Fertirrigazione e abbandono incontrollato di liquami: la Cassazione torna sui presupposti di liceità della condotta

02 Mag 2023 | giurisprudenza, penale, in evidenza 4

Di Mario Arienti

Corte di Cassazione, Sez. III – 14 settembre 2022 (dep. 13 dicembre 2022), n. 47032 – Pres. Ramacci, Est. Gentili – Ric. A.A.

La pratica della fertirrigazione non consiste nell’indiscriminato spandimento dei rifiuti fecali sul terreno, presupponendo, quanto meno, che tale operazione sia eseguita – adottando delle buone prassi agricole e non facendo estemporaneamente tracimare il prodotto, in ipotesi fertilizzante – laddove si trovino a vegetare delle coltivazioni che da essa possano trovare giovamento; pertanto, detta pratica richiede, in primo luogo, l’esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonché l’adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo ed al fabbisogno delle colture, e, in secondo luogo, l’assenza di dati sintomatici di una utilizzazione da diverse causali originata, quale, ad esempio, lo spandimento dei liquami lasciati scorrere per caduta.

  1. Il caso sottoposto all’esame della Corte

La vicenda oggetto della decisione in commento riguarda una tipica contestazione ai sensi dell’art. 192 commi 1 e 2 e dell’art. 256 comma 2 D.Lgs. n. 152/2006, nei confronti di un imprenditore agricolo nel settore zootecnico, per aver abbandonato in modo incontrollato dei liquami provenienti dalla azienda dallo stesso condotta, nella specie tracimanti rispetto alla capienza delle vasche di raccolta delle deiezioni dei suini ivi allevati. Tale materiale, sversato nel terreno circostante, era giunto, attraverso fenomeni di ruscellamento, sino alle acque superficiali scorrenti nel fondo del vallone sottostante.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale condannava l’imputato alla pena pecuniaria ritenuta di giustizia e avverso siffatta decisione veniva proposto ricorso per cassazione.

Tra i motivi dedotti vi era anche la doglianza secondo cui la condotta ascritta all’agricoltore risulterebbe sussumibile nella disciplina derogatoria alla generale normativa in tema di rifiuti, in quanto i liquami descritti nell’imputazione sarebbero frutto dell’attività svolta dall’impresa del ricorrente e riutilizzati attraverso la pratica della fertirrigazione a fini produttivi.

La Suprema Corte viene dunque investita della questione relativa alla sussistenza dei requisiti necessari affinché sia riscontrabile lo svolgimento lecito della pratica agricola summenzionata.

  1. La pratica della fertirrigazione: i nodi applicativi e i precedenti arresti giurisprudenziali

La fertirrigazione ha costituito l’oggetto di approfondimento nell’ambito di numerose sentenze della Suprema Corte, in quanto si tratta di una pratica agricola estremamente diffusa ed a cui spesso ci si riferisce nei casi di contestazioni penali afferenti al trattamento di liquami da allevamento.

Si tratta di una tecnica agraria che abbina l’irrigazione dei campi con la loro fertilizzazione, mediante la sistematica diffusione organizzata di liquami da allevamento o acque di vegetazione sui terreni allo scopo di renderlo fertile e produttivo[i].

Al fine di procedere ad un compiuto inquadramento della fattispecie, è subito necessario soffermarsi su alcuni concetti-chiave che ricorrono regolarmente nella trattazione del tema in questione.

Dall’analisi della giurisprudenza in materia, è possibile affermare che il rischio penale relativo al trattamento delle deiezioni animali (generalmente considerate) attiene a due “famiglie” di possibili contestazioni. L’ipotesi più ricorrente riguarda (come nella vicenda oggetto di analisi) l’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 in relazione alla gestione non autorizzata di rifiuti, costituiti dai liquami provenienti dal bestiame. In altri casi, viene contestato l’art. 137 comma 14 relativo l’illecita utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, ricordando che ai sensi dell’art. 74 comma 1 lett. v) D.Lgs. n. 152/2006 per “effluente di allevamento” si intende “le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione del bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato, ivi compresi i reflui provenienti da attività di piscicoltura[ii].

