Accesso alle informazioni in materia di PFAS e procedimenti penali

20 Mag 2021 | amministrativo, giurisprudenza

di Eva Maschietto

TAR Veneto, II, 8 aprile 2021 n. 464 (A. Pasi Pres., D. Valletta Est.)

Omissis (Avv. M. Ceruti) c. Regione Veneto (F. Botteon, L. Londei, F. Zanlucchi), nei confronti di Garante per la Difesa dei Diritti della persona e Difesa Civica della Regione Veneto (n.c.)

Le risultanze delle indagini sulla sicurezza alimentare, determinate dalla presenza nelle matrici alimentari di sostanze pericolose rilasciate nell’ambiente (come i c.d. PFAS) svolte dalla Regione e le successive misure precauzionali e di verifica adottate dall’autorità costituiscono “informazioni ambientali” ai sensi del d.lgs. 195/2005 e pertanto sono oggetto di accesso da parte dei cittadini che ne vogliano verificare i contenuti, salvo sussistano comprovati motivi di esclusione da tale diritto.

La pendenza di un procedimento penale non è circostanza in sé sufficiente a paralizzare la pretesa all’ostensione delle informazioni ambientali, ove tale ostensione non determini un pregiudizio al procedimento o alle indagini, circostanza la cui ricorrenza in concreto va motivata dall’amministrazione sulla base di una valutazione ponderata fra l’interesse pubblico all’informazione ambientale e l’interesse tutelato dall’esclusione dall’accesso.

Il Piano di campionamento degli alimenti per la ricerca di sostanze Perfluoroalchiliche (i c.d. PFAS, in generale), della Regione Veneto, contenente i dettagli della presenza delle relative sostanze pericolose nelle matrici alimentari è accessibile ai cittadini che ne facciano richiesta, unitamente alle altre informazioni sulle misure precauzionali adottate dall’ente regionale al riguardo, anche nella pendenza di un procedimento penale, salvo che per quelle informazioni la cui divulgazione possa pregiudicare le indagini. Il TAR del Veneto quindi è chiamato a verificare se ricorra, nella specie, l’esigenza di impedire la divulgazione delle informazioni in quanto questa possa effettivamente pregiudicare i procedimenti penali in corso o le relative indagini.

Questa è, in sintesi, la conclusione della decisione del TAR Veneto che si è pronunciato accogliendo il ricorso contro il diniego parziale di accesso agli atti emesso dalla Regione Veneto in relazione all’istanza presentata da un gruppo di cittadini che, nel luglio del 2020, si era rivolta alla Direzione regionale competente per la Prevenzione sicurezza alimentare e veterinaria, al fine di acquisire le informazioni raccolte con il Piano di campionamento[i].

La sentenza esordisce in diritto spiegando che rientra espressamente nella definizione di «informazione ambientale[ii]» ex art. 2 comma 1 lett. a) punto 6. del d.lgs. 195/2005 anche quella relativa a: “lo stato della salute e della sicurezza umana, compresa la contaminazione della catena alimentare, le condizioni della vita umana, il paesaggio, i siti e gli edifici d’interesse culturale, per quanto influenzabili dallo stato degli elementi dell’ambiente di cui al punto 1) o, attraverso tali elementi, da qualsiasi fattore di cui ai punti 2) e 3)”, ricordando che, al punto 3 della medesima previsione, si fa riferimento espresso alle “misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell’ambiente di cui ai numeri 1) e 2), e le misure o le attività finalizzate a proteggere i suddetti elementi”. Il Piano di campionamento sugli alimenti, quindi, strumento di natura amministrativa, così come le misure precauzionali e di verifica (quale attività amministrativa finalizzata al medesimo scopo), con una natura sanitaria forse ancor prima che ambientale, sono certamente oggetto di accesso ai sensi della disciplina dettata dal d.lgs. 195/2005 (tanto che nemmeno la Regione, osserva il TAR, lo ha messo in dubbio), in quanto informazioni ambientali inerenti all’effetto che le sostanze pericolose di cui si tratta (PFAS) hanno avuto sull’ambiente e sulla catena alimentare derivata.

