Competenza legislativa sui gessi di defecazione da fanghi

03 Gen 2023 | giurisprudenza, corte costituzionale

di Federico Peres

Corte cost., sent. n. 222 del 27 ottobre 2022

«La disciplina dell’impiego di sostanze correttive per la modifica e il miglioramento delle proprietà chimiche del suolo è riconducibile alla materia, di competenza residuale regionale, dell’agricoltura. Nel caso di specie, è dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale – promossa dal Governo in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. s, Cost. – dell’art. 15, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 15 del 2021, che estende all’utilizzo della sostanza correttiva «gesso di defecazione da fanghi» le regole di tracciabilità di cui agli artt. 9, comma 3, 13 e 15 del d.lgs. n. 99 del 1992 previste per l’utilizzazione dei fanghi, anziché dei rifiuti. La disposizione regionale impugnata fa riferimento a una sostanza qualificata come rifiuto – i fanghi -, al solo scopo di prevederne l’applicazione anche per la sostanza correttiva «gesso di defecazione da fanghi». La disciplina dell’impiego di tale correttivo – destinato, secondo quanto stabilito dal d.lgs. n. 75 del 2010, agli utilizzi in agricoltura allo scopo di modificare e migliorare le proprietà chimiche del suolo – è, pertanto, riconducibile alla materia residuale dell’agricoltura.»

IL CASO

Nel novembre 2021, la Presidenza del Consiglio dei Ministri sollevava dinnanzi alla Corte Costituzionale le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 15, 17 e 24 della L.R. Lombardia n. 15/2021. Nello specifico, per quanto qui interessa, osservava la parte ricorrente che i commi 1, 3 e 4 dell’art. 15, nel disporre che i fanghi di depurazione delle acque reflue possono essere utilizzati nella preparazione dei correttivi “gessi di defecazione” e “carbonato di calcio di defecazione”, erano in contrasto con la disciplina statale contenuta nel d.lgs. n. 75/2010, che consente l’utilizzazione dei fanghi solo con riferimento al correttivo “gesso di defecazione da fanghi”. In merito al comma 2 rilevava il contrasto con la normativa richiamata nella misura in cui estende al “gesso di defecazione da fanghi”, qualificato come correttivo dal d.lgs. n. 75/2010, la disciplina in materia di tracciabilità prevista dagli artt. 9, 13 e 15 del d.lgs. 99/1992 per i fanghi, considerati invece dalla legge statale come rifiuti. L’art. 15 della legge regionale veniva, dunque, censurato per violazione dell’art. 117, co. 2, lett. s) della Costituzione, in quanto ritenuto lesivo della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

LA DECISIONE DELLA CORTE

La Corte costituzionale, con sentenza n. 222 depositata in data 27.10.2022, dichiarava cessata la materia del contendere in relazione ai commi 1, 3 e 4 dell’art. 15 della L.R. n. 15/2021 e riteneva infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 2. Quanto alla cessazione della materia del contendere relativa ai commi 1, 3 e 4, osserva la Consulta che tali disposizioni non solo erano state oggetto di successiva modifica che le aveva riformulate adeguandole rispetto alle censure che avevano giustificato l’impugnativa, ma nemmeno avevano ricevuto applicazione nel periodo di vigenza del loro testo originario. La Corte, fondandosi sul suo orientamento consolidato[i],  qualificava queste due circostanze come sufficienti a determinare cessata la materia del contendere. Quanto al comma 2, invece, la Consulta riteneva che la disposizione impugnata «estendendo all’utilizzo del correttivo “gesso di defecazione da fanghi” le regole di tracciabilità di cui agli artt. 9, comma 3, 13 e 15 del D.Lgs. n. 99 del 1992, previste per l’utilizzazione dei fanghi in quanto rifiuti, non disciplina una materia riconducibile a quella della tutela dell’ambiente, attribuita come tale alla potestà legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.». Ed invero, «Trattandosi di regolamentare l’uso di un correttivo destinato, secondo quanto stabilito dal D.Lgs. n. 75 del 2010, agli utilizzi in agricoltura allo scopo di modificare e migliorare le proprietà chimiche del suolo, si deve, infatti, ritenere che il legislatore regionale sia legittimamente intervenuto sul punto, nell’esercizio della propria competenza nella materia “agricoltura”, di carattere residuale per le regioni a statuto ordinario». In ultima analisi, ad avviso della Corte, il riferimento ai fanghi di depurazione (ossia a rifiuti) costituisce un «mero rinvio materiale alle relative regole di tracciabilità, al solo scopo di prevederne l’applicazione anche per la sostanza correttiva “gesso di defecazione da fanghi”», il cui impiego è disciplinato nell’ambito della materia “agricoltura”.

