Abusi edilizi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico: condono applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza

15 Giu 2020 | amministrativo, in evidenza 1, giurisprudenza

di Lorenzo Spallino 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI, 17 gennaio 2020, n. 425 – Pres. Montedoro, Est. Simeoli – G.G. (avv. Irene Giuseppa Bellavia) c. Comune di Frascati (avv.ti Caterina Albesano, Massimiliano Graziani) 

Il condono previsto dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 (terzo condono edilizio) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Non sono invece suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

01. La fattispecie

Il responsabile di un intervento di ampliamento privo di titolo autorizzatorio riceve ordinanza di demolizione ai sensi degli artt. 4 e 7 della legge n. 47/1985. Al fine di sanare l’abuso, questi presenta domanda di condono edilizio ai sensi della L. n. 326/03, ma la domanda viene rigettata in quanto l’opera da un lato insiste in area vincolata per la tutela paesistico-ambientale ai sensi della Legge n. 1497/39 e dall’altro non è conforme alle previsioni di zona secondo il vigente Piano Regolatore Generale.

L’interessato impugna il provvedimento di diniego, sostenendo da un lato che il vincolo apposto sull’area con D.M. 02.04.1954, ai sensi della Legge n. 1497/39, in quanto “bellezza di insieme” non costituisce un vincolo di inedificabilità assoluta, dall’altro l’illegittimità, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, dell’interpretazione “restrittiva” delle previsioni che escludono la sanabilità degli “abusi maggiori” nella legge sul terzo condono, il cui articolo 32, così interpretato, finirebbe per non trovare mai applicazione nelle zone vincolate.

02. La decisione di primo grado

Con sentenza n. 11785 del 4 dicembre 2018 il T.A.R. Lazio, sez. II quater, respinge il ricorso motivando che le articolate doglianze dedotte nei vari motivi di censura non possono essere condivise in quanto si fondano su un’interpretazione “permissivistica”, da tempo disattesa, della legge sul terzo condono, vero che nelle zone sottoposte a vincolo la sanatoria è prevista solo per gli interventi di minore rilevanza, ovvero quelle di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II quater, 15 giugno 2018 n. 6695).

Inequivoco è infatti, ad avviso del T.A.R. Lazio, il disposto dell’art. 32, comma 26, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326, secondo cui, a differenza della legislazione condonistica previgente, sono esclusi dalla sanatoria non solo gli abusi realizzati in aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta, ma anche a vincolo di inedificabilità relativa, nonché quelli non conformi agli strumenti urbanistici comunali.

  1. La decisione di secondo grado

Con sentenza n. 425, resa in forma abbreviata e depositata il 17 gennaio 2020, il Consiglio di Stato, sez. VI, si pronuncia definitivamente sulla vicenda, ribadendo che il combinato disposto dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e dell’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, fa sì che un abuso commesso su un bene sottoposto a vincolo di inedificabilità, indipendentemente dal fatto che esso sia di natura relativa o assoluta, non può essere condonato quando ricorrono, contemporaneamente, le seguenti condizioni: a) l’imposizione del vincolo di inedificabilità prima della esecuzione delle opere; b) la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio; c) la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Quanto alle tipologie di abusi condonabili, il Consiglio di Stato ribadisce nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico il condono previsto dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato decreto, ossia restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria e comunque previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

Non sono invece in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti.

La sentenza di primo grado è quindi confermata.

  1. Il terzo condono edilizio nell’esame della Corte Costituzionale

Il legislatore dell’edilizia è ricorso tre volte all’istituto del condono, fattispecie di natura derogatoria ed eccezionale, e per questo motivo di stretta interpretazione (da ultimo, Cons. Stato, Sez. II, 03/12/2019, n. 8271).

La Corte Costituzionale si è più volta occupata del tema, ammonendo a più riprese il legislatore statale (sentenze n. 416 e n. 427 del 1995, nonché ordinanze n. 174 del 2002, n. 45 del 2001 e n. 395 del 1996) che il condono edilizio non avrebbe superato il vaglio di costituzionalità in caso di ulteriore reiterazione.

Nel 2004, pronunciandosi sui ricorsi delle Regioni Campania, Marche, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Lazio, la Corte si è espressa a proposito della legittimità dell’art. 32 e dell’art. 49-ter, del D.L. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326 nonché dell’Allegato n. 1 di quest’ultima (sentenze n. 196, n. 198 e n. 199; ordinanza n. 197).

