Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e gestione illecita di rifiuti: concorso formale o reato complesso?

02 Nov 2023 | giurisprudenza, penale

di Enrico Fassi

Corte di Cassazione, Sez. III – 14 giugno 2023 (dep. 12 settembre 2023), n. 37113 – Pres. Ramacci, Est. Reynaud – ric. M.A. – L.F.

La Cassazione (ri)afferma la tesi circa la sussistenza di un concorso formale tra il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. e la contravvenzione punita dall’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, con argomentazioni che, riportando pedissequamente precedenti arresti di legittimità, possono tuttavia essere sottoposte a critica quanto all’approdo declinato, in particolare rispetto al rapporto tra le fattispecie qualora si analizzino i tratti costitutivi dell’ipotesi di gestione non autorizzata di rifiuti, di cui al primo ed al quarto comma del reato previsto dal T.U.A, alla luce della interpretazione data al delitto ambientale dalla giurisprudenza di legittimità ormai consolidata.

  1. Cenni introduttivi.

La decisione della Cassazione in commento costituisce nuovo spunto per analizzare il rapporto tra due distinte fattispecie di reato, il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e la contravvenzione di gestione illecita di rifiuti, rispettivamente punite dagli artt. 452 quaterdecies c.p. e 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 (riferibile anche alla correlata disposizione prevista dal quarto comma dell’art. 256), che nella prassi applicativa costituiscono un binomio difficilmente scindibile.

Ciò in quanto la Suprema Corte, con orientamento ormai consolidato, ritiene applicabile nei casi di contestazione delle disposizioni incriminatrici di cui sopra la disciplina del concorso formale ex art. 81 cp, rigettando, in questo caso, la tesi difensiva che aveva chiesto la (ri)qualificazione della fattispecie delittuosa nella cennata ipotesi contravvenzionale, in applicazione del principio di specialità.

Anche nel giudizio oggetto dello scrutinio del collegio, per come si ricava dalle motivazioni della decisione, agli imputati era, tra le altre, contestata la fattispecie di cui agli artt. 452 quaterdecies c.p. (capo B) nonché – per uno di essi – la contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, in relazione ad una condotta di gestione di rifiuti non autorizzata (capo A), per le quali la Corte d’Appello di Milano, riducendo la pena applicata ai ricorrenti in sede di giudizio abbreviato, ne aveva tuttavia confermato la penale responsabilità.

Per quanto emerge dal percorso argomentativo seguito dai giudici di legittimità, gli imputati erano stati condannati in quanto avevano illecitamente smaltito presso siti o capannoni privi di qualsivoglia autorizzazione a ricevere materiali, dunque di fatto adibiti a discariche abusive, ingenti quantitativi di rifiuti prodotti presso l’impianto esercito dalla società di uno dei due ricorrenti – parimenti ritenuta priva di regolare titolo autorizzativo giacché non si era regolarmente completato il procedimento di voltura dell’autorizzazione, inizialmente rilasciata a persona giuridica terza – e successivamente prelevati da altra società, nella quale l’ulteriore soggetto imputato rivestiva la qualifica di responsabile commerciale, ed appunto avviati all’ (illecito) smaltimento.

Gli imputati hanno pertanto proposto ricorso per Cassazione e, per quanto nella presente sede rilevante rispetto al gravame presentato dal ricorrente al quale erano ascritti entrambi i reati, lamentato violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla omessa riqualificazione della condotta di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. nella contravvenzione prevista dal D.Lgs. n. 152/2006, giacché – in ipotesi – la mancanza di autorizzazione della persona giuridica di riferimento non avrebbe costituito requisito determinante del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, non essendo finanche ravvisabile in capo all’imputato il dolo specifico dell’ingiusto profitto, con ciò imponendosi l’applicazione del solo art. 256 D.Lgs. n. 152/2006[1].