LA NORMATIVA NAZIONALE IN MATERIA DI FANGHI DI DEPURAZIONE

La gestione dei fanghi di depurazione trova disciplina tanto nella normativa sui rifiuti di cui alla Parte IV del d.lgs. n. 152/2006, quanto nel decreto legislativo n. 99/1992. Infatti, da un lato, i fanghi di depurazione «sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione» (art. 127, co. 1, d.lgs. n. 152/2006), dall’altro, in relazione al loro impiego in agricoltura, gli stessi sono regolamentati anche dal d.lgs. n. 99/1992[ii], con il quale è stata recepita la Direttiva 86/278/CEE «concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura». Al riguardo la giurisprudenza ha ribadito che «la regolamentazione dei fanghi di depurazione non è dettata da un apparato normativo autosufficiente confinato all’interno del d.lgs. n. 99 del 1992 ma il regime giuridico, dal quale è tratta la completa disciplina della materia, deve essere integrato dalla normativa generale sui rifiuti»[iii], e che, più nello specifico, bisogna distinguere tra «le attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento, per le quali sono applicabili anche le prescrizioni e le sanzioni stabilite nella disciplina sui rifiuti; e dall’altra la fase finale di utilizzazione degli stessi fanghi a scopi agricoli, propriamente disciplinata dal D.Lgs. n. 99 del 1992»[iv]..

Va evidenziato che in ambito europeo e nazionale, la necessità di aggiornare la normativa è stata rimarcata più volte. Già nel 1999 la Commissione europea aveva intrapreso un percorso di revisione della direttiva 86/278/CEE ed elaborato la proposta per una nuova direttiva (Working document on sludge 3RD Draft del 27.04.2000) volta ad imporre limiti più restrittivi per i metalli pesanti e l’introduzione di nuovi parametri da rispettare. A livello interno, la legge di delegazione europea n. 117/2019 aveva attribuito al Governo il compito di «adottare una nuova disciplina organica in materia di utilizzazione dei fanghi, anche modificando la disciplina stabilita dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99» (art. 15), nello specifico sottolineando la necessità di adeguare la normativa alle nuove conoscenze tecnico-scientifiche e alla possibilità di realizzare forme innovative di gestione al fine del recupero delle sostanze nutrienti (in particolare del fosforo). Nell’esercizio di tale delega, a febbraio 2020, il Governo aveva licenziato uno schema di decreto relativo alla gestione dei fanghi che mirava a minimizzarne lo smaltimento in discarica. Tuttavia tale schema non è mai stato approvato. L’unica integrazione legislativa si rinviene nell’art. 41 del d.l. n. 109/2018 (poi convertito in l. n. 130/2018) recante “Disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione”. Tale disposizione, concernente il profilo analitico dell’utilizzo dei fanghi in agricoltura, da un lato ha chiarito che i fanghi di depurazione finalizzati all’impiego agronomico sono sottoposti ai limiti di cui all’allegato IB al d.lgs. n. 99/1992, dall’altro ha introdotto limiti per alcuni parametri originariamente non contemplati dall’allegato citato.

