Attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti: il mancato rispetto delle BAT determina l’abusività della condotta.

24 Ott 2021 | giurisprudenza, penale

di Andrea Ranghino

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 15 luglio 2021 (dep. 7 settembre 2021), n. 33089 – Pres. Di Nicola, Est. Liberati– ric. PM

L’abusività della condotta in materia ambientale, idonea a integrare il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., può derivare non soltanto dalla mancanza dell’autorizzazione ambientale, ma anche dalla inosservanza di prescrizioni essenziali alla stessa e dal mancato rispetto delle BAT (best available techniques), che la integrano.

Nell’ambito di un procedimento pendente per una serie di reati ambientali, con riferimento al solo delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., il Pubblico Ministero richiedeva il sequestro preventivo, a fini impeditivi e di confisca, dello stabilimento, delle quote sociali e dell’azienda della società incaricata della gestione dei rifiuti.

Dopo che la richiesta veniva respinta sia dal Giudice per le indagini preliminari, sia dal Tribunale in sede di appello, il Pubblico Ministero proponeva ricorso per cassazione articolando una serie di motivi, principalmente finalizzati a dimostrare la sussistenza del fumus commissi delicti. Secondo il ricorrente, infatti, il Tribunale aveva omesso di considerare alcuni specifici rilievi, da cui emergeva l’abusività della condotta quale conseguenza di una consapevole e costante violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione ambientale e delle cc.dd. BAT (Best Available Techniques). In estrema sintesi, le censure del Pubblico Ministero riguardavano il mancato trattamento specifico dei rifiuti, sebbene la frazione putrescibile degli stessi lo avrebbe richiesto, e l’esecuzione di operazioni di miscelazione in deroga in assenza dei necessari presupposti.

Gli ultimi due motivi, invece, attenevano alla sussistenza dei presupposti applicativi della misura cautelare richiesta.

La Corte di Cassazione ha accolto, pressoché integralmente[i], i motivi di ricorso dedotti dal Pubblico Ministero condividendo le tesi del difetto assoluto di motivazione sui rilievi attinenti alle concrete modalità di gestione dei rifiuti e dell’errata applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 452 quaterdecies c.p.

Partendo dai profili attinenti al fumus delicti, la Corte di Cassazione, ha osservato, anzitutto, che, secondo l’orientamento univoco della giurisprudenza di legittimità, la condotta abusiva, idonea a integrare l’art. 452 quaterdecies c.p., comprende non solo l’attività svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazione scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quella realizzata in violazione di leggi statali e regionali, benché non strettamente pertinenti al settore ambientale, ovvero di prescrizioni amministrative[ii].

Il passo successivo è consistito nel ricondurre alla normativa vincolante le BAT, di cui il PM lamentava la violazione nel caso in esame. A tal fine il Giudice di legittimità ha iniziato con l’osservare che, ai sensi dell’art. 5, co. 1, lett. l-ter), D.Lgs. n. 152/2006, le BAT sono le condizioni da adottare nel corso di un ciclo di produzione per garantire la più alta protezione ambientale a costi ragionevoli. Si è poi aggiunto che nell’«ampia e variegata categoria» delle best practices le BAT ambientali si distinguono per l’autorità loro impressa dalla Commissione Europea, a cui sono affidati l’elaborazione, il riesame e l’aggiornamento delle cc.dd. BAT conclusions.

A ulteriore conferma della rilevanza della BAT ambientali la Corte di Cassazione ha ricordato i frequenti richiami alle best practices operati dal D.Lgs. n. 152/2006 in tema di autorizzazione integrata ambientale, di tutela del suolo e delle risorse idriche, di riduzione dei consumi, di costruzione delle reti fognarie, di definizione dei valori delle emissioni, di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati.

