Assimilabilità delle acque meteoriche di dilavamento ai reflui industriali

27 Dic 2021 | giurisprudenza, penale

di Giulia Rota

Corte di Cassazione, Sez. III – 23 settembre 2021 (dep. 26 ottobre 2021), n. 38196 – Pres. Petruzzellis, Est. Ramacci – ric. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia

Non è possibile qualificare le acque come meteoriche di dilavamento nel caso in cui vengano a contatto con sostanze inquinanti o pericolose, quando cioè non si è in presenza di un dilavamento conseguente ad un fenomeno meteorologico che, attraverso la normale azione di erosione di una superficie impermeabile, determini la commistione delle acque piovane con polveri, detriti normalmente presenti sul suolo. Ciò perché, in tali casi, le acque di origine meteorica perdono la loro originaria consistenza divenendo sostanzialmente il mezzo attraverso il quale altre sostanze vengono veicolate verso un determinato corpo ricettore, un mero componente di un refluo di diversa natura oppure un elemento di diluizione di altre sostanze ma, certamente, non possono essere più considerate come semplici acque meteoriche di dilavamento.

La pronuncia in commento si fa apprezzare per una serie di ragioni. La Cassazione suggerisce, inserendosi in modo coerente nel panorama giurisprudenziale più recente, poche ma chiare coordinate interpretative utili al fine di individuare la disciplina applicabile alle acque meteoriche di dilavamento che vengono in contatto con sostanze inquinanti. La motivazione a sostegno della decisione tuttavia non appare del tutto immune da critiche, soprattutto se si considera l’evoluzione storica della disciplina applicabile.

Il gestore di un allevamento di animali veniva chiamato a rispondere per la gestione abusiva di rifiuti (art. 256 co. 1, lett. a) d.lgs. n. 152 del 2006, d’ora in poi TUA) e per lo scarico senza autorizzazione di acque reflue industriali (art. 137 co. 1 TUA).

Il Pubblico Ministero prima e il Giudice per le indagini preliminari poi disponevano il sequestro preventivo di una stalla, di sei autorimesse utilizzate per il ricovero degli animali, nonché di alcuni documenti e del telefono cellulare del gestore dell’allevamento. Dagli elementi di prova acquisiti, veniva accertato che le deiezioni degli animali erano raccolte e stoccate su di un piazzale in cemento non impermeabilizzato, in assenza sia di argini di contenimento sia di un pozzetto di raccolta dei liquami. Parte delle deiezioni poi venivano distribuite nei campi agricoli circostanti l’allevamento ed altra parte smaltita come rifiuti urbani domestici tramite la raccolta differenziata. Nel corso delle indagini veniva peraltro accertata l’abusività dell’allevamento, aperto e gestito con fini di lucro in assenza di titoli autorizzatori.

In particolare, per quanto qui interessa in relazione al reato di scarico senza autorizzazione di acque reflue industriali, l’art. 137 TUA è stato ritenuto sussistente per la inidoneità del sistema a raccogliere le acque meteoriche e di dilavamento. La circostanza si accompagnava alla già ricordata assenza di opere di impermeabilizzazione, alla mancanza strutturale dei pozzetti di raccolta e dei margini di contenimento.

Il Tribunale escludeva la sussistenza del fumus del reato di scarico in assenza di autorizzazione, annullando i provvedimenti di sequestro. La mancanza nel caso di specie di un vero e proprio scarico industriale, così come definito all’art. 74 comma 1 lett. h) TUA, escluderebbe tout court la possibilità di assimilare le acque meteoriche di dilavamento contaminate ai reflui industriali.

Il Pubblico Ministero ricorreva per cassazione e, tra l’altro, lamentava la violazione degli artt. 133, 137, 74 e 113 TUA. Per quanto qui di interesse, il ricorrente evidenziava l’applicabilità dell’art. 113 TUA al caso di specie, disposizione che affida alle Regioni il compito di determinare la disciplina delle acque di dilavamento contaminate. In particolare, avrebbero dovuto trovare applicazione le DGR n. 286/2005 e n. 1860/2006 della Regione Emilia Romagna, che qualificano come reflui industriali, sottoponendole dunque al relativo regime autorizzatorio, le acque meteoriche e di dilavamento contaminate[i].

Ritenendo il ricorso fondato, la Corte sottolinea come la decisione del Tribunale sia stata assunta all’esito di un’analisi solo parziale delle norme applicabili al caso di specie: non vi è dubbio che la disciplina regionale sopra menzionata dovesse essere se non altro oggetto di disamina da parte del giudice. In secondo luogo, la Corte fa riferimento a quell’orientamento secondo cui le acque meteoriche di dilavamento, se venute in contatto con sostanze, magari inquinanti, impiegate nell’attività commerciale esercitata dal titolare dell’impianto devono essere considerate reflue industriali, anche in assenza di una disciplina regionale orientata in tal senso.

Quest’ultimo punto è quello che sembra più interessante, anche alla luce della decisione assunta dal Collegio. Vediamo dunque di inquadrare in poche righe il problema, tra i più dibattuti in dottrina e in giurisprudenza nell’ambito della tutela delle acque dall’inquinamento[ii].