La Cassazione, recisamente, è pervenuta a dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi degli interessati, sviluppando alcune considerazioni rispetto al motivo poc’anzi sintetizzato che pare opportuno approfondire, in particolare rispetto agli elementi costitutivi delle fattispecie di reato che si è assunto possano fondare la sostenibilità di un concorso formale tra le disposizioni incriminatrici.

  1. La posizione della Cassazione e la (ri)affermazione del concorso formale tra fattispecie di reato sulla base dei relativi elementi costitutivi.

Il collegio, quasi tralatiziamente, riporta le conclusioni raggiunte in precedenti arresti, nei quali è stato osservato come sussisterebbe concorso formale, e non rapporto di specialità, tra il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. e la contravvenzione di cui all’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006, nel caso in cui ricorrano in concreto sia gli elementi sostanziali del primo, quali l’allestimento di mezzi e di attività continuative organizzate, sia l’elemento formale del secondo, ossia la mancanza di autorizzazione[2], senza tuttavia argomentare – si ritiene – in maniera pienamente convincente sul punto.

Rispetto a tale tematica, può osservarsi che l’approdo declinato senza esitazioni dalla Suprema Corte costituisce precipitato della interpretazione della corrispondente fattispecie delittuosa prevista dal c.d. “decreto Ronchi” (D.Lgs. n. 22/1997), rispetto alla quale la giurisprudenza di legittimità aveva comunque ritenuto configurabile il concorso di reati, affermando come tra le due norme non vi fosse un rapporto di specialità, né che le stesse fossero alternative così che l’applicazione dell’una avrebbe escluso necessariamente l’altra, in quanto nel caso concreto potevano (e possono, nella prospettiva della Corte) esservi sia gli elementi sostanziali dell’una, quale l’allestimento di mezzi e di attività continuative ed organizzate, sia quelli formali previsti dall’altra, in particolare la mancanza di autorizzazione, dando luogo all’applicazione dell’art. 81 c.p.

In questo senso, il termine abusivamente contenuto nell’abrogato art. 53 bis D.Lgs. n. 22/1997 (che come noto puniva le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) non avrebbe avuto valore residuale e quindi alternativo rispetto all’art. 51 (relativo all’attività di gestione di rifiuti non autorizzata), bensì ne avrebbe costituito un esplicito richiamo in quanto riferibile alla mancanza di autorizzazione, che determinerebbe l’illiceità della condotta di gestione non autorizzata di rifiuti, costituendo peraltro l’essenza del delitto poc’anzi citato[3].

Come anticipato, nel transito della fattispecie delittuosa dall’art. 53 bis D.Lgs. n. 22/1997 all’art. 260 D.Lgs. n. 152/2006, e ancora all’art. 452 quaterdecies c.p. nel 2015, sarebbe stata altresì mantenuta l’impostazione che conforma il precetto come reato abituale, che si perfeziona con la realizzazione di una pluralità di condotte non occasionali della stessa specie, finalizzate al conseguimento di un ingiusto profitto, con necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione di mezzi e capitali, in grado gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo[4].

Per questo motivo nella decisione in commento la Corte riporta e sintetizza i tratti costitutivi della fattispecie ex art. 452 quaterdecies c.p., parafrasando la costante elaborazione per la quale il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti costituirebbe un reato abituale, che punisce chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisca una organizzazione diretta a gestire illecitamente, in modo continuativo (ed organizzato), ingenti quantitativi di rifiuti, estrinsecandosi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi e risorse nonché con attività reiterate nel tempo, anche riferibili a quelle di intermediazione e commercio.

Non essendo questa la sede per una approfondita disamina (anche critica, rispetto alle scelte semantiche utilizzate dal legislatore) del reato previsto dall’art. 452 quaterdecies c.p[5], basti in rilevare, seguendo il percorso espositivo della Cassazione, come la stessa altrettanto conformemente abbia quindi precisato che la sanzione risulterebbe diretta nei confronti di soggetti che, per il fine di (ingiusto) profitto cennato, anche in via non esclusiva, rivolgono la propria attività verso la illecita gestione di ingenti quantitativi di rifiuti, con un’organizzazione anche rudimentale di mezzi e capitali e con una pluralità di operazioni condotte in continuità temporale che appunto ricadrebbero nell’ambito della categoria del reato abituale, unificatore di tutte le singole azioni illecite[6].

