Attività di gestione di rifiuti non autorizzata: annullamento del sequestro probatorio e (omessa) restituzione ex art 324, comma 7, c.p.p. del veicolo del terzo estraneo

22 Set 2021 | giurisprudenza, penale

di Antonio Sanson

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 7 maggio 2021 (dep. 23 luglio 2021), n. 28940 – Pres. Rosi, Est. Scarcella – ric. Stoican

È legittima la decisione con cui il tribunale del riesame, annullando il sequestro probatorio gravante su di un veicolo utilizzato per un trasporto di rifiuti pericolosi ex art 256 D.Lgs. n. 152/2006, neghi la restituzione dello stesso al proprietario formalmente qualificato come terzo estraneo in quanto l’art 324, comma 7, c.p.p. osta alla restituzione delle cose soggette a confisca obbligatoria ai sensi dell’art 240, comma 2, c.p.p.

  1. La vicenda sottesa al giudizio della Suprema Corte

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi di confisca di veicoli connessa alla violazione dell’art 256 D.Lgs. 152/2006 con una decisione che, come si vedrà nel prosieguo, non appare condivisibile. Il caso si riferisce ad un procedimento per ricettazione e gestione non autorizzata nell’ambito del quale il pubblico ministero disponeva un sequestro probatorio avente ad oggetto, oltre ad un carico di rifiuti, anche il veicolo che – privo di autorizzazione – li trasportava. Il proprietario del mezzo, qualificatosi come terzo estraneo (l’unico indagato risultava essere il conducente), impugnava il provvedimento cautelare avanti il tribunale del riesame.

L’ordinanza che veniva resa annullava il provvedimento per carenza di motivazione in ordine alle finalità del sequestro; tuttavia non si dava luogo alla restituzione del veicolo ai sensi dell’art 324, comma 7, c.p.p., argomentando che lo stesso era passibile di confisca obbligatoria in ragione della non estraneità del proprietario al fatto di reato.

Il ricorso per cassazione che ne seguiva censurava tale aspetto evidenziando il contrasto con quanto statuito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 40847/2019. Secondo il ricorrente, infatti, la contravvenzione ambientale per la quale si procedeva prevedrebbe solo un’ipotesi di confisca, quella di cui al comma terzo dell’art 256 D.Lgs. 152/2006; tuttavia tale disposizione non sarebbe applicabile al caso di specie poiché chiaramente riferita alla sola fattispecie di discarica abusiva (avendo appunto ad oggetto l’area adibita a tal fine). Non essendo prevista per la gestione non autorizzata una specifica ipotesi di confisca obbligatoria, né essendo richiamato (o applicabile direttamente) l’art 240, comma 2, c.p., ne sarebbe derivata l’impossibilità di conservare il sequestro ai sensi dell’art 324, comma 7, c.p.p. 

  1. Le motivazioni della sentenza

La Corte ha rigettato il ricorso ritenendo corretta la decisione del tribunale del riesame. I giudici di legittimità hanno ribattuto alle argomentazioni del ricorrente contestando che il D.Lgs. n. 152/2006 prevede in realtà una specifica disposizione di confisca obbligatoria per il reato di gestione non autorizzata, individuandola nell’art 260 ter del T.U.

Il comma 4 di tale disposizione prevede infatti che “in caso di trasporto non autorizzato di rifiuti pericolosi è sempre disposta la confisca del veicolo e di qualunque altro mezzo utilizzato per il trasporto del rifiuto, ai sensi dell’art 240, secondo comma del codice penale, salvo che gli stessi appartengano, non fittiziamente, a persona estranea al reato”. Il successivo comma 5 estende la disposizione anche alle ipotesi dell’art 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006.

Il tribunale del riesame, a detta della Corte, non si sarebbe affatto discostato dall’insegnamento delle Sezioni Unite del 2019, e non sarebbe incorso in alcuna violazione di legge con riferimento all’art 324, comma 7, c.p.p., poiché, non apparendo allo stato una estraneità del terzo al fatto, il veicolo utilizzato per il trasporto dei rifiuti pericolosi costituirebbe oggetto di confisca obbligatoria in virtù del richiamo espresso all’art. 240, comma 2, c.p. da parte dell’art 260 ter D.Lgs. n. 152/2006.