La disciplina delle acque meteoriche è contenuta nell’art. 113 co. 1 TUA secondo il quale le Regioni disciplinano e attuano i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, compresa l’autorizzazione. La valutazione se introdurre o meno una disciplina specifica per le acque meteoriche è dunque compito che spetta esclusivamente alle Regioni, che possono decidere, con discrezionalità assoluta, se darvi o meno seguito.

Al comma 2 della medesima disposizione viene infatti precisato che, in assenza della disciplina di cui alla disposizione precedente, le acque meteoriche non sono soggette a vincoli o a prescrizioni salvo il divieto di immissione nelle acque sotterranee (previsto al successivo comma 4). Il comma 3 inoltre prevede che le Regioni debbano disciplinare i casi in cui le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne debbano essere convogliate e trattate in impianti di depurazione quando, per le particolari attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili coperte di sostanze pericolose[iii]. Per espressa previsione legislativa, dunque, la fonte esclusiva della disciplina delle acque meteoriche sembra essere quella regionale. L’inottemperanza alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell’art. 113 co. 3 TUA è sanzionata all’art. 137 co. 9 TUA che rinvia solo quoad poenam al c. 1 della medesima fattispecie.

È stato altresì da tempo sottolineato come la volontà del legislatore di assegnare alle acque meteoriche e di lavaggio fonti e discipline distinte dagli altri reflui sia testimoniata anche dalle modifiche alla definizione di acque reflue industriali operate dal legislatore nel corso del tempo[iv].

Nel TUA non si trova una definizione di acque meteoriche, che è però ricavabile da quella delle acque reflue industriali. Tali acque, infatti, stando all’art. 74 co. 1 lett. h), nella sua formulazione originaria, erano quelle provenienti da edifici ove si svolgono attività produttive e commerciali, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento, «intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività dello stabilimento». In base alla precisazione inserita qui tra virgolette, le acque di dilavamento venute in contatto con sostanze inquinanti connesse alle attività dello stabilimento dovevano ritenersi assimilabili, purché qualitativamente equivalenti, ai reflui industriali, con conseguente obbligo per il titolare dell’attività di chiedere il rilascio di un’autorizzazione allo scarico[v]. Il d.lg. n. 4 del 2008 ha, tra l’altro, modificato la definizione di acque reflue industriali tuttora in vigore, in cui non compare più la specificazione sopra evidenziata.

Secondo gran parte della dottrina, proprio in ragione di tale ultima modifica normativa, le acque meteoriche di dilavamento non potevano più considerarsi assimilabili a quelle industriali: le due acque sono fenomeni diversi e non sovrapponibili tra loro, tanto che il legislatore ha deciso, con l’intervento ablativo di cui si è dato conto, di tenere separate non solo le discipline, ma anche le relative definizioni[vi].

La giurisprudenza al contrario ha ribadito – con una sola eccezione rimasta tuttavia isolata[vii] – l’assimilabilità delle acque meteoriche a quelle reflue industriali, sulla base della considerazione secondo cui le acque da precipitazione atmosferica contaminate perdono la loro caratteristica di fenomeno naturale per assumere i caratteri tipici dei reflui industriali potenzialmente dannosi per l’ambiente.

In tale contesto si inserisce la decisione in esame che, come anticipato, pur caratterizzandosi per una motivazione ricca di riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, si espone a qualche rilievo. Non vi è dubbio, in ragione di quanto sin qui detto, che le acque meteoriche di dilavamento trovino la loro disciplina nell’art. 113 TUA, disposizione da cui emerge che alle Regioni spetta il compito di decidere se prevedere o meno forme di gestione o controllo di tali tipi di acque. Si ritiene dunque che la Corte non potesse che ritenere fondate le censure sollevate sul punto dal ricorrente.

In merito all’applicabilità o meno della disciplina regionale, non si è avuta la possibilità di leggere la sentenza del Tribunale e gli atti di indagine, tuttavia, stando alla sola sintesi operata dalla Corte, sembra non sia stato dato alcun peso al fatto che la DGR n. 286/2005 prevede alcune esclusioni dagli obblighi di gestione delle acque di prima pioggia, come il caso in cui lo scarico avvenga in «aree e superfici esterne scoperte degli stabilimenti e insediamenti adibite al parcheggio, al transito o a normali operazioni di carico e scarico» (cfr. punto g), DGR n. 286/2005), situazione che pare non tanto diversa da quella esaminata dalla Corte, che viene appunto definita «area cortiliva del complesso».

Al di là del profilo appena menzionato, il motivo di ricorso viene ritenuto dalla Corte fondato sulla base del fatto che, a prescindere dall’esistenza e dal contenuto della disciplina regionale, possono essere considerate meteoriche le sole acque piovane che cadendo sul suolo non subiscano alcuna contaminazione. Tuttavia, non si può che concordare nel definire questa tesi «tanto ardita quanto inaccettabile»[viii].