Centrale diviene, anche in quanto specularmente richiamato dall’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 quale elemento formale (e negativo) del precetto, nell’ottica ascrittiva del delitto di cui trattasi e proprio sulla base di espressa affermazione giurisprudenziale, il connotato di abusività della condotta, da intendersi come posta in essere in assenza delle autorizzazioni necessarie, oltre che illegittime o scadute, ovvero in violazione delle prescrizioni e dei limiti imposti dal titolo autorizzativo medesimo.

La locuzione, richiamando la normativa comunitaria[7], indicherebbe necessariamente che la gestione dei rifiuti debba essere svolta contra ius, ossia in violazione di leggi statali e regionali, nonché di prescrizioni amministrative, costituendo criterio – controverso – per circoscrivere l’area delle condotte penalmente rilevanti, interpretata al contrario in maniera particolarmente ampia dalla giurisprudenza, che ha inteso ricomprendervi vuoi le condotte realizzate in violazione di leggi statali e regionali, anche non direttamente attinenti al diritto ambientale, vuoi di prescrizioni amministrative o ancora in assenza di autorizzazione o con titolo abilitativo scaduto o illegittimo[8].

  1. Rilievi critici al supposto concorso formale tra le fattispecie di reato analizzate.

La soluzione adottata dalla Cassazione sul motivo di ricorso di interesse proposto dall’imputato, che si pone nel solco della giurisprudenza maggioritaria, non convince appieno.

Il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., infatti, tipizza molteplici operazioni di gestione del rifiuto che, essendo commesse abusivamente, rinviano necessariamente a condotte non conformi alla legge, ovvero a fonti del diritto di terzo livello, come tali punite con sanzioni penali.

Il raffronto del delitto con la struttura della contravvenzione ex art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, (nonché come detto di cui al quarto comma della medesima disposizione), come interpretata rispetto ai relativi tratti costitutivi, diversamente dalle ulteriori ipotesi previste dalla medesima fattispecie incriminatrice e tra esse in particolare quella di realizzazione e gestione di una discarica abusiva, punita dal terzo comma, con evidenza avente struttura diversa, potrebbe consentire, a parere di chi scrive, di pervenire ad un diverso approdo.

Come noto, l’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 punisce chiunque eserciti una delle attività di gestione di rifiuti elencate dalla norma (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio o intermediazione) in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione nei casi previsti dagli artt. 208 e ss. D.Lgs. n. 152/2006[9].

Centrale diviene dunque la individuazione della condotta tipica, ossia la gestione di rifiuti definita dall’art. 183, comma 1, lett. n.), D.Lgs. n. 152/2006[10], rispetto alla quale deve farsi sintetico riferimento ai formanti elencati dal precetto punitivo, tra i quali:

