Bonifica e duplicità dei criteri di imputazione: nesso eziologico e colpevolezza

01 Lug 2024 | giurisprudenza, amministrativo

TAR Veneto, Sez. IV, n. 458 del 11 marzo 2024

L’operatore che abbia causato un danno ambientale nello svolgimento delle attività pericolose di cui all’allegato 5 alla parte sesta del d.lgs. n. 152 del 2006, ai sensi del combinato disposto delle norme di cui agli articoli 242, 244, 298 bis, della parte sesta comma 1, lett. a), e 311, comma 2, primo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, è obbligato a eseguire la bonifica delle matrici ambientali inquinate, secondo un criterio di imputazione di tipo oggettivo, in base al quale l’amministrazione è tenuta a provare l’evento della contaminazione e, secondo il principio del “più probabile che non”, l’esistenza di un nesso causale tra la condotta attiva o omissiva dell’operatore e l’inquinamento riscontrato, senza essere tenuta a dimostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa

La sentenza in commento si occupa, tra i diversi punti toccati, dei differenti criteri di imputazione, oggettivo e soggettivo, sottesi alle tipologie di attività dalle quali può derivare la contaminazione di un sito e il conseguente obbligo di procedere alla sua bonifica.

La vicenda oggetto della decisione origina dalla gestione di una ex-discarica, dalla quale si era verificato un rilascio di quantitativi di percolato, che aveva determinato il superamento di alcuni dei limiti previsti alla tabella 2 dell’All. 5 alla Parte IV del D.lgs. n. 152 del 2006 e il conseguente provvedimento con cui la Provincia ha individuato come responsabili il Comune di Villorba e i tre enti a cui era stata affidata la gestione post-mortem dell’impianto. Nel ricorso che ne è conseguito la ricorrente ha addotto, tra i diversi motivi di impugnazione, che non le sarebbe stato imputabile alcun comportamento doloso o colposo.

Sul punto va preliminarmente osservato che gli articoli 242 e 244 del D.lgs. 152 del 2006 che individuano il soggetto “responsabile dell’inquinamento”, obbligandolo ad attivare la procedura di bonifica, non specificano il titolo di imputazione – oggettiva o soggettiva – di tale responsabilità.

Il Giudice, per risolvere la questione, ha operato una equiparazione tutt’altro che scontata, ossia quella tra procedimento di attività di bonifica e risarcimento in forma specifica del danno ambientale. In giurisprudenza tale equiparazione non è stata sempre chiaramente condivisa; spesso la normativa sulle bonifiche è stata lasciata galleggiare in una sorta di limbo dalle regole ambigue, tanto che si è anche equiparato l’obbligo di bonifica a una sanzione amministrativa[i],  o comunque a un istituto con finalità punitive e deterrenti.

In realtà, se si guarda alla definizione di danno ambientale introdotta nel nostro ordinamento dalla Direttiva 2004/35, che definisce  danno alle acque qualsiasi danno che incida in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo e/o sul potenziale ecologico delle acque interessate, e danno al terreno qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana a seguito dell’introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi, è difficile non considerare gli interventi di bonifica un risarcimento in forma specifica del danno ambientale.

Come riconosciuto da parte della giurisprudenza amministrativa, quindi, la bonifica persegue la medesima funzione ripristinatoria-reintegratoria del rimedio civilistico del risarcimento del danno per equivalente e in forma specifica[ii].

Sussumendo l’obbligo di avvio del procedimento di bonifica nel più ampio genus del risarcimento del danno ambientale, appare logico attribuire la responsabilità per la bonifica impiegando i medesimi criteri utilizzati nell’ambito del secondo.

Una volta operata tale equiparazione, il TAR richiama  infatti il principio secondo cui  l’operatore che abbia causato un danno ambientale nello svolgimento delle attività pericolose di cui all’allegato 5 alla parte sesta del d.lgs. n. 152 del 2006, ai sensi del combinato disposto delle norme di cui agli articoli 242, 244, 298 bis, della parte sesta comma 1, lett. a), e 311, comma 2, primo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, è obbligato a eseguire la bonifica delle matrici ambientali inquinate, secondo un criterio di imputazione di tipo oggettivo, in base al quale l’amministrazione è tenuta a provare l’evento della contaminazione e, secondo il principio del “più probabile che non”, l’esistenza di un nesso causale tra la condotta attiva o omissiva dell’operatore e l’inquinamento riscontrato, senza essere tenuta a dimostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa.

In questi casi, con un’inversione dell’onere della prova, l’operatore può far valere, fornendone la dimostrazione rigorosa nel corso del procedimento amministrativo, l’eventuale sussistenza delle cause di esonero di responsabilità previste dall’art. 308, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 152 del 2006 che corrispondono a quelle previste dall’art. 8, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2004/35/CE.

Invece nel caso di attività non pericolose non comprese tra quelle contemplate l’amministrazione, nell’individuare il responsabile dell’inquinamento destinatario dell’ordine di bonifica, ai sensi del combinato disposto delle norme di cui agli articoli 242, 244, 298-bis della parte sesta, comma 1, lett. b), e 311, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, deve provare non solo in termini oggettivi l’evento della contaminazione, ma anche l’elemento soggettivo del dolo o della colpa.

Una responsabilità fondata – per le attività considerate pericolose – solo sul rapporto eziologico rende estremamente gravose le conseguenze che ne derivano in capo alle persone fisiche che, anche in virtù del rapporto di immedesimazione organica, si trovano a rispondere dell’illecito ambientale in via solidale con l’ente la cui attività ha cagionato l’inquinamento.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

NOTE:

[i] Cass. pen., sez. 3, sent. n. 28175-2019.

[ii] Cons. Stato, Ad. plen., 22 ottobre 2019.

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