Da queste premesse il Giudice di legittimità ha dedotto che, ai fini dell’accertamento dell’abusività della condotta, è rilevante verificare se le prescrizioni contenute nelle autorizzazioni ambientali siano rispondenti alle BAT e se queste ultime siano state rispettate. Le best practices, infatti, concorrono a definire il parametro – di legge o di autorizzazione – di cui è sanzionata la violazione e la cui inosservanza, se incidente sul contenuto, sulle modalità e sugli esiti dell’attività svolta, può determinare l’abusività di quest’ultima in quanto esercitata sulla base di un’autorizzazione difforme dalle BAT conclusions rilevanti ai fini di tale attività o in violazione di queste ultime.

In sostanza, la Corte di Cassazione ha equiparato, sotto il profilo della cogenza, le BAT alle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale, con la conseguenza che anche la violazione delle prime è rilevante ai fini del fumus del reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p.

I principi di diritto sanciti sul piano generale hanno consentito al Giudice di legittimità di ritenere fondata la maggior parte dei motivi dedotti dal ricorrente in tema di fumus.

Con particolare riferimento al caso di specie, infatti, la Corte ha precisato che, nonostante la presenza di un’autorizzazione ambientale a svolgere un determinato trattamento dei rifiuti, non si poteva escludere l’abusività della condotta, e, dunque, la sussistenza del reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., dal momento che, stando ai rilievi, inascoltati, del Pubblico Ministero, l’attività di gestione dei rifiuti si era svolta con modalità incompatibili non solo con l’autorizzazione stessa, ma anche, e soprattutto, con le BAT.

Più in dettaglio, il Giudice di legittimità ha censurato espressamente quei passaggi dell’ordinanza impugnata in cui si esprimevano valutazioni non conformi alle migliori tecniche disponibili.

E ciò è accaduto, una prima volta, quando il giudice dell’appello ha ritenuto la sufficienza dell’impianto meccanico di trattamento della frazione secca dei rifiuti, mentre, alla luce delle peculiarità del caso di specie, le BAT e le Bref (Best References) dell’Unione Europea imponevano, in aggiunta, il trattamento separato della frazione organica, pena l’illegittimità dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di raccolta e trattamento dei rifiuti che non la prevede e la conseguente abusività della condotta.

Una seconda volta, quando si è ritenuto sufficiente, per lo svolgimento dell’attività di gestione dei rifiuti nel caso di specie, l’adozione di procedure di pre-accettazione e di accettazione dei rifiuti e la caratterizzazione dei rifiuti al primo conferimento. La Corte ha osservato come, anche in questo caso, il Tribunale non avesse tenuto conto né delle reali modalità di gestione dei rifiuti, né delle prescrizioni imposte conseguentemente dalle migliori tecniche disponibili, secondo cui sarebbero state necessarie anche la caratterizzazione mediante individuazione delle caratteristiche chimico – fisiche dei rifiuti[iii], la caratterizzazione delle miscele e l’annotazione delle operazioni di miscelazione nell’apposito registro allo scopo di garantire la trasparenza delle operazioni. Nessuna di tali operazioni risultava essere stata compiuta nel nostro caso, con inevitabili conseguenze in tema di abusività della condotta.

Sempre in tema di fumus delicti, un’ultima osservazione riguarda l’individuazione del profitto, escluso dal giudice dell’appello e oggetto di specifico gravame. Sotto questo profilo la Corte di Cassazione ha osservato come la maggiore produzione di percolato, quale conseguenza del mancato trattamento specifico della frazione umida presente nei rifiuti gestiti, potesse, senza dubbio, dimostrare la sussistenza dell’ingiusto profitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. Da un lato, infatti, si tratta di una condotta certamente riconducibile alla volontà di conseguire risparmi gestionali e la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che il profitto può consistere tanto in un ricavo patrimoniale, quanto nel vantaggio conseguente alla riduzione dei costi aziendali[iv]. Dall’altro, rappresenta un vantaggio economico ingiusto, perché discende da una condotta che, oltre a essere concorrenziale, produce conseguenze negative per l’integrità dell’ambiente, impedendo il controllo da parte dei soggetti preposti sull’intera filiera dei rifiuti. Nel nostro caso, si è ritenuto che la maggiore produzione di percolato abbia esposto a rischi le matrici ambientali.

