Carattere assorbente dell’a.i.a. rispetto alle determinazioni delle singole amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi

24 Lug 2020 | giurisprudenza, amministrativo

Di Linda Gavoni

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 29 aprile 2020, n. 2733 – Pres. Maruotti; Est. D’Angelo – Comune di Casalnuovo di Napoli (avv. Errichiello) c. Regione Campania (avv. Marzocchella), Città Metropolitana di Napoli (avv.ti Cristiano e Marsico), ARPAC e altri (n.c.), R.M.O. S.p.A. (avv.ti Palma, Scatola e Rinaldi) 

L’autorizzazione integrata ambientale, resa a seguito del meccanismo procedurale della conferenza di servizi (art. 14 ter L. n. 241/1990), non va intesa quale mera sommatoria dei provvedimenti di competenza delle varie amministrazioni chiamate a prendervi parte: essa costituisce – al contrario – un titolo autonomo, caratterizzato da una disciplina specifica e dotato di un carattere assorbente rispetto alle determinazioni dei singoli enti interessati, tale per cui l’efficacia di detti atti amministrativi (autorizzazioni, valutazioni, atti di assenso e pareri regionali, provinciali o comunali) soggiace al regime previsto dalla disciplina specifica del provvedimento autorizzativo di cui al Titolo III bis del D.Lgs. n. 152/2006.

La giurisprudenza amministrativa è recentemente tornata ad esprimersi sulla natura e sugli effetti dell’autorizzazione integrata ambientale, rimarcando in particolare il carattere sostitutivo di tale provvedimento rispetto ai numerosi titoli abilitativi in precedenza necessari a far funzionare un impianto industriale inquinante, così da garantire “efficacia, efficienza, speditezza ed economicità all’azione amministrativa nel giusto contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco” (1).
Non solo: il fatto che l’A.I.A. costituisca un titolo autonomo – al cui interno convergono “tutti gli atti di autorizzazione, di valutazione e di assenso afferenti i campi dell’ambiente, dell’urbanistica, dell’edilizia, delle attività produttive e delle espropriazioni” (2) – consente altresì di salvaguardare il principio di certezza delle situazioni giuridiche, eliminando ab origine il problema dell’esistenza di una pluralità di termini di validità ed efficacia (3).

Nel merito, il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso del Comune di Casalnuovo di Napoli mediante cui veniva chiesta la riforma della sentenza n. 4304/2018 del T.A.R. Campania concernente un’autorizzazione integrata ambientale rilasciata ad una società attiva nel settore del trattamento di rifiuti pericolosi e di rigenerazione di olii usati presso un impianto già esistente sito nel territorio comunale.

Secondo la prospettazione dell’amministrazione comunale, nel giudizio di primo grado sarebbe mancata una congrua valutazione delle proprie osservazioni critiche formulate nell’ambito della conferenza di servizi indetta per il rilascio dell’A.I.A. con specifico riferimento: (i) alla parziale, sopravvenuta incompatibilità urbanistica dello stabilimento industriale di proprietà della società appellata (4); (ii) all’assenza di una motivazione rafforzata a corredo del provvedimento autorizzativo, stante il parere contrario espresso dal Comune nel corso della conferenza di servizi (5).

L’appello è stato respinto dal Collegio sulla scorta delle seguenti motivazioni:

(i) quanto alla parziale sopravvenuta incompatibilità urbanistica dell’impianto produttivo, è stato evidenziato come la modifica della destinazione urbanistica dei suoli risulti essere di molti anni successiva all’inizio dell’operatività in situ dello stabilimento; in particolare, il Consiglio di Stato ha confermato la tesi del giudice di prime cure, secondo cui “la parziale, sopravvenuta incompatibilità urbanistica dell’attuale ubicazione dell’impianto […] non può di certo giustificare il diniego di rilascio dell’AIA, trattandosi non di un nuovo opificio ma di un impianto industriale già esistente, realizzato ed operante in virtù di titoli edilizi legittimi ed efficaci” (6);

(ii) quanto alla natura e agli effetti dell’autorizzazione integrata ambientale, il Collegio ha anzitutto richiamato le finalità dell’istituto di cui al Titolo III bis del D.Lgs. n. 152/2006, enfatizzando come il provvedimento in questione trovi la sua ratio nel “sostituire con un unico titolo abilitativo i molti che, in precedenza, erano necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante, consentendo così all’imprenditore che lo gestisce, di avere come interlocutore un unico ente pubblico – in Italia, la Regione – con intuibile economia di tempo e di risorse nonché con l’eliminazione del rischio di valutazioni contraddittorie da parte di enti diversi, sia pure nell’ambito dell’esercizio delle (diverse) rispettive competenze” (7); sulla scorta di tale premessa, il Consiglio di Stato ha poi posto in evidenza come l’A.I.A. non costituisca la mera sommatoria dei provvedimenti degli enti partecipanti alla conferenza dei servizi, ma sia – al contrario – un titolo autonomo, caratterizzato da una disciplina specifica, al cui interno convergono tutte le determinazioni delle amministrazioni coinvolte nel procedimento finalizzato al suo rilascio, con la conseguenza diretta che l’efficacia di queste non può che soggiacere al regime previsto per il provvedimento autorizzativo (8);

(iii) quanto infine alla necessità di una motivazione rafforzata dell’A.I.A. in conseguenza del parere contrario espresso dall’amministrazione comunale nell’ambito della conferenza di servizi, il Collegio ha sottolineato come la normativa preveda che la stessa sia retta da un criterio maggioritario, senza l’attribuzione in capo alle singole amministrazioni partecipanti di alcun potere di veto (9); a ciò va poi aggiunta non solo la circostanza che le amministrazioni istituzionalmente preposte alla tutela della salute avessero espresso parere positivo al rilascio dell’autorizzazione, ma – soprattutto – quella per cui il Comune non è l’amministrazione specificamente preposta, con poteri aventi portata prevalente, alla tutela di interessi paesistico-ambientali o della salute (con possibile devoluzione del caso alla Presidenza del Consiglio dei ministri) (10).