Se nell’ordinamento esiste una chiara definizione di acque di prima pioggia e di dilavamento delle aree esterne (art. 113 co. 3 TUA), l’indicazione della fonte a cui compete intervenire e disciplinare il fenomeno (cioè, lo si ribadisce, le Regioni), nonché una sanzione in caso di inosservanza di tale disciplina (art. 137 co. 9), non si comprende la ragione per la quale la giurisprudenza si debba sostituire al legislatore nel definire il confine del penalmente rilevante. Si ritiene al contrario doveroso concludere nel senso che l’ordinamento prevede di punire con una sanzione amministrativa qualsiasi violazione della disciplina regionale e con una contravvenzione (appunto con le pene previste al co. 1 dell’art. 137 TUA, stante il rinvio operato dal co. 9) le sole norme orientate a prevenire un pericolo concreto di danno alla risorsa. Un distinguo, questo, che appare maggiormente rispettoso degli attuali “equilibri” dell’ordinamento.

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Rota – commento c. pen. 38196-2021 (rev)

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Cass. 38196_2021

Note:

[i] «Qualora l’acqua meteorica vada a “lavare”, anche in modo discontinuo, un’area determinata destinata ad attività commerciali o di produzione di beni nonché le relative pertinenze (piazzali, parcheggi etc.) trasportando con sé i “residui”, anche passivi, di tale attività, la stessa acqua perde la sua natura di acqua meteorica per caratterizzarsi come “acqua di scarico”, da assoggettare alla disciplina degli scarichi compreso l’eventuale regime autorizzatorio. In linea generale si ritiene che debbano rientrare in questo ambito gli stabilimenti o insediamenti con destinazione commerciale o di produzione di beni le cui aree esterne siano adibite all’accumulo/deposito/stoccaggio di materie prime, di prodotti o scarti/rifiuti, allo svolgimento di fasi di lavorazione ovvero ad altri usi per le quali vi sia la possibilità di dilavamento dalle superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o sostanze che possono pregiudicare il conseguimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici» (lett. g) DGR 286/2005, “Direttiva concernente indirizzi per la gestione delle acque di prima pioggia e di lavaggio da aree esterne”).

[ii] Così lo definisce, da ultimo, G. Amendola, Acque meteoriche e acque reflue industriali: la Cassazione si «consolida», in www.lexambiente.it, 1° luglio 2021.

[iii] M. Balossi, V. Sassi, La gestione degli scarichi. Aspetti giuridici e tecnici, Piacenza, 2011, p. 40, definiscono acque meteoriche di dilavamenti come «parte delle acque di una precipitazione atmosferica che, non assorbita o evaporata, dilava le superfici scolanti»; per un approfondimento sulla disciplina C. Melzi d’Eril, Art. 137 D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, in Aa.Vv., Codice penale commentato (diretto da Dolcini e Gatta), tomo IV, Wolters Kluwer, Milano, V ed., 2021, p. 2148, nonché C. Melzi d’Eril, Reflui industriali, acque meteoriche di dilavamento: arresti (e qualche inciampo) nella giurisprudenza, in Ambiente & Sviluppo, 2013, p. 728; analizza e confronta alcune normative regionali A. Muratori, Acque meteoriche di dilavamento: normative regionali a confronto, in Ambiente & Sviluppo, 2008, p. 224.

[iv] Per tutti, C. Melzi d’Eril, Sulla ammissibilità di acque meteoriche e acque reflue industriali, nota a Cass. pen, sez. III, ud. 11 gennaio 2018, dep. 21 giugno 2018, n. 2875, in Lexambiente riv. giur., 1/2018.

[v] Sul punto, le pronunce sono numerose Cass. pen., sez. III, ud. 5 luglio 2007, dep. 4 settembre 2007, n. 33839, in in www.lexambiente.it, 24 settembre 2007, nello stesso senso Cass. pen., sez. III, ud. 11 ottobre 2007, dep. 30 ottobre 2007, n. 40190, CED 238056, nonché Cass. pen., sez. III, ud. 15 gennaio 2008, dep. 5 marzo 2008, n. 9984, CED 239066.

[vi] In questi termini, per tutti, A.L. Vergine, La tutela penale delle acque nel D.lgs. 152/2006 e successive modificazioni e integrazioni, in Dir. pen. proc. Speciale 2010, p. 24; C. Melzi d’Eril, Reflui industriali, acque meteoriche di dilavamento: arresti (e qualche inciampo) nella giurisprudenza, op. cit.;

[vii] Ci si riferisce a Cass. pen., sez. III, ud. 30 ottobre 2013, dep. 22 gennaio 2014, n. 2867, in Riv. giur. amb., 2014, p. 544, con nota di C. Melzi d’Eril; per l’indirizzo maggioritario si veda, per esempio, Cass. pen., sez. III, ud. 17 gennaio 2014, dep. 27 febbraio 2014, n. 9620, in Riv. giur. amb., 2015, p. 62, con nota di A.L. Vergine.

[viii] E di recente ribadito da A.L. Vergine, Acque meteoriche di dilavamento o acque reflue industriali?, in RGA online, nota a Cass. pen., sez. III, ud. 24 febbraio 2021, dep. 23 marzo 2021, n. 11128.

 

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