Acque reflue industriali: la Cassazione torna (confermando se stessa) sulle metodiche di campionamento

02 Feb 2023 | giurisprudenza, penale

di Giulia Bellini

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – n. 45434, 16 novembre 2022 (dep. 30 novembre 2022), n. 45434 – Pres. Ramacci, Est. Noviello – ric. Imputato B.D.

Le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell’allegato 5 alla Parte II^ del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (campione medio prelevato nell’arco di tre ore), non costituiscono un criterio legale di valutazione della prova e possono essere derogate, anche con campionamento istantaneo, in presenza di particolari esigenze individuate dall’organo di controllo, delle quali deve essere data motivazione e tali esigenze possono derivare dalle caratteristiche del ciclo produttivo, dal tipo di scarico – continuo, discontinuo, istantaneo – dal tipo di accertamento.

  1. La vicenda oggetto della decisione e i motivi di ricorso

Come noto, l’attività di prelievo e analisi dei campioni di refluo costituisce il momento cardine dell’accertamento delle condotte di inquinamento idrico previste dal T.U.A., nonché il faro che orienta le decisioni dei giudici di merito in tale, complessa, materia.

Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha avuto modo di tornare sul tema, ribadendo un ormai consolidato orientamento circa la natura della disposizione sulle metodiche di prelievo e campionamento delle acque reflue industriali, che continua a destare non poche perplessità.

Nel caso oggetto di scrutinio, B.D., amministratore di un’azienda, era stato condannato dal Tribunale di Busto Arsizio ai sensi dell’art. 137, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 152/2006, per aver scaricato acque reflue industriali, derivanti dallo svolgimento dell’attività produttiva e contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla Parte Terza del Decreto, all’interno delle caditoie site nel cortile aziendale e collegate alla tubazione delle acque nere.

L’imputato promuoveva ricorso per Cassazione avverso la sentenza di primo grado.

Con il primo motivo, lamentava, inter alia, l’errata applicazione dell’art. 137 T.U.A., attesa l’assenza di uno scarico di reflui in atto al momento dell’ispezione e del campionamento effettuati dagli operanti; con il secondo motivo, ravvisava la violazione dell’art. 192, comma 2, c.p.p., in ragione dell’inidoneità degli indizi raccolti a fondare l’affermazione della responsabilità penale del medesimo; con il terzo motivo, sosteneva l’inutilizzabilità degli esiti delle analisi dei campioni raccolti, avendo l’ente verificatore omesso, in violazione dell’art. 360 c.p.p., di avvisare B.D. dello svolgimento dell’accertamento, essendosi limitato, invece, a comunicargliene i risultati.

La Suprema Corte, investita dell’impugnazione, ha ritenuto immune da censure la sentenza del giudice di Prime Cure e dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’imputato.

  1. Le metodiche di prelievo e campionamento delle acque reflue: la sostanziale discrezionalità dell’autorità di controllo

Il primo motivo di ricorso ha, innanzitutto, dato modo alla Corte di Cassazione di tracciare nuovamente il perimetro attribuito, nella prassi applicativa[1], alla nozione di “scarico” rilevante in tema di inquinamento idrico.

Sgombrando il campo da qualunque dubbio sull’estensione di tale concetto, la Suprema Corte ha, infatti, chiarito che deve ritenersi idonea a ricadere nella definizione di “scarico” “la canalizzazione, anche se soltanto periodica o discontinua o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuata tramite condotta, tubazione, o altro sistema stabile di canalizzazione”[2].

Non coglie nel segno, dunque, a parere della Cassazione, la censura mossa sul punto dal ricorrente, ben potendosi ritenere integrata la fattispecie incriminatrice in esame – al ricorrere, ovviamente, degli altri requisiti richiesti dall’art. 137 D.Lgs. n. 152/2006 – anche in presenza di uno sversamento che, all’atto dell’ispezione effettuata dagli organismi di controllo, risulti non più in essere.