  1. a) la raccolta, definita dalla successiva lett. o) dell’art. 183 come il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare alla raccolta, nonché la gestione dei centri di raccolta di cui alla lett. mm) ai fini del loro trasporto verso un impianto di trattamento[11];
  2. b) il trasporto, seppur escluso dalle definizioni di cui all’art. 183, passaggio ineludibile nel ciclo di gestione dei rifiuti, da intendersi come qualsiasi movimentazione, attraverso qualsiasi mezzo, del rifiuto da un luogo ad un altro, con esclusione dei trasporti effettuati all’interno di aree private per espressa previsione dell’art. 193, comma 9, D.Lgs. n. 152/2006[12];
  3. c) il recupero, definito dalla lett. t) dell’art. 183, come qualsiasi operazione il cui risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere ad una funzione o preparati per assolvere a tale funzione, all’interno del sito produttivo ovvero nell’economia in generale[13], come definite non esaustivamente dall’allegato C della Parte IV del decreto;
  4. d) lo smaltimento, speculare rispetto al concetto di recupero, precisato dalla lett. z) dell’art. 183, quale operazione diversa dal recupero ed anche quando la stessa ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia, parimenti definite dall’allegato B della medesima Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006, a sua volta da distinguere dal contiguo concetto di discarica[14];
  5. e) infine, il commercio e l’intermediazione, per i quali la definizione si ricava dai concetti di commerciante ed intermediario, previsti dalle lett. i) e l) dell’art. 183, ricomprendendo qualsiasi impresa che agisca in qualità di committente, al fine di acquistare e successivamente vendere rifiuti, compresi i commercianti che non prendono materialmente possesso dei rifiuti ovvero, quanto all’intermediario, qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, anche senza acquisire il possesso materiale dei rifiuti, con ciò escludendo dall’ambito applicativo dell’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 le condotte tenute in modo non organizzato e saltuario da singole persone fisiche.

Condotta tipica, quella declinata dall’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, che si combina con il carattere della «non occasionalità» dell’attività gestoria, rispetto alla quale è stato precisato come i due fulcri all’interno dei quali si incanala la contravvenzione risultino da un lato il concetto di attività e dall’altro lato appunto il concetto di non assoluta occasionalità[15], valendo quest’ultimo anche quale criterio distintivo rispetto a fattispecie contigue caratterizzate dalla episodicità delle condotte, tra le quali in particolare quella prevista dall’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006, che punisce il c.d. abbandono di rifiuti, quale ulteriore fattispecie ricompresa nell’art. 256 medesimo.

È stato ulteriormente ritenuto come il concetto di “assoluta occasionalità”, parallelo rispetto alla locuzione «attività» impiegata dal precetto punitivo, non possa essere desunto dalla natura giuridica del soggetto agente, dovendosi tuttavia ritenere integrato qualora vi siano una serie di elementi dai quali comunque poter desumere un coefficiente minimo di organizzazione impartito alla attività, che escluda la singolarità della condotta stessa[16].

Quelli poc’anzi sintetizzati risultano i profili caratteristici del reato di gestione illecita di rifiuti, che si muove all’interno della duplice prospettiva della attività e della non assoluta occasionalità della condotta, con conseguente possibilità di permettere di giungere alla definizione vuoi del soggetto attivo del reato, vuoi del momento consumativo dello stesso.

Rispetto al primo punto, basti osservare come costituisca approdo consolidato la riferibilità della locuzione «chiunque» utilizzata dall’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 (così come alla speculare disposizione del quarto comma), apparentemente indicativa di un reato comune, ad una condotta posta in essere da soggetti comunque abilitati ai sensi degli artt. 208 e ss. D.Lgs. n. 152/2006, e dunque “non occasionali”, con ciò conchiudendo le singole attività punite dalla disposizione – ove esercitate irregolarmente – in un sistema definito, ed appunto delimitato, dalla necessità per il soggetto attivo di disporre di un’autorizzazione all’esercizio della attività nel settore di riferimento, al contempo escludendo le condotte poste in essere da coloro che non svolgono in maniera professionale un’attività di gestione di rifiuti[17].

Proprio per tale motivo, conseguenza implicita della ascrivibilità ex art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 ad un’entità anche minimamente organizzata di un’attività di gestione irregolare di rifiuti è la ulteriore caratteristica della non occasionalità della condotta stessa, implicando un piano cronologico ed uno – appunto – organizzativo: deve esservi, secondo la giurisprudenza di legittimità, una anche minima strutturazione dell’attività, sì da escludere condotte poste in essere da singoli soggetti.

Ecco dunque la necessità, a prescindere da aspetti formali, di una forma di imprenditorialità della condotta del soggetto agente «nell’ambito di un’attività economica esercitata anche di fatto, indipendentemente da una qualificazione formale sua o dell’attività medesima[18], con ciò risolvendosi anche il tema relativo alla natura propria o comune del reato, chiarito dalla presenza nella disposizione esaminata del riferimento ad una autorizzazione, iscrizione o comunicazione previste dal D.Lgs. n. 152/2006 per l’esercizio di un’attività in campo ambientale[19].

