Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti: (ancora) una pronuncia in tema di tempus commissi delicti

21 Apr 2021 | giurisprudenza, penale

di Roberta Mantegazza

Corte di Cassazione, Sez. III – 8 ottobre 2020 (dep. 17 febbraio 2021) n. 6149 – Pres. Di Nicola, Est. Cerroni – ric. Musio

Il reato di abbandono incontrollato di rifiuti ha natura istantanea con effetti permanenti, in quanto presuppone una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti che, per la sua episodicità, esaurisce i propri effetti al momento della derelizione, mentre il reato di deposito incontrollato, integrato dal mancato rispetto delle condizioni dettate per la sua qualificazione come temporaneo, ha natura permanente, perché la condotta riguarda un’ipotesi di deposito “controllabile”, cui segue l’omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dall’art. 183, comma primo, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l’eventuale sequestro.

  1. La vicenda processuale e la decisione della Corte di Cassazione

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi, ancora una volta, di un tema che ha conosciuto ampio (e tutt’altro che pacifico) dibattito[i]: la distinzione tra le condotte di  “abbandono” e di “deposito incontrollato” di rifiuti, ai sensi dell’art. 256 comma 2 D.Lgs. n. 152/2006[ii], ed il loro diverso atteggiarsi rispetto al tempus di consumazione; tema che porta con sé importanti ripercussioni pratiche, prime tra tutte la decorrenza del dies a quo rispetto alla prescrizione del reato.

La vicenda processuale, in verità, riguardava una contestazione parzialmente diversa, definita, in primo grado, con la condanna del ricorrente per la gestione illecita di rifiuti: l’accusa era quella di  aver smaltito abusivamente, su un fondo di proprietà di terzi, terre e rocce da scavo derivanti da attività di svuotamento e pulizia del vano sottostante il terrazzo realizzato nella propria proprietà fondiaria; condotta che era stata qualificata dal Tribunale di Lecce ai sensi dell’art. 256 comma 1 T.U.A.[iii], dunque come vera e propria gestione illecita di rifiuti e non come mero abbandono o deposito incontrollato, rilevante ai sensi del secondo comma della stessa disposizione.

Il primo giudice, in particolare, aveva inteso correlare la natura di (illecita) attività gestoria di rifiuti alla circostanza che l’imputato, con la sua condotta, avesse “inteso così liberarsi definitivamente della terra e delle rocce”: intento che – secondo il Tribunale – avrebbe fatto sorgere, a seguito dell’abbandono del materiale da scavo, una distinta ed autonoma responsabilità penale ai sensi dell’art. 256, comma 1, T.U.A.

Ed infatti, aveva precisato il Tribunale, dagli elementi emersi durante l’istruttoria dibattimentale era chiaro l’intento di disfarsi delle terre, apparendo invece poco verosimile l’intenzione di procedere ad un successivo riutilizzo (giudicato comunque illecito in assenza dei requisiti normativi), ed ancora meno plausibile quella di confidare nello smaltimento da parte degli organi competenti, sollecitati ad intervenire.

Il ragionamento del Tribunale è stato definito dalla stessa Corte di Cassazione come caratterizzato da uno “scarto logico che si traduce in una violazione di legge”; in realtà, non è dato comprendere sulla base di quali principi di diritto il Tribunale sia giunto a tale interpretazione: sembra quasi, per quanto è possibile ipotizzare dall’analisi delle poche e sintetiche osservazioni della Corte, che il Tribunale abbia sovrapposto due piani del tutto distinti tra loro; quello della definizione giuridica di “rifiuto”, che terminologicamente evoca proprio l’intento di disfarsi di qualcosa e che si pone idealmente in contrapposizione con il riutilizzo del materiale, e quello della qualificazione giuridica della condotta, sussumibile nel primo comma dell’art. 256 TUA nel caso di “raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione” (in una sola parola, “gestione”) e nel secondo comma in caso di abbandono o deposito incontrollato, ma che presuppone – sempre e comunque – che il materiale abbia già assunto la qualifica di rifiuto ai sensi dell’art. 183 comma 1 lett. a) T.U.A.

Nell’annullare la sentenza di primo grado “limitatamente al residuo reato di cui all’art. 256 comma 1 D.Lgs. n. 152 del 2006, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Lecce”, la Suprema Corte ha inteso dunque riaffermare un duplice ordine di principi: uno di carattere oggettivo, e per certi versi preliminare, relativo alla fissazione dei criteri distintivi per qualificare le diverse condotte (gestione, abbandono, deposito incontrollato) ed un secondo riferito alle attribuzioni soggettive dell’agente, che segna – per i casi di abbandono e deposito incontrollato[iv] – il limite del penalmente rilevante.

