 2008.

[ii] Il decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare del 8 aprile 2008, come modificato dal d.m. 8.7.2009 n.165, contenente appunto “Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, come previsto dall’articolo 183, comma 1, lettera cc) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche“. L’art. 1 del predetto testo normativo li definisce come “aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2, conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche anche attraverso il gestore del servizio pubblico, nonché dagli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche“.

[iii] Esattamente come se si trattasse del servizio elettrico, idrico, del gas, servizi che devono operare “dovunque” e le cui strutture operative – strumentali al corretto funzionamento del servizio – vengono generalmente ubicate ovunque ciò sia necessario, utile o comunque ove ciò sia richiesto per il miglior funzionamento del servizio.

[iv] Strutture rispondenti all’esigenza, maggiormente in linea con gli standard europei, di: eliminare i cassonetti stradali, altamente deturpanti e talvolta forieri di pericoli o di inconvenienti per la salute pubblica (specie nei Comuni nei quali, per ragioni logistiche, lo smaltimento avviene con ritardo e l’accumulo di rifiuti “attorno” ai predetti cassonetti costituisce un’abitudine sociale, talvolta atavica, difficile da neutralizzare); organizzare la raccolta in maniera da far conseguire all’Amministrazione talune economie di scala che spesso si tramutano in vantaggi fiscali per i cittadini (i quali conferendo i loro rifiuti presso il centro di raccolta, cumulati in modo ordinatamente differenziato, ottengono detrazioni sulla TARES).

[v] Salvo che nel caso, non ravvisabile nella fattispecie, in cui fosse viziata da errori di fatto o di calcolo obiettivamente rilevabili.

[vi] La pronuncia fa riferimento alla legge della Regione Sicilia 12 luglio 2011, n. 12, avente ad oggetto “Disciplina dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Recepimento del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163” che, all’art. 6, prevede espressamente che, “per motivate ragioni di pubblico interesse, […] nei casi in cui lo strumento urbanistico vigente contenga destinazioni specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici, l’approvazione dei progetti preliminari di lavori pubblici da parte del consiglio comunale e dei conseguenti progetti definitivi ed esecutivi di lavori pubblici da parte della giunta comunale, anche se non conformi alle specifiche destinazioni di piano, non comporta necessità di varianti allo strumento urbanistico medesimo, sempre che ciò non determini modifiche al dimensionamento o alla localizzazione delle aree per specifiche tipologie di servizi alla popolazione, regolamentate con standard urbanistici minimi da norme nazionali o regionali. Nel caso in cui le opere ricadano su aree che negli strumenti urbanistici approvati non sono destinate a pubblici servizi oppure sono destinate a tipologie di servizi diverse da quelle cui si riferiscono le opere medesime e che sono regolamentate con standard minimi da norme nazionali o regionali, la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del progetto preliminare e la deliberazione della giunta comunale di approvazione del progetto definitivo ed esecutivo costituiscono adozione di variante degli strumenti stessi, non necessitano di autorizzazione regionale preventiva e vengono approvate con le modalità previste dagli articoli 6 e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni. e successive modifiche ed integrazioni e del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 e successive modifiche ed integrazioni“.

[vii] Operazione ermeneutica già percorsa per la realizzazione di una c.d. “isola ecologica” da Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2013, n. 2010.

[viii] Cons. Stato, sez. III, 4 febbraio 2016, n.441; Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2013, n.922; Cons. Stato, sez. IV, 28 maggio 2012, n.3137; Cons. Stato, sez. V, 29 agosto 2012, n. 4643.

[ix] Che, a parere del Giudice di appello, aderire alla giurisprudenza che ha ritenuto la “legittimazione ad agire” consistente in una determinata posizione qualitativa (o qualifica) che il soggetto deve possedere per potere essere ammesso a proporre l’azione giudiziaria, ovvero la titolarità della posizione soggettiva astrattamente richiesta, che è quella di “residenti” (o di “vicini”), condurrebbe, nel caso di specie, alla medesima conclusione di inammissibilità dell’appello per carenza di interesse ad agire.

[x] C.G.A., sez. giurisdiz., 19 marzo 2014, n.145. In senso conforme anche Cons. Stato, sez. V, 4 giugno 2007, n.3191.

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