Quanto al secondo punto, derivante dal primo, dalla non occasionalità della condotta dovrebbe discendere come la fattispecie non potrebbe qualificarsi quale reato istantaneo, in quanto risulterebbe contraddittorio sostenere da un lato la necessità di un’attività anche minimamente organizzata punendo tuttavia dall’altro lato il singolo episodio di gestione illecita di rifiuti, mentre viceversa anche in questa tematica la giurisprudenza ha sempre interpretato la norma punitiva anche in tale ultima estrinsecazione.

Sulla base di tali constatazioni, la dottrina ha tentato di ricostruire il momento consumativo del reato di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, analizzando le peculiarità delle singole attività di gestione: in questo senso, esaminando tra le altre delle condotte di trasporto e raccolta, la contravvenzione potrebbe perfezionarsi anche con il compimento di un’unica azione, nel momento e nel luogo in cui la stessa ha avuto inizio, accedendo alla categoria dei reati eventualmente abituali qualora vi sia reiterazione, che sarebbe comunque luogo ad un unico reato spostando in avanti l’esaurimento della condotta e dunque il momento consumativo[20].

Conclusione, quest’ultima, invero speculare a quella offerta per il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., per il quale, necessariamente rapportato al singolo caso concreto, la giurisprudenza ha individuato la distinzione tra “consumazione iniziale” e “consumazione finale”, da intendersi – nel primo caso – come momento e luogo nel quale le condotte irregolari poste in essere diventano complessivamente riconoscibili, costituendo quel minimum organizzativo di gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti richiesto dal precetto punitivo e – nel secondo caso – quale momento nel quale hanno esaurimento le condotte unitariamente considerate[21].

I profili distonici riferibili ad un supposto concorso formale tra le fattispecie, a ben vedere, sulla base di quanto osservato rispetto alla contravvenzione, si appalesano avendo riguardo interpretazione della ipotesi delittuosa, considerando il connotato di abusività della condotta posta in essere dal soggetto agente, cosiccome il concetto di organizzazione comunque ravvisabile il capo alla iniziativa di quest’ultimo.

L’elemento “formale” della contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, ossia la mancanza di autorizzazione, risulterebbe comunque richiamato dalla fattispecie delittuosa, essendo difficile ipotizzare l’esistenza di quest’ultima – come invece effettuato dalla Corte riportandosi ai precedenti arresti citati – in tutti i suoi molteplici elementi costitutivi anche a prescindere dall’assenza di titolo abilitativo e qualora lo stesso assuma rilievo puramente formale, non risultando causalmente collegato agli altri formanti costitutivi del traffico illecito[22].

Proprio per questo motivo, può ritenersi come per l’art. 452 quaterdecies c.p., al pari della ipotesi contravvenzionale, seppur la disposizione preveda che possa essere realizzato da “chiunque”, il connotato organizzativo impartito all’attività di gestione di (ingenti quantitativi di) rifiuti sposti comunque il baricentro afferente la identificazione del soggetto attivo del reato nell’ambito di un’impresa dedita al traffico illecito di rifiuti, quasi mutandolo in reato proprio[23].

Il delitto, infatti, può essere commesso di fatto solo nell’ambito di un ente, giacché tutte le condotte irregolari punibili possono essere svolte unicamente nell’esercizio di una attività imprenditoriale, anche qualora dotata di minima organizzazione.

Ciò si combinerebbe inoltre con l’ampiezza della considerazione del connotato di abusività della condotta riferibile (anche) al delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., appunto da intendersi come posta in essere in mancanza di autorizzazione, ovvero con titolo abilitativo scaduto o revocato, o ancora in violazione di leggi statali o regionali cosiccome delle prescrizioni imposte dalle autorità tutorie, che necessariamente incide sulla portata del precetto punitivo e difficilmente può considerarsi del tutto priva di collegamento causale con gli altri elementi costitutivi del delitto di cui trattasi.