Infatti, precisa la Corte, “il reato di cui all’art. 256, comma 2, del D.Lgs n. 152 del 2006 pur avendo in comune con l’illecito amministrativo previso dall’art. 255, comma 1, del medesimo D.Lgs. le condotte di abbandono, deposito incontrollato e immissione, si trova con tale ultima norma in rapporto di specialità in ragione delle peculiari qualifiche soggettive rivestite dai suoi destinatari, che possono essere solo i titolari di imprese o i responsabili di enti”.

Il nuovo giudizio di merito cui rinvia la Corte di Cassazione, appare quindi dirimente per poter effettivamente sussumere, secondo i principi sanciti dalla Corte stessa, la condotta contestata nella vicenda de qua entro i confini dell’abbandono o del deposito incontrollato ed escludere così in capo all’agente – se effettivamente qualificato come soggetto privato – una responsabilità penale[v].

  1. Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti: definizione e “tempus commissi delicti”

Anche se con un ragionamento decisamente sintetico, la Suprema Corte ha posto dunque rimedio al vizio di legge in cui era incappato il Tribunale, di fatto spostando la rilevanza della “volontà dismissiva” in capo all’agente da elemento qualificante la gestione illecita del rifiuto, a discrimen – all’interno delle categorie di condotte descritte dall’art. 256, comma 2, T.U.A.,” – tra l’“abbandono” ed il “deposito incontrollato”.

L’urgenza di dettare i criteri distintivi tra le due condotte in esame è nata e si è sviluppata in seno al dibattito sulla natura del reato di cui all’art. 256 comma 2 D.Lgs. n. 152/2006; in un primo momento, la giurisprudenza – pur contrastante sul merito della questione – tendeva infatti a considerare le due condotte di abbandono e deposito incontrollato in modo unitario, attribuendole, dapprima, natura di reato istantaneo “poiché esso si consumerebbe al momento dell’abbandono senza che abbia rilievo la successiva omessa rimozione[vi] e, poi, più di recente, natura di reato permanente “sul presupposto che, integrando la condotta prevista dalla norma una forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero od allo smaltimento, la sua consumazione perdurerebbe [appunto] sino allo smaltimento o al recupero[vii].

Detto contrasto, in verità, è stato poi ritenuto dalla stessa giurisprudenza di legittimità “più apparente che reale”, potendo lo stesso “essere superato attraverso la precisazione da parte della Corte del contenuto della propria giurisprudenza[viii]. Infatti, continua la Corte, “non vi è dubbio che ogniqualvolta l’attività di abbondono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento ovvero di recupero del rifiuto stesso, caratterizzandosi, pertanto, essa come una forma, per quanto elementare, di gestione del rifiuto (della quale attività potrebbe dirsi che essa costituisce il “grado zero”), la relativa illiceità penale permea di sé l’intera condotta (quindi sia la fase prodromica che quella successiva) integrando, pertanto, una fattispecie penale di durata, la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella di rilascio; tutto ciò con le derivanti conseguenze anche a livello di decorrenza del termine prescrizionale. Laddove invece, siffatta attività non costituisca l’antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni (…), ma racchiuda in sé l’intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente”[ix].

Infatti, nel momento in cui il reato è pienamente perfezionato ed esaurito in tutte le sue componenti soggettive ed oggettive “risulterebbe del tutto irragionevole non considerarne ormai cristallizzati profili dinamici fin dal momento del rilascio del rifiuto, nessuna ulteriore attività residuando alla descritta condotta di abbandono”.

In tale solco interpretativo[x] si inserisce la decisione in esame, che ha fatto proprio il menzionato orientamento, declinandolo in termini per così dire “soggettivi”: “l’abbandono (…) presuppone una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti”, la quale, in considerazione della “puntualità” ed episodicità della condotta[xi], esaurisce i suoi effetti nel tempo e nel luogo in cui si verifica, configurando così un reato istantaneo ad effetti eventualmente permanenti[xii].