Infine, riguardo ai profili processuali, la Corte, sempre in accoglimento dei motivi di ricorso, ha osservato che, prevedendo l’art. 452 quaterdecies, co. 5 c.p.p. un’ipotesi di confisca obbligatoria, se l’azienda è strumento per la commissione del reato può essere sequestrata senza che occorra valutare la sussistenza del periculum, requisito del solo sequestro preventivo impeditivo. Parimenti, non occorre verificare la proporzionalità della misura, sia perché – come detto – si tratta di una previsione di confisca obbligatoria, sia perché, ai fini della sussistenza del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, è sufficiente che una sola delle fasi di gestione dei rifiuti avvenga in forma organizzata. La norma incriminatrice, infatti, indica in via alternativa le varie condotte che, nell’ambito del ciclo di gestione, possono assumere rilievo penale[v].

Il profilo più interessante della sentenza in commento, per lo meno a parere di chi scrive, risiede nel riconoscimento espresso della cogenza delle BAT. Non si tratta di un tema del tutto inesplorato[vi], in quanto la Corte di Cassazione ha preso le mosse da un principio di diritto consolidato, secondo cui la gestione è abusiva non solo quando manca un’autorizzazione, ma anche quando viola la disciplina statale e regionale. Tuttavia, non risulta che il Giudice di legittimità avesse mai equiparato, in modo così chiaro e netto, le BAT alle prescrizioni dell’autorizzazione ambientale. Non solo, la Corte si è spinta ad affermare, sempre ai fini della valutazione dell’abusività della condotta, che le best techniques si trovano in una posizione sovraordinata rispetto ai contenuti dell’autorizzazione ambientale, tanto da rendere quest’ultima illegittima in caso di eventuale contrasto.

Tale approccio può essere ritenuto coerente con la decisione – assunta col D. Lgs. n. 46/2014 – di recepire e di rendere vincolanti nella disciplina dell’Autorizzazione Integrata Ambientale i riferimenti alle BAT conclusions. È innegabile, dunque, che attualmente nel nostro sistema normativo le migliori tecniche disponibili siano il parametro in base a cui sono determinate le condizioni dell’autorizzazione ambientale.

Nell’ambito della giurisprudenza amministrativa, del resto, non è infrequente imbattersi in pronunce che valutano le specifiche deduzioni dei ricorrenti alla luce del contenuto dei documenti BREF o delle migliori tecniche disponibili[vii].

Tuttavia, con specifico riferimento alla sfera penale, equiparare le BAT a una fonte di obblighi immediatamente vigenti, è operazione che fa sorgere qualche dubbio.

Anzitutto, in tema di legalità. Secondo la soluzione proposta dalla Corte di Cassazione, infatti, al fine di stabilire ciò che è abusivo e, dunque, penalmente rilevante, occorre fare riferimento, tra l’altro, a delle tecniche che vengono definite, in campo europeo, all’esito di valutazioni non solo strettamente scientifiche, ma anche politiche ed economiche. Tecniche, che, per di più, le norme penali non menzionano e di cui, men che meno, sanzionano il mancato rispetto.

Ulteriori dubbi sorgono in tema di offensività. Al di là delle peculiarità del caso di specie, l’equazione secondo cui all’inosservanza delle best techniques consegue sempre un danno o un pericolo per l’ambiente non sembra accettabile nella misura in cui esclude, senza accertarlo, che le tecniche applicate in concreto, per quanto diverse o più obsolete, fossero, comunque, inidonee a proteggere il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

Infine, sotto il profilo della colpevolezza, ci si chiede quale rimprovero potrebbe essere rivolto al gestore che si sia attenuto alle prescrizioni contenute in un’autorizzazione ambientale divenuta non conforme a seguito dell’emanazione di nuove BAT o che lo fosse sin dall’inizio, ma per ragioni allo stesso non imputabili. A riguardo va osservato che, anche secondo la giurisprudenza amministrativa[viii], le best techniques vanno applicate in modo calibrato al tipo ed alle particolarità dell’impianto e con ragionevole gradualità, lungo un ampio arco di tempo ed in un ottimale assetto d’esercizio dell’impianto. Del resto, non vi sono norme che impongano al gestore di applicare le nuove BAT sin dal momento della nuova emanazione, anche perché sarebbe illogico imporre un intervento sugli impianti e sui singoli processi di trattamento senza una preventiva interlocuzione con la Pubblica Amministrazione e, dunque, senza un preventivo aggiornamento dell’autorizzazione ambientale.