LA NORMATIVA DELLA REGIONALE LOMBARDIA

A partire dagli anni ’80, la Regione Lombardia ha dettato norme sulla gestione dei rifiuti e, conseguentemente, anche dei fanghi di depurazione. La disciplina quadro in materia attualmente vigente è dettata dalla L.R. n. 26/2003. In virtù dell’art. 17 della richiamata legge regionale, con D.G.R. n. 2031/2014 la Regione ha emanato le Linee Guida contenenti i criteri in materia di trattamento e utilizzo a beneficio dell’agricoltura dei fanghi di depurazione delle acque reflue di impianti civili ed industriali. La portata di tale provvedimento è legata all’introduzione di (i) protocolli volti a valutare l’accettabilità dei fanghi all’impianto di trattamento; (ii) parametri e relativi limiti di concentrazione da verificare in sede di analisi, con distinzione tra “fanghi di alta qualità” e “fanghi idonei”; (iii) adempimenti tecnici ed amministrativi da parte dei gestori degli impianti di trattamento e successivo spandimento dei fanghi in agricoltura. Le Linee Guida venivano poi integrate dalla D.G.R. n. 5269/2016, volta soprattutto a contenere le molestie olfattive derivanti dall’attività di spandimento limitando i quantitativi di accumulo dei fanghi in attesa di spandimento, le tempistiche e il periodo temporale in cui tale attività avviene. La D.G.R. n. 7076/2017 disponeva quindi il mutamento di alcuni dei parametri e dei valori limite elencati nelle Linee Guida; tuttavia, con sentenza n. 1782/2018, il Tar Lombardia ha dichiarato la delibera illegittima nella parte in cui stabiliva limiti di concentrazione degli idrocarburi (C10-C40) e dei fenoli per l’avvio a spandimento dei fanghi in contrasto con la disciplina statale contenuta nel d.lgs. n. 152/2006. In quella sede, il Tar precisava, infatti, che il provvedimento regionale gravato era «intervenuto nella materia “tutela dell’ambiente”, riservata alla competenza esclusiva statale; ne consegue che le regioni non possono dettare una disciplina contrastante con quella prevista dalle fonti primarie statali abbassando i limiti di tutela previsti da queste ultime». Nel 2019 venivano emanati due aggiornamenti delle Linee Guida del 2014. Il primo (D.G.R. n. 6665/2019) le adeguava al d.l. n. 109/2018 (“Decreto Genova”) quanto alle caratteristiche qualitative necessarie ai fini dell’impiego agronomico dei fanghi; il secondo (D.G.R. n. 1777/2019) interveniva sulle categorie di rifiuti ammissibili allo spandimento, coordinando il contenuto delle linee guida con quanto previsto dal documento UE del 2010 “Working document — Sludge andbiowaste”. Per chiudere la rassegna locale, si ricorda il decreto dirigenziale n. 15709/2022 con il quale la Regione Lombardia ha elencato i Comuni nei quali è vietato spandere fanghi di depurazione nel periodo 2022-2023.