L’indifferenza dell’agente rispetto a quel che sarà del rifiuto determina così una sostanziale coincidenza temporale con la condotta tipica di abbandono, che si esaurisce proprio nell’istante del rilascio del rifiuto nell’ambiente; in un certo senso, quindi, è il carattere di “definitività” del conferimento a distinguere l’abbandono dal deposito incontrollato: nel primo caso, il detentore si disinteressa completamente della sorte dell’oggetto scaricato, definitivamente collocato nell’ambiente[xiii], nel secondo, la collocazione dei rifiuti in un determinato luogo è solo provvisoria, realizzata, cioè, in previsione di una successiva (ed autonoma) fase di gestione del rifiuto.

La precarietà dell’accontamento del rifiuto nell’ambiente, quale momento prodromico rispetto alla gestione finale, implica comunque che il deposito si prolunghi per un certo “tempo di attesa” prima della rimozione: è durante tale lasso temporale che si manifesta l’antigiuridicità della condotta, la quale si esaurisce, appunto, solo con la concreta rimozione del rifiuto dal luogo del deposito; da qui, la tesi – ampiamente sostenuta[xiv] – che il reato di deposito incontrollato (a differenza dell’abbandono) di rifiuti costituisca un reato permanente.

Per porre un primo punto fermo, dunque, è facile intuire come in questa prospettiva le due condotte in esame si accomunino – sotto il profilo strutturale – per il fatto di collocarsi, rispetto al comma 1 dell’art. 256 T.U.A., in un momento cronologicamente anteriore (il conferimento del rifiuto nell’ambiente rispetto alla successiva – eventuale – gestione), distinguendosi, invece, sotto il profilo logico-funzionale rispetto al fine perseguito: la dismissione della res nel caso di abbandono, l’accantonamento provvisorio funzionale ad altra attività, in quello di deposito.

  1. Considerazioni conclusive: la natura permanente del deposito incontrollato in relazione alla successiva fase di gestione del rifiuto

Mentre la condotta di abbandono di rifiuti non sembra destare particolari dubbi in merito al suo campo di applicazione[xv], un focus conclusivo merita, invece, il passaggio della decisione che definisce la condotta di deposito incontrollato di rifiuti in relazione al “mancato rispetto delle condizioni dettate per la sua qualificazione come temporaneo” ai sensi dell’art. 185 bis D.Lgs. n. 152/2006, ossia – in altre parole – un deposito “controllabile” mal gestito.

 È in funzione a tale definizione, infatti, che la Corte di Cassazione arriva a qualificare il deposito incontrollato come reato permanente: sarebbe in altre parole “l’omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dall’art. 183, comma primo, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006[xvi] [oggi art. 185 bis], la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l’eventuale sequestro”[xvii] ad integrare il carattere della (illecita) collocazione prolungata (seppur provvisoria del rifiuto).

Il punto sembra interessante nella misura in cui, in assenza di una definizione normativa di “deposito incontrollato”, la decisione si sforza di qualificarlo in “difetto”, ossia configurandolo ogniqualvolta manchino le condizioni normative per configurare altra ipotesi (lecita) di deposito, in questo caso – appunto – quello temporaneo[xviii].

A questo proposito, pare utile ricordare che il deposito temporaneo dei rifiuti presso il luogo di produzione non richiede il rilascio di un’autorizzazione preventiva, a condizione che avvenga nel rispetto di determinati limiti di tempo o di quantità: ciò in quanto, per definizione, si tratta di un raggruppamento (appunto temporaneo) di rifiuti precedente alla raccolta[xix], solo a partire dalla quale si può iniziare a parlare di gestione[xx] di rifiuti, che in quanto tale deve essere autorizzata.

L’ambito applicativo dell’art. 256 comma 2 T.U.A. è dunque segnato dal limite temporale in cui, dopo l’“accumulo”, prende avvio la gestione del rifiuto (con la raccolta e poi lo stoccaggio, lo smaltimento o il recupero ecc…): è allora che cessa la permanenza della condotta di deposito incontrollato, che appunto, come detto, ne rappresenta momento preliminare.

Di talché, si può parlare di deposito “incontrollato” (cioè fuori dal controllo) se esso avviene appunto al di fuori delle regole dettate per il deposito temporaneo, ma solo – è stato affermato[xxi] – nel caso di “occasionalità” dell’accumulo irregolare: se, infatti, quest’ultimo fosse caratterizzato da continuità e sistematicità, la condotta non si collocherebbe più in una fase pre-gestoria, ma costituirebbe essa stessa gestione, nelle forme del deposito preliminare o della messa in riserva[xxii], e perciò dovrebbe essere autorizzata preventivamente.

