Conservazione degli habitat naturali: il caso del cricetus cricetus

27 Dic 2021 | giurisprudenza, corte di giustizia

di Chiara Maria Lorenzin

CORTE UE, II Sez., 28 ottobre 2021, causa C‑357/20, Pres. e rel. A. Arabadjiev

L’articolo 12, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, dev’essere interpretato nel senso che la nozione di “sito di riproduzione” contenuta in detta disposizione comprende anche l’ambiente circostante tale sito, allorché detto ambiente si rivela necessario a consentire alle specie animali protette di cui all’allegato IV, lettera a), della direttiva citata, come il cricetus cricetus (criceto comune), di riprodursi con successo.

L’articolo 12, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 92/43 dev’essere interpretato nel senso che i siti di riproduzione di una specie animale protetta devono essere tutelati per tutto il tempo necessario a consentire a tale specie animale di riprodursi con successo, cosicché questa tutela si estende anche ai siti di riproduzione che non sono più occupati, laddove esistano probabilità sufficientemente elevate che detta specie animale vi faccia ritorno.

L’articolo 12, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 92/43 dev’essere interpretato nel senso che le nozioni di «deterioramento» e di «distruzione» contenute in detta disposizione devono essere interpretate nel senso che si riferiscono, rispettivamente, alla riduzione progressiva della funzionalità ecologica di un sito di riproduzione o di un’area di riposo di una specie animale protetta e alla perdita integrale di tale funzionalità, a prescindere dal carattere intenzionale o meno di tale danno.

La pronuncia in commento riguarda la domanda di pronuncia pregiudiziale relativa all’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (in prosieguo: la direttiva “habitat”), ai sensi del quale “Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie animali di cui all’allegato IV, lettera a), nella loro area di ripartizione naturale, con il divieto di: … d) deterioramento o distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo”.

La questione è sorta nell’ambito di una controversia relativa all’irrogazione di un’ammenda (e, in caso di mancato pagamento, di una pena detentiva sostitutiva) per il deterioramento e la distruzione, nell’ambito di un progetto di costruzione di un edificio, di aree di riposo e siti di riproduzione della specie cricetus cricetus (criceto comune), presente nell’elenco delle specie animali protette indicate nell’allegato IV, lettera a), della direttiva “habitat”.

Tale controversia aveva già dato luogo a una domanda di pronuncia pregiudiziale, sulla quale la Corte si è pronunciata con la sentenza del 2 luglio 2020. Con la nuova domanda, sono stati sottoposti ulteriori quesiti relativamente:

  • alla tutela dell’ambiente circostante le tane;
  • alla tutela del sito di riproduzione anche nei periodi non strettamente connessi al periodo di abitazione concreta ed effettiva delle tane da parte del criceto e relativa prole;
  • alle misure pregiudizievoli del “deterioramento” o della “distruzione” di un sito di riproduzione e/o di un’area di riposo, ai sensi di tale disposizione.

Anche nel caso in esame, ai fini dell’interpretazione della norma del diritto dell’Unione, si è tenuto conto non soltanto del suo tenore letterale, bensì anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte.

Si è in particolare richiamato il documento di orientamento sulla rigorosa tutela delle specie animali di interesse comunitario in virtù della direttiva “habitat” nel quale si ricava la necessità di tutelare la funzionalità ecologica dei siti di riproduzione e, dunque, le aree necessarie per il corteggiamento, l’accoppiamento, la costruzione del nido o la selezione del sito di deposizione o parto, nonché il luogo in cui le uova si sviluppano e si schiudono e il sito di nidificazione o parto, quando è occupato dalla prole allevata in quel sito.

La nozione di “sito di riproduzione” dev’essere, dunque, intesa come comprensiva di tutte le zone necessarie per consentire alla specie animale in questione di riprodursi con successo, ivi compreso l’ambiente circostante il sito di riproduzione, interpretazione questa che è altresì corroborata dagli obiettivi della direttiva citata.

Nella medesima prospettiva, una “concezione ampia dev’essere adottata anche per quanto riguarda la portata temporale della tutela dei siti di riproduzione, quali contemplati nella disposizione citata” poichè “i siti di riproduzione di una specie animale protetta devono essere tutelati per tutto il tempo necessario a consentire a tale specie animale di riprodursi con successo, cosicché questa tutela si estende altresì ai siti di riproduzione che non sono più occupati, laddove esistano probabilità sufficientemente elevate che detta specie animale faccia ritorno nei siti medesimi”. In altri termini, la tutela dei siti di riproduzione di una specie animale protetta non può essere limitata al periodo di abitazione concreta ed effettiva oppure al periodo di gestazione e all’eventuale periodo di allevamento della prole di questa specie animale. Si legge nel Documento di orientamento più recente del 9 dicembre 2021: “Pertanto dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera d), si evince che tali siti di riproduzione e aree di riposo devono essere tutelati anche quando sono utilizzati solo occasionalmente o sono addirittura abbandonati ma sussistono ragionevolmente forti probabilità che la specie in questione faccia ritorno negli stessi siti e aree. Se, per esempio, una certa grotta è utilizzata ogni anno da un certo numero di pipistrelli per l’ibernazione (perché la specie ha l’abitudine di tornare ogni anno allo stesso posatoio invernale), la funzionalità di questa grotta come sito di ibernazione dovrebbe essere tutelata anche in estate in modo che i pipistrelli possano riutilizzarla in inverno”.

Quanto alle ultime questioni interpretative esaminate dalla Corte, la sentenza in commento evidenzia come nel contesto della direttiva “habitat” e del documento di orientamento della Commissione sopra menzionato risulti “che il deterioramento può essere definito come un degrado fisico che colpisce un habitat, un sito di riproduzione o un’area di riposo che, a differenza della distruzione, può verificarsi lentamente e ridurre progressivamente la funzionalità ecologica del sito o dell’area interessata, in modo tale che detto degrado può non sfociare immediatamente in una perdita di funzionalità, ma comprometterla qualitativamente o quantitativamente, potendo infine condurre alla sua perdita integrale”. Inoltre, il divieto di atti che causano il deterioramento o la distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo enunciato in tale disposizione non è limitato agli atti intenzionali. In altri termini, il grado di danno alla funzionalità ecologica del sito di riproduzione o dell’area di riposo, sia esso intenzionale o meno, costituisce il criterio per distinguere tra un atto che causa un deterioramento di tale sito di riproduzione o di tale area di riposo, da un lato, e un atto che ne causa la distruzione, dall’altro lato. Inoltre, ogni valutazione inerente tali fenomeni di danno alla funzionalità ecologica deve tener conto dei bisogni ecologici specifici di ciascuna specie animale interessata, nonché della situazione degli individui della specie animale in questione che occupano il sito di riproduzione o l’area di riposo in esame.

SCARICA L’ARTICOLO IN PDF

Chiara Maria Lorenzin commento 11 letto rt

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte di Giustizia dell’Unione europea) cliccare sul pdf allegato.

CURIA – Documenti

Scritto da