LA QUALIFICA DEI GESSI DI DEFECAZIONE DA FANGHI E RELATIVA COMPETENZA LEGISLATIVA

È innegabile che la tutela dell’ambiente, seppur riservata alla competenza esclusiva dello Stato, costituisca una materia “trasversale” ed incida quindi anche su ambiti rientranti nella competenza delle Regioni. Ripercorrendo le pronunce della Consulta, si osserva, infatti, che la tematica ambientale si è intrecciata nel tempo con vari ambiti, in particolare quelli della “protezione civile”, della “ricerca scientifica”, del “governo del territorio” e, come nella sentenza in commento, dell’“agricoltura”[v]. La Corte costituzionale ha affrontato il tema della compenetrazione tra ambiente ed agricoltura in relazione a diverse tematiche, ad esempio ritenendo riconducibili alla materia “tutela dell’ambiente” la disciplina degli OGM (sent. n. 116/2006) e la disciplina della VAS (sent. n. 225/2009) e facendo invece rientrare nella materia “agricoltura” l’abbruciamento dei residui vegetali (sent. n. 16/2015). Nel caso in esame, la Corte precisa che fanghi di depurazione e gessi di defecazione, seppur tra loro strettamente collegati in quanto il secondo è generato dal trattamento del primo, attengono a due materie distinte. Per quanto riguarda i fanghi di depurazione, la giurisprudenza – sia amministrativa[vi] che costituzionale[vii] – è pacifica nel ritenere che gli stessi, in quanto identificati come rifiuti dall’art. 127 del d.lgs. n. 152/2006, rientrino nell’ambito della materia “tutela dell’ambiente” di cui alla lett. s) del co. 2 dell’art. 117 Cost. e siano quindi assoggettati alla competenza statale esclusiva. In merito ai gessi di defecazione, invece, la questione è più complessa. È innanzitutto necessario premettere che di gessi di defecazione si occupa il d.lgs. n. 75/2010, contenente la regolamentazione dei fertilizzanti. In particolare, l’Allegato 3 al decreto fa rientrare i gessi in una categoria specifica di fertilizzanti, vale a dire i c.d. “correttivi”, ossia «i materiali da aggiungere al suolo in situ principalmente per modificare e migliorare proprietà chimiche anomale del suolo dipendenti da reazione, salinità, tenore in sodio» (art. 2, co.1, lett. aa)). Va inoltre chiarito che l’Allegato citato distingue due tipologie di gessi: (I) i gessi di defecazione (n. 21), ottenuti dall’idrolisi di materiali biologici mediante calce e/o acido solforico, ma non da fanghi di depurazione; (II) i gessi di defecazione da fanghi (n. 23), ottenuti dall’idrolisi dei fanghi di cui al d.lgs. n. 99/1992 che rispettino i limiti indicati dall’Allegato stesso.

La sentenza qui in commento si è pronunciata sulla legittimità costituzionale di una disposizione (art. 15, co. 2 della L.R.  15/2021) riguardante la seconda categoria di gessi, ossia quelli derivanti da fanghi di depurazione delle acque reflue. Orbene, se da un lato è corretto ritenere che i gessi di defecazione da fanghi di depurazione rientrino nella categoria dei fertilizzanti e, a norma del d.lgs. n. 75/2010, siano a tutti gli effetti un “prodotto”, dall’altro occorre considerare che gli stessi derivano dal trattamento dei fanghi di depurazione che, come detto, sono rifiuti. Il passaggio dai fanghi ai gessi avviene attraverso un’operazione di recupero che consente di far perdere ai fanghi la loro qualifica di rifiuto trasformandoli in un prodotto (rectius un End of Waste).  Ai sensi dell’art. 184-ter del d.lgs. n. 152/2006, tale operazione deve, pertanto, avvenire nel rispetto di criteri specifici che possono essere stabiliti dalla normativa comunitaria oppure, a livello interno, “caso per caso” per specifiche tipologie di rifiuto tramite decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Non esiste, tuttavia, una disciplina, europea o nazionale, che abbiano dettato i criteri specifici nel rispetto dei quali essi cessano di essere rifiuti diventando, quindi, gessi di defecazione. Per questa ragione, il Ministero della Transizione Ecologica (oggi Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica), interpellato sulla questione avente ad oggetto “autorizzazione EoW ex art. 184-ter del D. Lgs. 152/2006. Richiesta di parere inerente alla produzione di gessi di defecazione (prodotto) e da fanghi di depurazione (rifiuto)”, aveva fornito chiarimenti in merito al regime autorizzatorio relativo a tale operazione di recupero. Più precisamente, con nota del settembre 2018, il Ministero ha risposto all’interpello chiarendo che «poiché le caratteristiche del prodotto fertilizzante “gesso di defecazione” sono già state normate a livello nazionale con il decreto legislativo 75/2010, l’autorizzazione per la produzione di gessi di defecazione che la Provincia è chiamata a rilasciare non consiste in una autorizzazione End of Waste caso per caso». L’autorità competente al rilascio della autorizzazione deve quindi verificare, per potere attribuire al gesso la qualifica di End of Waste, che lo stesso rispetti il d.lgs. n. 75/2010, in relazione alla tipologia dei rifiuti ammissibili, al processo di trattamento ed alla qualità del prodotto ottenuto.