Pur essendo figure di reato poste a presidio di beni giuridici differenti (la prima tutela il comune interesse al corretto trattamento dei rifiuti; la seconda salvaguarda le acque), nella pratica la condotta materiale risulta facilmente riconducibile all’una o all’altra fattispecie, in quanto il materiale “concimante” utilizzato si presenta molto spesso allo stato liquido o fluido, con forme di tracimazione al suolo ovvero in corpi idrici nei pressi o all’interno delle strutture di allevamento, da cui deriva la “prossimità” al tema delle acque piuttosto che dei rifiuti.

La fertirrigazione è stata oggetto di regolamentazione specifica, in cui viene puntualmente richiamata. Il citato art. 74 D.Lgs. n. 152/2006, al comma 1 lett. p), definisce quale “utilizzazione agronomica” la “gestione di effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agro-alimentari, dalla loro produzione fino all’applicazione al terreno ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzati all’utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenute”. Nel concetto normativo di “utilizzazione agronomica” rientra l’intero processo di raccolta, deposito in vasca e trasporto con autobotte degli effluenti, oltre naturalmente allo spandimento terminale sui fondi coltivati.

L’art. 112 D.Lgs. n. 152/2006 individua poi la tipologia di liquami e acque con i quali può essere compiuta la fertirrigazione, richiamando le medesime categorie di provenienza individuate nell’art. 74 comma 1 lett. p): effluenti di allevamento, acque di vegetazione dei frantoi oleari, acque reflue provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno, silvicoltura, allevamento di bestiame o, comunque, alla valorizzazione della produzione agricola in via esclusiva.

Occorre quindi ricordare che, in effetti, l’utilizzo di sostanze fecali provenienti dall’attività zootecnica è sottoposta ad una deroga rispetto alla generale normativa sui rifiuti, come previsto dall’art. 185 comma 2 lett. f) D.Lgs. n. 152/2006 (“Esclusioni dall’ambito di applicazione”). Segnatamente: “non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto [rubricata “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati”] le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del presente articolo, la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell’ambito delle buone pratiche colturali, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana, nonché la posidonia spiaggiata, laddove reimmessa nel medesimo ambiente marino o riutilizzata a fini agronomici o in sostituzione di materie prime all’interno di cicli produttivi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

Pertanto, le materie fecali risultano escluse dalla disciplina dei rifiuti di cui al D.Lgs. n. 152/2006 solo a condizione che provengano da attività agricola e che siano effettivamente riutilizzate nella stessa tipologia di settore[iii]. A titolo esemplificativo, è stata affermata la natura di rifiuto con riferimento a ingenti quantitativi di pollina provenienti da allevamento avicolo, ammassati e collocati in aree scoscese prive di vegetazione[iv], ovvero su materiale fecale proveniente da un alpeggio di bovini in una malga[v]. È necessario, tuttavia, evidenziare come sia stato ormai chiarito che “la disciplina di deroga alla normativa sui rifiuti è autonoma ed indipendente rispetto alla disciplina di deroga di cui all’art. 8 D.Lgs. n. 22 del 1997 prevista per le materie fecali e le altre sostanze naturali non pericolose, sicché, a differenza di tale seconda ipotesi, non è richiesto che gli effluenti provengano da attività agricola e siano riutilizzati nella stessa attività agricola[vi]. Dunque, lo stretto nesso di pertinenzialità tra luogo di produzione degli effluenti e località di utilizzo per lo spandimento non costituisce un requisito essenziale ai fini della liceità della pratica.

Ciò che invece risulta assolutamente necessario affinché sia invocabile il regime derogatorio è l’effettiva esistenza di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento.

La giurisprudenza è unanime nell’escludere la sussistenza di lecita attività di fertirrigazione in mancanza di siffatto requisito, pertanto qualificando il materiale come rifiuto ed inquadrando l’attività di spandimento nella fattispecie di gestione non autorizzata dei rifiuti: “la pratica della fertirrigazione, che sottrae il deposito delle deiezioni animali alla disciplina sui rifiuti, richiede, in primo luogo, l’esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento[vii].

In un caso avente ad oggetto spandimento di liquami – con contestazione relativa al trattamento delle acque reflue di un allevamento – è stato osservato che “non può certamente parlarsi di attività di fertirrigazione, essendo circostanza fattuale pacifica che le acque reflue erano destinate ad un terreno incolto e non già ad essere impiegate mediante apposite canalizzazioni con l’obiettivo di fertirrigazione di un terreno destinato a colture[viii].