L’accesso alle informazioni ambientali, nella specie, era stato negato parzialmente dalla Regione sulla base dell’esigenza, dapprima formulata genericamente di “tutela dei dati personali” e, successivamente (a seguito della seconda decisione di diniego parziale dell’accesso successiva al pronunciamento del Garante) articolata sulla base della sussistenza di “noti procedimenti penali in corso”. Tale diniego, sia pur parziale, e’ ritenuto illegittimo dal TAR.

A questo proposito, vale la pena ricordare come l’accesso alle informazioni in materia ambientale costituisca uno dei pilastri che – a partire della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998 (art. 4) fino alla Direttiva n. 2003/4/CE che l’ha recepita e al d.lgs. 19 agosto 2005 n. 195 che l’ha implementata in Italia, fino all’inclusione nei principi generali del codice dell’ambiente all’art. 3sexies del d.lgs. 152/06 –  caratterizzano i diritti del pubblico in materia ambientale, svincolati questi dalla stretta necessità della dimostrazione di un interesse qualificato da parte di chi li esercita[iii]. Diritti, inoltre, la cui compressione è consentita solo in casi tassativi e, quindi, da interpretarsi restrittivamente, sulla base di un provvedimento di rigetto motivato e formulato per iscritto.

Il TAR, nell’esaminare il caso, riconosce che la Regione Veneto ha formalmente indicato due esigenze astrattamente idonee a consentire l’esclusione dall’accesso, rilevando – tuttavia – che nella specie la motivazione a supporto di tale indicazione è insufficiente. Da un lato, infatti, la seconda esigenza rappresentata (l’esistenza di procedimenti penali in corso) e’ nettamente distinta da quella inizialmente rappresentata (relativa alla tutela dei dati personali) nell’ambito dell’art. 5 comma 2 del d.lgs.195/05: la prima e’ infatti disciplinata dalla lettera c) e la seconda dalla lettera f), mentre la Regione sembra averle mescolate, quasi a voler mutare motivazione in corsa. Dall’altro lato, e in modo decisivo, il diniego dell’ente regionale non è supportato da una motivazione idonea in concreto.

La sentenza, infatti, afferma chiaramente che la pendenza di un procedimento penale non e’ circostanza in sé sufficiente a “paralizzare la pretesa all’ostensione delle informazioni ambientali”, in quanto non necessariamente l’accesso alle informazioni reca effettivamente quel “pregiudizio” allo svolgimento del procedimento giudiziario oppure all’attività investigativa, che giustifica l’inibizione alla conoscenza.

Non vi e’, quindi, una automatica esclusione dal diritto di accesso in caso di concomitante esistenza di una azione penale in corso, perche’ la ratio di tale esclusione sta nell’esistenza di un’incidenza negativa, causata dalla diffusione delle informazioni rilasciate tramite l’accesso, sulle indagini in corso.

Corollario di quanto precede e’ che va valutato dall’amministrazione, caso per caso, se l’esclusione all’accesso sia nella specie realmente necessaria: e ciò dipenderà – aggiunge il TAR, dando indicazioni interpretative utili e, per quanto consta, nuove – “dalla fase e dal grado in cui il procedimento giudiziario versi; dall’intervenuta chiusura delle indagini ovvero dall’essere gli accertamenti ancora in corso; dall’eventuale discovery operata in dipendenza del compimento di alcuni atti di indagine”. Aggiungendo che l’amministrazione puo’, al riguardo, ben confrontarsi con l’autorita’ giudiziaria competente per acquisire tali informazioni. Una diversa interpretazione porterebbe, infatti, a conclusioni paradossali: la pendenza di un processo penale e’ definizione equivoca, potendo riferirsi anche ai casi di appello o a casi per i quali non vi e’ alcuna esigenza di segretezza (posta la conclusione delle indagini, ad esempio) e, d’altro lato, riferirsi genericamente a tale pendenza, soprattutto visti i tempi della giustizia italiana, potrebbe equivalere a negare l’accesso per molti anni.