Va però segnalato che sebbene l’attività di trasformazione dei fanghi in gessi sia regolamentata nei termini anzidetti, la stampa l’ha talvolta considerata una sorta espediente per sfuggire ai controlli previsti per lo spandimento dei fanghi[viii]. Siffatta prospettiva non appare condivisibile atteso che si tratta, come visto, di un processo di recupero che, legittimamente, nel rispetto di precise condizioni, trasforma un rifiuto in un End of Waste e che ovviamente comporta, per chi la esegue, oneri economici.

In tale contesto, la decisione della Regione Lombardia di estendere ai prodotti “gessi di defecazione” il regime in materia di tracciabilità previsto per i rifiuti “fanghi di depurazione” può essere, in effetti, foriera di equivoci. La L.R. n. 15/2021, co. 2, prevede infatti che si applichino ai gessi di defecazione gli artt. 9, co. 3, 13 e 15 del d.lgs. n. 99/1992. Tali disposizioni disciplinano, rispettivamente, la notifica alle autorità preventiva all’utilizzo dei fanghi, la scheda di accompagnamento (oggi Formulario di identificazione rifiuti) di cui devono essere corredati i fanghi nelle fasi di stoccaggio, trasporto, condizionamento ed utilizzazione e, infine, il registro di utilizzazione dei fanghi. L’esigenza di garantire la tracciabilità della movimentazione dei fanghi e di affidarla a soggetti iscritti all’Albo gestori discende, come abbiamo visto, dalla loro natura di rifiuti. Pertanto, estendere queste norme anche ai gessi di defecazione che non sono un rifiuto, ma un End of Waste, desta in effetti perplessità.

Ad ogni modo, ai fini che qui interessano, il tema è un altro e può essere così esplicitato: imporre a un prodotto (qualunque esso sia) il rispetto delle regole dettate per la gestione di un rifiuto attiene alla materia ambientale o a quella eventualmente diversa nella quale il prodotto è impiegato? Secondo la sentenza della Consulta alla seconda.

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2022.12.23 RGA_dicembre_PERES_2022.10.27 GESSI

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pronuncia_222_2022

NOTE

[i] Corte cost., sent. n. 238/2018: «la modifica normativa della norma oggetto di questione di legittimità costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di giudizio determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono simultaneamente le seguenti condizioni: occorre che il legislatore abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e occorre che le norme impugnate, poi abrogate o modificate, non abbiano ricevuto applicazione medio tempore» (nello stesso senso, ex multis, sent. n. 185, n. 171 e n. 44 del 2018).

[ii] Decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 recante «Attuazione della direttiva n. 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura»

[iii] Cass. pen., sent. n. 27958/2017

[iv] Cass. pen., sent. n. 28484/2003 (in senso conforme, v. Cass. Pen., sent. n. 27558/2008)

[v] Bellocci M., Passaglia P., “La giurisprudenza costituzionale relativa al riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di ambiente e di beni culturali”,

https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/Ambiente_STU_189_1_sitoCorte.pdf

[vi] Cons. Stato, sent. n. 5920/2019; TAR Milano, sent. n. 1782/2018;

[vii] Corte Cost., sent. n. 88/2020

[viii] Mecarozzi P., Il problema dei fanghi tossici usati come fertilizzanti: una minaccia seria per salute e ambiente”, La Repubblica, 7 febbraio 2022

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