In quella sede la Corte, pur riconoscendo che la normativa in questione costituisce previsione e disciplina “di un nuovo condono edilizio esteso all’intero territorio nazionale, di carattere temporaneo ed eccezionale rispetto all’istituto a carattere generale e permanente del ^permesso di costruire in sanatoria^”, non ha tuttavia ritenuto di rilevare elementi di irragionevolezza tali da condurre ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 32, “pur trattandosi ovviamente di scelta nel merito opinabile”.

La chiave di volta della scelta, non poco criticata, della Corte sta nel passo della decisione in cui questa ricorda che fondamento giustificativo di questa legislazione era – è stata – la necessità di “chiudere un passato illegale” in attesa di poter infine giungere ad una repressione efficace dell’abusivismo edilizio, tanto che a giustificazione della legislazione di allora era stata posta la “persistenza del fenomeno dell’abusivismo, con conseguente esigenza di recupero della legalità” (cfr. sentenza n. 256 del 1996 e, analogamente, sentenze n. 302 del 1996 e n. 270 del 1996).

Fenomeno che evidentemente la Corte, pur senza affermarlo chiaramente, sa bene che non è mai cessato se è vero che l’indice di abusivismo edilizio – ossia il rapporto, calcolato ogni anno dall’ISTAT, tra costruzioni abusive e costruzioni autorizzate – sfiora il 20%, raggiungendo, secondo i dati Istat del rapporto Bes (benessere equo e sostenibile), la cifra del 19,7%, con una forbice che va dal 64% in Regioni come Campania e Calabria al 2% del Trentino Alto Adige (cit. L. Casini, Abusi e condoni edilizi: dalla clandestinità al giusnaturalismo? Giornale di diritto amministrativo 1/2019).

Se questo è lo stato dell’arte, è ragionevole ritenere che, pur con un giudizio negativo sull’operato del legislatore, ciò che ha indotto la Corte costituzionale a non intervenire sul terzo dei condoni edilizi sia da un lato la consapevolezza che la stagione emergenziale che aveva spinto il legislatore a intervenire nel 1985 non si è esaurita e dall’altro i “limiti più stringenti” del c.d. terzo condono rispetto al secondo e, soprattutto, al primo.

  1. Il c.d. terzo condono edilizio e gli abusi realizzati in zone vincolate

Il c.d. “terzo condono edilizio” è disciplinato dall’art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269 al quale fu affidato il compito di “riaprire” i termini della sanatoria introdotta con i condoni di cui alle Leggi n. 47/85 e n. 724/94, ma escludendo la condonabilità in vigenza di un vincolo di inedificabilità, anche relativa, apposto prima della realizzazione delle opere, e della difformità delle opere rispetto alle disposizioni urbanistiche.

Da allora, la giurisprudenza è univoca nel sottolineare la caratteristica del c.d. terzo condono ad operare a maglie decisamente più strette rispetto ai precedenti (così T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 04.10.2019, n. 4756, id. Cons. Stato, Sez. VI, 30.04.2013, n. 2367), in particolare con riferimento agli abusi realizzati in zone vincolate, condonabili unicamente quando consistenti in opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se e in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II bis, 24.01.2019, n. 931; Cons. Stato, Sez. VI, 18.05.2015, n. 2518; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 08.06.2016, n. 1397) e comunque previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, 24.06.2019, n. 8237).

Come ben spiega T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, 11.07.2019, n. 9223, l’art. 32, comma 26, lett. a), della legge n. 326 del 2003, ha infatti distinto le tipologie di illecito di cui all’allegato 1, numeri da 1 a 3 (opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo, interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o in difformità dal titolo edilizio), per le quali è possibile la sanatoria in tutto il territorio nazionale, mentre nelle aree sottoposte a vincolo ha ammesso la sanatoria solo per le “le tipologie di illecito di cui all’allegato 1 numeri 4, 5 e 6”, opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6).

Né rileva la natura del vincolo, poiché nell’interpretazione dell’art. 32 del d. l. n. 269/2003 si prescinde dalla natura, assoluta o relativa, di questo (Cons. Stato, Sez. VI, 23.02.2016, n. 735), non potendosi sanare quelle opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, 11.07.2019, n. 9223; id. 15.06.2018 n. 6695) in quanto rientranti nelle tipologie di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell’Allegato 1 al D.L. n. 269/2003.

In questo, consolidato, solco si colloca la decisione 17 gennaio 2020, n. 425, della Sezione VI del Consiglio di Stato.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

 

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Spallino_12_2020

 

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