Ovviamente diverso è il caso del gestore che si accordi per il rilascio di un’Autorizzazione Integrata Ambientale illegittima o che, consapevolmente, si faccia autorizzazione per un’attività difforme da quella svolta in concreto, come sembra essere avvenuto nel caso in esame. A ben vedere, però, in questi casi l’abusività della condotta discenderebbe, più che dal mancato rispetto delle BAT, dall’illegittimità dell’autorizzazione ambientale o dalla violazione della stessa.

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Cass. pen. 33089_2021 (ranghino)

 

[i] Il primo motivo è stato dichiarato inammissibile, perché attinente a un aspetto del fatto non rivisitabile nel giudizio di legittimità. Il quinto motivo, invece, è stato dichiarato inammissibile per la sua genericità.

[ii] Corte Cass. pen., Sez. III, 21 settembre 2016 n. 46170; Corte Cass. pen., Sez. III, 31 gennaio 2017, n. 15865; Corte Cass. pen., Sez. III, 15 ottobre 2013, n. 44449.

[iii] Nella sentenza si precisa che tale operazione è necessaria per poter stabilire se i rifiuti siano idonei alle operazioni di recupero o smaltimento previste per la miscela che si andrà a formare.

[iv] Si vedano, tra le altre, Corte Cass. pen., Sez. III, 28 febbraio 2019, n. 16056; Corte Cass. pen., sez. III, 28 giugno 2017, n. 53136; Corte Cass. pen., Sez. III, 30 maggio 2017, n. 35568; Corte Cass. pen., Sez. IV, 21 aprile 2016, n. 29627.

[v] Corte Cass. pen., Sez. III, 23 maggio 2019, n. 43710.

[vi] In seguito all’entrata in vigore della L. n. 68/2015, anche in dottrina si è discusso sulla possibilità di ritenere l’abusività della condotta non solo in mancanza dell’autorizzazione ambientale, ma anche nel caso vi sia stata la violazione della relativa disciplina legale e amministrativa. Senza presunzione di completezza, con riferimento a Corte Cass. pen., Sez. III, n. 46170 cit. si citano le note di G. Battarino, “Detto in modo chiaro”: l’inquinamento esiste, in Questione Giustizia, 8 novembre 2016; G. Amendola, La prima sentenza della Cassazione sul delitto di inquinamento ambientale, in Questione Giustizia, 14 novembre 2016; C. Ruga Riva, Il delitto di inquinamento ambientale al vaglio della Cassazione: soluzioni e spunti di riflessione, in Dir. Pen. Cont., 22 novembre 2016. Più in generale, con riferimento al commento della normativa introdotta nel 2015: M. Catenacci, I delitti contro l’ambiente fra aspettative e realtà, in Dir. Pen. Proc., 2015, pp. 1077 ss.; G.P. Accinni, Disastro “ambientale” ed elusione fiscale: due paradigmatici esempi di sostanziale violazione del principio di legalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, pp. 755 ss.; A.H. Bell, A. Valsecchi, Il nuovo delitto di disastro ambientale: una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio, in Dir. Pen. Cont., 21 luglio 2015, pp. 8 e ss.; M. Bosi, Le best available techniques nella definizione del fatto tipico e nel giudizio di colpevolezza, in Dir. Pen. Cont., 2018, pp. 196 ss.

[vii] Tra le più recenti, a mero titolo esemplificativo: Cons. Stato, Sez. X, 26 luglio 2021, n. 5535 o Cons. Stato, Sez. IV, 5 aprile 2018, n. 2109.

[viii] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 14 ottobre 2010, n. 32824.

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