Altro presupposto necessario al fine di vedere riconosciuta la sussistenza di una corretta pratica di fertirrigazione consiste nell’adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture. Quale corollario di tale affermazione, è richiesta l’assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione stessa, quali ad esempio lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo[ix].

In particolare, è stato stabilito che “presupposto imprescindibile per l’effettuazione della pratica della fertirrigazione è l’effettiva utilizzazione agronomica delle sostanze, la quale implica che l’attività sia di una qualche utilità per l’attività agronomica e lo stato, le condizioni e le modalità di utilizzazione delle sostanze compatibili con tale pratica. In altre parole, deve trattarsi di un’attività la cui finalità sia effettivamente il recupero delle sostanze nutritive ed ammendanti contenute negli effluenti e non può risolversi nel mero smaltimento delle deiezioni animali. Da ciò consegue la necessità che, in primo luogo, vi sia l’esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento[x].

Risultano dunque modalità del tutto incompatibili con la fertirrigazione fattispecie concrete quali l’interessamento solo di una minima parte del terreno coltivato; il mero scorrimento per caduta di liquami; lo sversamento su terreni non coltivati ovvero coltivati ma a fine ciclo vegetativo; sversamenti su terreno in forte pendenza o su terreni non di proprietà[xi].

Inoltre, non possono accedere alla disciplina derogatoria quegli sversamenti, privi di effettivo controllo, su terreni incolti senza alcun effettivo scopo agricolo. È stato osservato che “non si può parlare di fertirrigazione del suolo allorché, come è avvenuto nella fattispecie, i liquami vengono abbandonati alla rinfusa senza possibilità di assorbimento da parte del terreno, dando luogo a ruscellamenti, acquitrini o addirittura a paludi putrescenti, che non assolvevano la funzione, propria della fertirrigazione, di rendere i campi prosperi; anzi, come risulta dalla sentenza impugnata, hanno danneggiato il raccolto. In questi casi non si versa in ipotesi di fertirrigazione ma di abbandono di rifiuti[xii].

Da ultimo, è opportuno segnalare che pure l’accumulo di liquami, prolungato del tempo, presso strutture dell’azienda agricola (ad esempio, vasche di raccolta), a fronte di una presenza contenuta o irrilevante di terreni coltivati, può tradire la finalità di stoccaggio pressoché permanente del materiale, che potrebbe assumere addirittura i tratti della discarica abusiva[xiii].

  1. Conferma nel caso in esame degli orientamenti consolidati

La decisione esaminata non si discosta dai consolidati orientamenti della Suprema Corte, riconfermando gli approdi interpretativi ormai acquisiti.

Sotto il profilo dell’inquadramento giuridico, viene riconosciuta corretta la riconducibilità della condotta contestata all’imputato alla figura dell’“abbandono incontrollato di liquami”, declinazione degli artt. 192-256 D.Lgs. n. 152/2006. Tra i motivi di ricorso, infatti, era stata proposta anche la censura relativa alla mancata motivazione in merito all’esistenza di uno stabile sistema di collettamento delle acque: pertanto – ad avviso del ricorrente – i reflui di tale sistema dovevano essere qualificati come “scarichi” e non come “rifiuti”, sicché la condotta potesse integrare, al più, l’illecito amministrativo di scarico non autorizzato.

La Corte rileva al contrario “l’estraneità della presente fattispecie alla tematica del corretto convogliamento dei rifiuti liquidi verso un corpo recettore”, in quanto la disciplina sugli scarichi “trova applicazione solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuità, mediante una condotta o altro sistema di collettamento[xiv]. Rispondendo su tale questione viene peraltro fornito un importante spunto in ordine alla distinzione tra contestazione in materia di rifiuti ed in materia di acque relativamente ad una condotta avente ad oggetto effluvi liquidi.

Posta tale premessa – che comporta peraltro la declaratoria di inammissibilità del relativo motivo di ricorso – la decisione si concentra sul tema specifico della fertirrigazione, recuperando tutti i presupposti la cui (simultanea) presenza è necessaria al fine di ritenere applicabile la deroga alla normativa sui rifiuti.

La Sezione III osserva che “non pertiene alla fattispecie ora in questione il richiamo alla pratica della fertirrigazione; essa, infatti, non consiste nell’indiscriminato spandimento dei rifiuti fecali delle bestie sul terreno, come è risultato accadere nella presente occasione, presupponendo, quanto meno, che tale operazione sia eseguita – adottando delle buone prassi agricole e non facendo estemporaneamente tracimare il prodotto, in ipotesi fertilizzante – laddove si trovino a vegetare delle coltivazioni che da essa possano trovare giovamento”.