L’art. 452 quaterdecies c.p. tipizzerebbe e ricomprenderebbe pertanto gli elementi costitutivi della contravvenzione analizzata sui quali invece si è fondata la sussistenza del concorso formale tra reati, ai quali si aggiungono gli ulteriori elementi indicati dal precetto punitivo che valgono a conformare la fattispecie di reato attribuendole una maggiore gravità e lesività del bene giuridico protetto dalla norma[24].

Nella sostanza, qualora la mera irregolare esecuzione di condotte di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio o intermediazione sia caratterizzata da tratti ulteriori che valgono a configurare il più grave delitto previsto dal codice penale, non si tratterebbe tanto della applicazione del principio di specialità, argomento utilizzato dalla Cassazione per confermare la sussistenza di un paventato concorso formale tra i reati, quanto piuttosto potrebbe farsi applicazione della disciplina di cui all’art. 84 c.p., consentendo l’applicazione della (sola) disposizione prevista dal codice penale con assorbimento delle altre ipotesi contravvenzionali commesse nell’ambito delle attività organizzate tipizzate dall’art. 256, commi 1 e/o 4, D.Lgs. n. 152/2006.

Ciò anche rispetto ad una progressiva deviazione applicativa del delitto, che ipotizzato e previsto quale strumento di contrasto alle c.d. ecomafie ha finito nella prassi per divenire un onnivoro contenitore nel quale ricomprendere di fatto pressoché qualsivoglia condotta – minimamente organizzata – di irregolare gestione di quantitativi di rifiuti considerati ingenti.

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RGA Online – Fassi novembre 2023

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Cass. III, 37113_2023 (nota Fassi)

NOTE:

[1] Gli ulteriori motivi di ricorso presentati dagli imputati si sono concentrati in doglianze afferenti supposte carenze dell’apparato motivazionale adottato dai giudici di merito, dichiarati dunque inammissibili in quanto generici e manifestamente infondati, limitandosi a riproporre, secondo la Corte, rivalutazione di circostanze di fatto con operazione interpretativa ed applicativa non consentita in sede di legittimità. Un ulteriore motivo di ricorso si è altresì incentrato sulla ritenuta violazione di legge in riferimento all’applicazione dell’art. 452 quaterdecies c.p., rispetto all’applicazione della confisca sulla persona giuridica utilizzata per perpetrare gli illeciti, parimenti dichiarato inammissibile anche per difetto di interesse.

[2] Corte Cass. pen., Sez. III, 3 dicembre 2021, n. 39076; Corte Cass. pen., Sez. III, 10 marzo 2015, n. 21030; Corte Cass. pen., Sez. III, 15 ottobre 2013, n. 44449.

[3] Corte Cass. pen., Sez. III, 18 marzo 2004, n. 30373. NITTI, sub art. 452 quaterdecies c.p., Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, LATTANZI-LUPO, Vol. IV, Libro II, Milano, 2022, p. 877.

[4] Ex multis, Corte Cass. pen., Sez. III, 14 luglio 2016, n. 52838.

[5] Per un commento, tra i molti, si permette il richiamo a FASSI, L’allestimento e organizzazione di attività nel traffico illecito di rifiuti ex art. 452 quaterdecies c.p., in questa Rivista, 2019. Si rimanda inoltre per una disamina più approfondita, in particolare rispetto alla genesi e finalità originaria della ipotesi delittuosa, a NITTI, sub art. 452 quaterdecies c.p., cit., p. 877.; TALDONE, Attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, in Il nuovo diritto penale dell’ambiente, CORNACCHIA-PISANI, Bologna, 2018, pp. 618 e ss.

[6] Ex multis, Corte Cass. pen., Sez. III, 8 luglio 2010, n. 29619; Corte Cass. pen., Sez. III, 3 novembre 2009, n. 46705.