Note:

  1. Stato, Sez. VI, 4 luglio 2018, n. 4091.
  2. Stato, n. 4091/2018.
  3. I singoli atti di assenso, confluendo in un unico atto finale, cessano infatti di conservare ciascuno la propria autonomia giuridica e procedimentale in quanto espressione di distinti interessi pubblici.
  4. Come evidenziato nella perizia di parte depositata in primo grado, il sito produttivo – avente una superficie complessiva pari a circa 49.000 mq – risulta essere classificato nel P.R.G. vigente solo in parte (circa 9.000 mq) come zona industriale D1, ricadendo per il resto in zona F6 (istruzione superiore e d’obbligo), F4 (attrezzature collettive), F3 (verde a parco), B1 (residenziale esistente dichiarata satura), B3 (stralciata) nonché in aree destinate a strade di progetto e verde di rispetto. L’amministrazione comunale appellante ha inoltre eccepito le ulteriori seguenti doglianze: (i) mediante il provvedimento impugnato, l’autorità procedente avrebbe illegittimamente approvato una sorta di variante urbanistica automatica, in violazione del procedimento previsto dall’art. 47 della L.r. 16/2004; (ii) non sarebbe stata tenuta in considerazione la volontà dell’ente di delocalizzare dal centro abitato le industrie insalubri e pericolose; (iii) sarebbero state ignorate le carenze progettuali ravvisate rispetto alle “Linee guida regionali” circa la descrizione dei processi di lavorazione, della portata dell’approvvigionamento idrico, del tipo e del numero di serbatoi presenti, del sistema per il controllo delle emissioni sonore, degli impianti di energia, delle modalità di incenerimento dei rifiuti nonché della raccolta, stoccaggio e rigenerazione degli olii usati. Tutte e tre le censure prospettate sono state ritenute infondate dal Consiglio di Stato: in particolare è stato evidenziato come le contestazioni al rilascio dell’A.I.A. formulate dal Comune risultino basate essenzialmente su motivazioni di carattere urbanistico, contestazioni peraltro non coerenti con la precedente attività amministrativa dell’ente comunale, la quale ha comportato il mancato rispetto della disciplina urbanistica dell’area interessata (va precisato che dal 1962 erano stati rilasciati in favore della società appellata una serie di titoli edilizi, anche in sanatoria, mentre l’area su cui sorge l’impianto produttivo è stata in parte oggetto di una diversa pianificazione mediante l’approvazione nel 1999 del nuovo P.G.T.). In estrema sintesi, il Comune “si è [di fatto] opposto solo con l’avvio della procedura di A.I.A. senza farsi carico, in precedenza, sia nell’attività di gestione degli aspetti edilizi dell’area, sia in fase di pianificazione urbanistica, delle questioni problematiche, conseguenti alla vicinanza dell’impianto a strutture ‘sensibili’”.
  5. Secondo la tesi prospettata dal Comune appellante, il ruolo preminente dell’ente territoriale si imponeva nel procedimento ai sensi dell’art. 14 ter, comma IV, L. n. 241/1990 (nella versione ratione temporis vigente).
  6. A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 28 giugno 2018, n. 4304.
  7. Sempre T.A.R. Napoli, n. 4304/2018. Per ulteriori approfondimenti sulle peculiarità del provvedimento di cui al Titolo III bis del D.Lgs. n. 152/2006 vedasi VERNILE, L’autorizzazione integrata ambientale tra obiettivi europei e istanze nazionali: tutela dell’ambiente vs semplificazione dell’attività amministrativa e sostenibilità socio-economica, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2015, 6 pp. 1697 ss.
  8. Sul punto, vedasi anche Cons. Stato, n. 4091/2018.
  9. Oltretutto, con specifico riguardo alle prerogative dell’ente comunale, il giudice di prime cure aveva già avuto modo di evidenziare come l’A.I.A. “costituisce il momento di sintesi della pluralità degli interessi pubblici coinvolti e il provvedimento finale rimane demandato, nella sua dimensione conclusiva, alla valutazione discrezionale della Regione, rispetto alla quale il Comune non vanta alcun potere di veto”.
  10. Lo stesso Consiglio di Stato (atti norm. – 30/09/2019, n. 2534) ha puntualizzato come “con particolare riguardo al procedimento AIA, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini cui è riservata l’opposizione in sede di Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 14 quinquies della legge n. 241 del 1990, devono identificarsi – anche alla luce del combinato disposto degli artt. 14 quinquies e 17, comma 2, della stessa legge n. 241 del 1990 – in quelle amministrazioni alle quali norme speciali attribuiscono una competenza diretta, prevalentemente di natura tecnico-scientifica, e ordinaria ad esprimersi attraverso pareri o atti di assenso comunque denominati a tutela dei suddetti interessi così detti ‘sensibili’, e tale attribuzione non si rinviene, di regola e in linea generale, nelle competenze comunali di cui all’art. 13 del d.lg. n. 267 del 2000, né tra le competenze in campo sanitario demandate al Sindaco e al Comune dal testo unico delle leggi sanitarie di cui al r.d. n. 1265 del 1934, né tra le altre funzioni fondamentali (proprie o storiche) dei Comuni”.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul PDF in allegato.

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