  1. Alcune considerazioni critiche sulle motivazioni della sentenza

Con la decisione in commento la Corte di Cassazione sceglie ancora una volta di applicare la disposizione dell’art 260 ter D.Lgs. n. 152/2006 per la confisca dei veicoli connessi al reato di gestione non autorizzata.[1] Come avevamo già avuto modo di evidenziare, si tratta di un’opzione che francamente lascia perplessi e che non tiene conto dell’abrogazione operata dal D.L. n. 135/2018, convertito con L. n. 12/2019.

Non si nega che in tale occasione l’intervento avrebbe potuto essere più lineare, in particolare il legislatore avrebbe potuto abrogare direttamente l’art 260 ter D.Lgs. n. 152/2006 e non la disposizione che lo aveva introdotto, ma in ogni caso appare davvero difficile sostenere che tale norma sia ancora in vigore.[2]

La decisione della Corte sorprende ancor di più se si considera che il Procuratore Generale nella propria requisitoria aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza sottolineando (correttamente) che per la fattispecie per la quale si procedeva era sì prevista la confisca obbligatoria, ma da parte di altra disposizione del T.U.: l’art 259, comma 2.

Secondo tale norma “Alla sentenze di condanna, o a quella emessa ai sensi dell’art 444 del codice di procedura penale, per i reati relativi al traffico illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui agli artt. 256 e 258, comma 4, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto”.  Come attentamente notato da qualche autore, si tratta di una disposizione scarsamente conosciuta, complice soprattutto la collocazione nel corpo di un articolo rubricato “traffico illecito di rifiuti”, che appunto viene descritto nel primo comma e che costituisce una figura criminis distinta da quella dell’art 256, comma 1.[3]

È tuttavia doveroso sottolineare che l’applicazione dell’art. 259, comma 2 e quella dell’art. 260 ter non si equivalgono affatto. Per apprezzare maggiormente tale aspetto con particolare riferimento al caso oggetto della decisione, si permetta una brevissima digressione sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 40847/2019, invocata dallo stesso ricorrente.[4]

Con tale decisione i giudici di legittimità hanno risposto affermativamente all’interrogativo circa l’applicabilità o meno del divieto di restituzione previsto per il sequestro preventivo dall’art 324, comma 7, c.p.p. anche all’ipotesi di sequestro probatorio. La medesima pronuncia ha tuttavia precisato che il perimetro del divieto comprende le cose soggette a confisca ex art 240, comma 2, c.p. “ma non anche le cose soggette a confisca obbligatoria contemplata da previsioni speciali, con l’eccezione del caso in cui tali previsioni richiamino l’art 240, secondo comma, cod. pen. o, comunque, si riferiscano al prezzo del reato o a cose la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato”.

In altri termini, qualora il pubblico ministero abbia disposto un sequestro probatorio e questo venga per qualsiasi ragione annullato da parte del tribunale del riesame, la restituzione non potrà aver luogo quando le cose originariamente sottoposte al vincolo reale ricadano nell’ambito di applicazione della “confisca misura di sicurezza”, appunto prevista in via generale dall’art 240, comma 2 c.p. Nel diverso caso in cui il sequestro abbia oggetto beni suscettibili di essere sottoposti a “confisca sanzione”, il divieto non potrà operare e dovrà procedersi alla loro restituzione, fermo restando comunque il potere del pubblico ministero di attivarsi per ottenere un decreto di sequestro preventivo sui medesimi beni.

Tenuto conto di tali principi, con riferimento alla sentenza in commento, si deve osservare che, pur non potendosi condividere la posizione del ricorrente secondo cui non sarebbe prevista alcuna ipotesi di confisca obbligatoria connessa al trasporto di rifiuti pericolosi, è comunque corretta l’osservazione per cui il tribunale del riesame di Milano si era discostato dai principi enunciati dalle Sezioni Unite, quanto meno da un punto di vista sostanziale.