Nel caso in esame era pacifica la provenienza delle deiezioni dalla medesima azienda agricola, ma risultava tuttavia assolutamente mancante il requisito della effettiva presenza di colture sul terreno oggetto di spandimento, oltre che l’adeguatezza della quantità e qualità degli effluenti, nonché dei metodi di distribuzione. Invero, lo “spandimento” si qualificava in concreto come mera tracimazione dei liquidi zootecnici, dalle vasche di raccolta delle deiezioni suine sul terreno circostante.

Appare sul punto particolarmente rilevante il richiamo alle “buone prassi agricole”, riferimento a fonti extra-penali, nemmeno di matrice normativa-regolamentare (salvo il “Codice di buona pratica agricola” di cui al D.M. 19 aprile 1999), che pure vengono individuate quale parametro per il giudizio di rilevanza penale della condotta oggetto di contestazione. La “prassi” agricola, naturalmente se virtuosa, integra pertanto sostanzialmente il precetto penale nell’interpretazione fornita dalla Suprema Corte, almeno in una sua parte fondamentale e di applicazione concreta.

Ancora di interesse risulta l’inciso, relativo al “prodotto”, definito “in ipotesi fertilizzante”: anche in questo passaggio, la Corte richiama indirettamente uno dei requisiti fondamentali affinché si possa trattare di fertirrigazione, vale a dire una effettiva natura concimante del materiale e la sua riconducibilità all’elenco di cui all’art. 112 D.Lgs. n. 152/2006, al fine di escluderne la natura di “rifiuto”. Si tratta di un ulteriore tema che deve costituire oggetto dell’accertamento istruttorio di merito.

Può affermarsi, in conclusione, che la pratica della fertirrigazione costituisca senz’altro una risorsa per gli imprenditori agricoli impegnati nell’allevamento, la cui esecuzione pratica deve tuttavia sottostare a regole e controlli interni piuttosto serrati, affinché ne venga riconosciuta la piena liceità e se ne scongiuri l’abuso, possibilmente dannoso per l’ambiente.

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Nota a Cass., sez. III, 47032-2022 (rev.)

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Cass. III, 47032_2022 (Arienti)

NOTE:

[i] Cfr. S. MAGLIA – M.V. BALOSSI, Considerazioni sulla disciplina della tracimazione e dei fanghi, in Ambiente e Sviluppo, 2011, n. 3.

[ii] Corte Cass. pen., Sez. III, 24 gennaio 2023, n. 5733.

[iii] Corte Cass. pen., Sez. III, 28 novembre 2022, n. 45113.

[iv] Corte Cass. pen., Sez. III, 27 giugno 2013, n. 37548.

[v] Corte Cass. pen., Sez. III, 10 febbraio 2005, n. 8890.

[vi] Corte Cass. pen., Sez. III, 9 luglio 2008, n. 38411.

[vii] Corte Cass. pen., Sez. III, 6 maggio 2015, n. 40782.

[viii] Corte Cass. pen., Sez. III, 24 luglio 2013, n. 32059, v. altresì Corte Cass. pen., Sez. III, 2 maggio 2018, n. 18519.

[ix] Cfr. tra le tante: Corte Cass. pen., Sez. III, 28 novembre 2022, n. 45113; Corte Cass. pen., Sez. III, 6 maggio 2015, n. 40782; Corte Cass. pen., Sez. III, 22 gennaio 2013, n. 15043.

[x] Corte Cass. pen., Sez. III, 9 febbraio 2012, n. 5039, v. altresì Corte Cass. pen., Sez. III, 22 gennaio, n. 15043.

[xi] Cfr. N. MARCONI, Rilievi penali in ordine alla ‘falsa’ fertirrigazione e a quella irregolare, in Rivista per la consulenza in agricoltura, 62, 2021.

[xii] Corte Cass. pen., Sez. III, 4 luglio 2008, n. 27071.

[xiii] Cfr. ancora sul punto N. MARCONI, Rilievi penali in ordine alla ‘falsa’ fertirrigazione e a quella irregolare, in Rivista per la consulenza in agricoltura, 62, 2021.

[xiv] Richiama in proposito Corte Cass. pen., Sez. III, 14 febbraio 2018, n. 6998.

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