Il dato della permanenza dello scarico al momento dell’accertamento può, al più, rilevare ai fini della determinazione del tempus commissi delicti, nonché della valutazione, demandata al giudice di merito, circa l’attendibilità, caso per caso, dei risultati delle analisi effettuate sul campione prelevato dal sito attinto dallo sversamento, ma non è idonea ad incidere sulla rilevanza penale del fenomeno.

Il Collegio si è, poi, spinto oltre nel proprio ragionamento, illustrando come a tale impostazione non osti nemmeno la previsione del T.U.A. – contenuta nell’Allegato 5 alla Parte III del D.Lgs. n. 152/2006[3] – che individua quale metodo standard di prelievo e campionamento delle acque reflue industriali il “campione medio prelevato nell’arco di tre ore”, procedimento di difficile applicazione quando gli scarichi non siano più in corso al momento dell’accesso.

Facendo leva sul secondo periodo della disposizione in parola, che fa comunque salva la possibilità per l’ente accertatore, ove reso opportuno dalle circostanze del caso di specie, di effettuare il campionamento su tempi diversi, la Corte ha, infatti, evidenziato che “le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo contenute nell’allegato 5 alla Parte II^ (rectius, III^) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, (campione medio previsto nell’arco di tre ore), non costituiscono un criterio legale di valutazione della prova e possono essere derogate, anche con campionamento istantaneo, in presenza di particolari esigenze individuate dall’organo di controllo, delle quali deve essere data motivazione, e tali esigenze possono derivare dalle caratteristiche del ciclo produttivo, dal tipo di scarico – continuo, discontinuo, istantaneo -, dal tipo di accertamento”[4].

Nell’affermare tale principio, la sentenza in commento si è posta nel solco di un orientamento di legittimità da tempo consolidatosi sul tema[5], secondo cui la disposizione che indica le modalità di campionamento degli scarichi di acque reflue industriali non ha carattere sostanziale, bensì procedimentale e non costituisce, quindi, una norma integratrice della fattispecie penale: essa, infatti, si limita ad individuare la modalità ordinaria per effettuare il prelievo, ma non esclude l’attendibilità di un campione che non si sia potuto ottenere, per qualunque ragione, secondo il criterio ordinario.

Stante l’ampio margine di discrezionalità riconosciuto all’ente di controllo nell’individuazione della metodologia di prelievo e campionamento da utilizzare nel caso concreto, il vaglio circa la congruità della stessa, la rappresentatività del campione prelevato e la conseguente idoneità probatoria degli esiti delle analisi effettuate, è, dunque, rimessa dalla Suprema Corte ai giudici di merito, ai quali viene attribuito l’onere di fornire un’adeguata motivazione sul punto[6].

  1. Attività ispettive e prelievi: tra carattere amministrativo e garanzie difensive

Il terzo motivo di ricorso, anch’esso rigettato, ha dato il là alla Suprema Corte per tornare brevemente sul tema delle garanzie da assicurare all’interessato in caso di svolgimento, nell’ambito di attività di prelievo, campionamento e analisi chimiche svolte dall’organo di controllo, nell’ambito della tutela delle acque dall’inquinamento.

Aderendo, anche qui, ad un orientamento costante sul punto[7], la Corte di Cassazione ha, infatti, ribadito che le predette attività, quando poste in essere fuori dal processo penale, hanno natura amministrativa e non richiedono, pertanto, l’osservanza delle disposizioni previste dal codice di rito a favore di indagati e imputati in caso di svolgimento di attività di Polizia Giudiziaria; l’unica garanzia da applicare in tali ipotesi è quella di cui all’art. 223 disp. att. c.p.p., ovverosia l’obbligo di comunicare al soggetto interessato giorno, ora e luogo in cui i campioni verranno sottoposti alle analisi, avvertendolo, altresì, del fatto che potrà presenziare personalmente a tale attività o farsi assistere da persona da lui designata, circostanza che nella specie risultava essersi verificata.

Diverso è, invece, il caso in cui, durante l’esecuzione di tali accertamenti, emergano indizi di reato: in tale eventualità, infatti, l’attività in corso finisce per perdere la propria natura squisitamente amministrativa ed extraprocessuale, passando sotto l’egida dell’art. 220 c.p.p. e imponendo, quindi, il riconoscimento all’interessato di tutte le garanzie difensive attribuite, nel procedimento penale, all’indagato e all’imputato[8].