Il “cortocircuito” va individuato nella formulazione assai infelice dell’art 260 ter, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006: sebbene la norma descriva a tutti gli effetti una ipotesi di confisca sanzione, non foss’altro per il fatto che va a colpire dei beni che non possono essere considerati in sé criminosi (il veicolo o qualsiasi altro mezzo per il trasporto), la stessa richiama nel suo corpo l’art 240, comma 2, c.p. che – almeno nella sua formulazione originaria – fa riferimento da un lato alle cose che “costituiscono il prezzo del reato” (n. 1) e dall’altro a quelle la cui “fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione è prevista dalla legge come reato” (n. 2), o, come parte della dottrina suole definirle, le cose intrinsecamente criminose.[5]

Non v’è dubbio che se l’art 260 ter T.U. avesse omesso l’improprio riferimento all’art 240, comma 2, c.p., nessuno avrebbe dubitato della funzione “sanzionatoria” della confisca del veicolo, esattamente come avviene, per esempio, per le ipotesi di confisca connesse alla guida in stato di ebbrezza.[6]

Se dunque il divieto di restituzione dell’art 324, comma 7, c.p.p. va precipuamente ricondotto alla funzione di voler evitare la circolazione di cose intrinsecamente pericolose per le quali la restituzione va esclusa a prescindere dalla fase cautelare e dall’esito del giudizio di merito, è evidente che la sentenza in commento si pone in posizione decisamente antitetica.

La Corte di Cassazione, in definitiva, applica una norma non più in vigore e, pur asserendo di allinearsi ai principi della sopra richiamata sentenza delle Sezioni Unite, di fatto se ne discosta perché finisce per estendere il divieto di restituzione di cui all’art 324, comma 7, c.p.p. anche alle ipotesi di cose che non ricadono nell’ambito di operatività della confisca misura di sicurezza.

Resta peraltro del tutto ignota la ragione per cui non sia stata accolta la richiesta del Procuratore Generale, che – avendo correttamente individuato la norma da applicare – aveva concluso per l’annullamento dell’ordinanza con riferimento alla mancata restituzione.

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RGA Online – Sanson – contributo settembre 2021

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Cass. III – 28940_2021 (nota sanson)

Note:

[1] Per ulteriori applicazioni si vedano Corte Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2020, n. 15965 (commentata da V. PAONE, Confisca obbligatoria per contravvenzioni ambientali: dubbi di costituzionalità?, in Ambiente & sviluppo, 2020, 11, p. 873 ss.); Corte Cass. pen., Sez. III, 10 luglio 2020, n. 24974 (commentata da E. FASSI, Particolare tenuità del fatto e confisca prevista dall’art 260 ter D.Lgs. n. 152/2006, in www.rgaonline.sviluppo.host) e Corte Cass. pen., Sez. III, 18 dicembre 2020, n. 7395 (per la quale si consenta il rimando a A. SANSON, Proscioglimento predibattimentale e confisca dei mezzi (e dei rifiuti) per gestione di rifiuti non autorizzata, in www.rgaonline.sviluppo.host).

[2] L’art. 6, comma 2, D.L. n. 135/2018 prevede infatti che “Dal 1° gennaio 2019, sono abrogate, in particolare, le seguenti

disposizioni: a) gli articoli 16, 35, 36, 39 commi 1, 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater, 9, 10 e 15, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n.205 (…)”.

[3] D. CORBELLA, Rifiuti. La confisca obbligatoria del mezzo di trasporto, in www.lexambiente.it

[4] Per un commento approfondito si rimanda a I. GUERINI, Annullamento del sequestro probatorio e ambiti di operatività del divieto di restituzione di beni, in Sistema Penale, 1, 2020, p. 117.

[5] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G. GATTA, Manuale di Diritto Penale – Parte Generale, Milano, 2020, p. 871

[6] Sul punto appare pertinente il richiamo Corte Cass. pen., Sez. III, 6 dicembre 2016, n. 17918, che, con riferimento all’art 259, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 ha evidenziato che la funzione di tale disposizione è quella di rendere obbligatoria la confisca di beni che altrimenti ricadrebbero nell’ambito di operatività della confisca facoltativa di cui all’art 240, comma 1, c.p.

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