[7] Per un inquadramento generale, RUGA RIVA, I nuovi ecoreati. Commento alla l. 22 maggio 2015 n. 68, Torino, 2015, p. 9 e ss.

[8] Corte Cass. pen., Sez. III, 21 settembre 2016, n. 46170; Corte Cass. pen., Sez. III, 21 ottobre 2010, n. 40945.

[9] Sia consentito un ulteriore richiamo a FASSI, Brevi osservazioni sul reato di gestione illecita di rifiuti, in Questa Rivista, 2019.

[10] Concetto generale nel quale devono ricomprendersi le attività elencate dallo stesso art. 256, compresi «il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché» si ricava dalla norma «le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario».

[11] A sua volta da distinguere dal contiguo concetto di abbandono, sulla base della volontà attribuibile al soggetto che intenda o meno disfarsi e disinteressarsi completamente del materiale; Corte Cass. pen., Sez. III, 29 novembre 2013, n. 47501.

[12] RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2021, p. 146.

[13] Per talune critiche rispetto alla (ampiezza della) locuzione utilizzata dal legislatore, BARRESI, Attività di gestione di rifiuti non autorizzata, in Il nuovo diritto penale dell’ambiente, CORNACCHIA-PISANI (a cura di), Bologna, 2018, p. 526.

[14] Corte Cass. pen., Sez. III, n. 47501/2013, cit.

[15] Corte Cass. pen., Sez. III, 7 gennaio 2016, n. 5716 e, in seguito, Corte Cass. pen., Sez. III, 8 febbraio 2016, n. 4931; Corte Cass. pen., Sez. III, 14 luglio 2016, n. 29975; si veda anche il commento di PAONE, Il reato di gestione abusiva di rifiuti e l’occasionalità della condotta, in www.lexambiente.it, 2016.

[16] Corte Cass. Pen., Sez. III, n. 4931, cit.

[17] PAONE, Il trasporto occasionale non integra il reato di cui al 1° comma dell’art. 256 d.leg. 152/06, in www.lexambiente.it, 2014.

[18] Corte Cass. pen., Sez. III, 18 settembre 2013, n. 38364; Corte Cass. pen., Sez. III, n. 4931, cit.

[19] Corte Cass. pen., Sez. III, 9 luglio 2014, n. 29992; Corte Cass. pen., Sez. III, 14 luglio 2016, n. 29975.

[20] BERNASCONI, sub art. 256, Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, GIUNTA (a cura di), Padova, 2007.

[21] Corte Cass. pen., Sez. III, 25 novembre 2021, n. 1349, con commento di LOSENGO, Conferme e dubbi nella ricerca del giudice naturale del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, in questa Rivista, 2022. Ciò per rinvenire criteri orientativi rispetto al duplice profilo della individuazione del giudice naturale competente cosiccome del momento iniziale di decorso del termine di prescrizione del delitto.

[22] Come affermato da Corte Cass. pen., Sez. III, n. 44449, cit.

[23] Lo stesso invece può configurarsi, pur in presenza di una struttura organizzata, quale ipotesi monosoggettiva a concorso eventuale, in quanto ragioni di politica criminale hanno conformato in tale modo il precetto, così da poter incriminare tutte quelle condotte commesse da un numero inferiore di tre soggetti, evitando di costituire un vincolo rappresentato dalla necessaria sussistenza di un numero minimo di partecipanti. Corte Cass. pen., Sez. III, 30 giugno 2016, n. 36119; Corte Cass. pen., Sez. III, 12 gennaio 2011, n. 15630.

[24] Comune a tutti i delitti ambientali e costituito dalla pubblica incolumità, secondo i principi promananti dal diritto comunitario ed accolti a livello costituzionale negli artt. 2, 9, comma 2 e 32 Cost., di guisa che la protezione dell’ambiente è imposta da precetti costituzionali in quanto considerato bene primario immateriale assoluto preordinato alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo vive.

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