Tale impostazione, astrattamente condivisibile, desta, tuttavia, più d’una perplessità nel passaggio al piano applicativo: la valutazione circa l’emersione, nel corso dell’attività di accertamento, di elementi di reità a carico dell’interessato, idonei a segnare il passaggio alle garanzie del codice di rito, è, infatti, rimessa all’autorità procedente, con l’inevitabile rischio di prestare il fianco a distorsioni valutative di comodo.

  1. Conclusioni

La sentenza in commento, pur non avendo portata innovativa, ha offerto lo spunto per tornare a riflettere sul tema delle metodiche di prelievo e campionamento delle acque reflue industriali, previste dall’Allegato 5 alla Parte III del D.Lgs. n. 152/2006.

Com’è ovvio, in ragione del fatto che gli esiti delle analisi condotte sui campioni confluiscono nel procedimento penale, le attività di prelievo e campionamento assumono un rilievo centrale nell’accertamento della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 137 T.U.A.

Ferma restando la ragionevolezza della previsione che consente alle autorità di controllo di ricorrere a metodologie di campionamento alternative a quella standard, che maggiormente si attaglino alle peculiarità del caso concreto, tale disposizione, in ragione dell’ampiezza della sua formulazione, finisce, tuttavia, per demandare la valutazione circa l’adeguatezza del metodo di volta in volta utilizzato al giudice penale, soggetto che, nella maggior parte dei casi, non possiede le competenze tecniche a ciò necessarie.

In ragione di ciò, de iure condendo, sarebbe, quindi, auspicabile un intervento del legislatore teso a meglio precisare i metodi di prelievo e campionamento utilizzabili in alternativa a quello standard del campione medio prelevato nell’arco di tre ore.

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Nota a Cass. pen. 45434-2022 – Giulia Bellini (rev.)

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Cass. III, 45434_2022 (Bellini)

NOTE:

[1] Così, ex plurimis, Corte Cass. pen., Sez. III, 27 novembre 2015, n. 47038.

[2] Corte Cass. pen., Sez. III, 30 novembre 2022, n. 45434.

[3] Ai sensi dell’Allegato 5 alla Parte III del D. Lgs. n. 152/2006, para. 1.2.2 “Le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore. L’autorità preposta al controllo può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione dello scarico, dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuità dello stesso), il tipo di accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, ecc.)”.

[4] Corte Cass. pen., Sez. III, 30 novembre 2022, n. 45434. Nello stesso senso, per tutte, Corte Cass. pen., 30 agosto 2019, n. 36701; Corte Cass. pen., Sez. III, 17 dicembre 2018, n. 56670; Corte Cass. pen., Sez. III, 15 giugno 2017, n. 30135; Corte Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2016, n. 26437; Corte Cass. pen., Sez. III, 21 aprile 2011, n. 16054, secondo cui la giustificazione fornita dall’organo di controllo a sostegno dell’utilizzo di metodi di prelievo e campionamento alternativi può essere anche “sommaria”; Corte Cass. pen., Sez. III, 11 settembre 2006, n. 29884.

[5] Così, tra le altre, Corte Cass. pen., 30 agosto 2019, n. 36701; Corte Cass. pen., Sez. III, 11 settembre 2006, n. 29884; Corte Cass. pen., Sez. III, 24 marzo 2004, n. 14225; contra, seppur risalente: Corte Cass. pen., Sez. III, 7 luglio 2000, n. 9140.

[6] In tal senso, tra le altre, Corte Cass. pen., 30 agosto 2019, n. 36701; Corte Cass. pen., Sez. III, 11 settembre 2006, n. 29884; Corte Cass. pen., Sez. III, 24 marzo 2004, n. 14225.

[7] Per tutte, Corte Cass. pen., Sez. III, 20 luglio 2017, n. 35792; Corte Cass. pen., Sez. III, 12 marzo 2015, n. 10484; Corte Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2009), n. 19881.

[8] Si veda, supra, nota 7.

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