La Regione Veneto ha violato l’obbligo – sancito dal comma 3 dell’art. 5 cit. – di interpretare restrittivamente le esclusioni al diritto di accesso, perche’ non ha dimostrato di aver effettuato, in relazione all’istanza presentata nel caso in esame, quella “valutazione ponderata fra l’interesse pubblico all’informazione ambientale e l’interesse tutelato dall’esclusione dall’accesso”, necessaria secondo la norma, disattendendo – di fatto –  il fondamento dell’intera disciplina in materia di accesso alle informazioni ambientali, che vuole garantire “la più ampia diffusione delle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche”. In questo senso, l’ottica dell’amministrazione, che riceve un’istanza di accesso a informazioni ambientali, deve essere quella di garantire il più ampio accesso alle informazioni in questione: in questo senso, non deve svolgere indagini sull’interesse specifico del richiedente e, salvo per “richieste manifestamente irragionevoli e formulate in termini eccessivamente generici”, può limitare l’accesso alle sole e tassative ipotesi disciplinate dal primo e dal secondo comma dell’art. 5 cit.

La Regione Veneto e’ quindi ora chiamata ad approfondire il caso concreto, anche interloquendo con l’autorità giudiziaria procedente, nel termine assegnato dal TAR (con un’ordinanza quindi prescrittiva in senso stretto), e valutare se la diffusione dell’integralità delle informazioni richieste possa effettivamente costituire un pregiudizio per le indagini o il procedimento in corso.

E’ chiaro che nella fattispecie – che riguarda dati sulla presenza negli alimenti di sostanze pericolose (PFAS), la cui diffusione nell’ambiente, nella catena alimentare e nel corpo umano e’ di questi tempi oggetto di estremo interesse e allerta – il TAR Veneto ha efficacemente interpretato i principi in materia di accesso alle informazioni ambientali, con una sentenza che contiene una sorta di remand all’amministrazione procedente, indicando esattamente il percorso istruttorio da svolgere per assumere una nuova decisione, nel quadro della massima trasparenza al fine di garantire la conoscibilita’ di dati che potrebbero sostenere comportamenti specifici dei cittadini, oltre che supportare l’esercizio di azioni a tutela di diritti fondamentali, come quello alla salute.

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato.

pfas alimenti accesso Tar Veneto 202100464_01

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Maschietto maggio 2021

Note:

[i] Più precisamente, il ricorso era stato proposto da un gruppo di cittadine residenti con la famiglia nella zona qualificata come “zona rossa” per le sostanze pericolose in oggetto (PFAS), interessate a conoscere la situazione dei contaminanti presenti nei diversi alimenti “in modo da poter adottare ogni conseguente determinazione“, evidentemente per tutelare loro stesse e le loro famiglie dai rischi per la salute determinati dalla presenza di tali sostanze. La richiesta di accesso era stata rigettata per ben due volte dalla Regione: in prima istanza e anche dopo che il Garante per la difesa dei diritti della persona e Difesa civica della Regione Veneto si era pronunciato favorevolmente alle ricorrenti ai sensi dell’art. 25, comma 4, della legge 241/1990. Nella specie le ricorrenti avevano lamentato che la risposta della Regione rendeva impossibile comprendere se fossero stati eseguiti campionamenti e analisi degli alimenti anche con riferimento a sostanze perfluoroalchiliche diverse da PFAS e PFOA, ivi comprese le sostanze “a catena corta”. Si dolevano, poi, di come non fosse stato consentito l’accesso ai dati sulla geolocalizzazione delle matrici campionate e che, sulla base delle informazioni invece rilasciate, non fosse possibile comprendere se fossero state svolte ispezioni volte a verificare l’osservanza delle prescrizioni fornite dalle aziende sanitarie locali presso le imprese produttrici delle matrici alimentari.

[ii] Sull’interpretazione fornita dalla giurisprudenza dell’estensione della nozione di “informazione ambientale” si veda Consiglio di Stato VI, 2158/2018.

[iii] La stessa sentenza cita in proposito il precedente del Consiglio di Stato sez. IV, 20.5.2014, n. 2557.

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