È il caso, ad esempio, del titolare di un’impresa che ammassi con continuità (ossia man mano che vengono prodotti) rifiuti decadenti dalla propria attività in un luogo diverso da quello in cui sono prodotti: si realizzerebbe così (già) un’attività di gestione dei rifiuti (e precisamente di stoccaggio in attesa dello smaltimento o della raccolta); quest’ultima condotta, assumerebbe così un’autonoma rilevanza penale ai sensi dell’art. 256 comma 1 D.Lgs. n. 152/2006[xxiii].

Se la medesima condotta fosse, invece, posta in essere in modo occasionale, allora potrebbe sì configurarsi – in capo al titolare d’impresa – una mera violazione delle regole per il deposito temporaneo prima della gestione, rilevante quindi come deposito incontrollato ai sensi dell’art. 256 comma 2 T.U.A.

In estrema sintesi, dunque, si può concludere che il deposito incontrollato di rifiuti è caratterizzato da un duplice ordine di caratteristiche: la provvisorietà dell’accumulo, da un lato, che lo distingue dall’abbandono, e l’episodicità dell’irregolarità del deposito, dall’altro, che vale a differenziarlo dalla vera e propria gestione illecita, rilevante ai sensi del comma 1 dell’art. 256 T.U.A.[xxiv]

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato.

Cass. pen., Sez. III, 8.10.2020 n. 6149

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Note:

[i] Tra i contributi in materia più recenti, v. V. Paone, Abbandono o deposito incontrollato di rifiuti: quando il reato è permanente?, in A&S, 11/2014, p. 777; V. Paone, Il reato di deposito incontrollato di rifiuti (Art. 256, 2° comma, D.Lgs. n. 152/06) è un reato permanente?, in Diritto Penale Contemporaneo, 16 luglio 2015; C. Bray, Sulla configurabilità dell’abbandono di rifiuti: soggetto attivo e momento consumativo del reato (istantaneo o permanente?), in Diritto Penale Contemporaneo, 10 aprile 2015; L. Regard, Il deposito incontrollato di rifiuti: la annosa questione della natura (istantanea o permanente) ed il soggetto attivo del reato, in Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, V. Paone, Il reato di deposito incontrollato di rifiuti e l’individuazione del suo momento consumativo, in Lexambiente n. 1/2020;

[ii] L’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 recita: “Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’art. 192, commi 1 e 2”.

[iii] Che invece stabilisce: “Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’art. 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, traporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito: a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi”.

[iv] In tema, invece, di gestione di rifiuti non autorizzata ex art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152 del 2006 da parte del “privato” non imprenditore, cfr., Corte Cass., Sez. III, 26 gennaio 2021 (dep. 8 febbraio 2021), n. 4770c, con nota di V. Morgioni, Attività di gestione di rifiuti non autorizzata ex art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152 del 2006: “chiunque” o soltanto “l’imprenditore”?, in Questa Rivista, n. 19 – marzo 2021.

[v] La rilevanza penale dell’abbandono o del deposito incontrollato di rifiuti è come noto correlata alla qualificazione soggettiva dell’agente: il reato è configurabile solo nei confronti di un soggetto che abbandoni rifiuti nell’ambito di una attività economica esercitata anche di fatto, a prescindere dalla qualificazione formale sua o dell’attività da egli esercitata Sull’interpretazione estensiva della locuzione “titolare d’impresa”, v. Ex Multis, Corte Cass., pen., Sez. III., 8 ottobre 2014 (dep. 19 novembre 2014), n. 47662. Al privato che abbandoni o depositi rifiuti si applica invece la sanzione amministrativa di cui all’art. 255 T.U.A.; in applicazione del cd. “principio sostanzialistico”, la differenza sanzionatoria è giustificata, dalla sentenza appena richiamata, in base alla “presunzione di una minore incidenza sull’ambiente dell’abbandono posto in essere da soggetti che non svolgono attività imprenditoriale o di gestione di enti”.

[vi] Ex Multis, v. Corte Cass. pen., Sez. III, 9 luglio 2013 (dep. 15 ottobre 2013), n. 42343, in Cass. CED, rv. 258313; Corte Cass., pen., Sez. III, 21 ottobre 2010 (dep. 18 novembre 2010), n. 40850, in Corte Cass. CED Rv. 248706; Corte Cass. pen., Sez. III, 7 aprile 2017 (dep. 8 agosto 2017), n. 38977, in Cass. CED, rv. 271078, nella quale si afferma che – a differenza del reato di discarica abusiva ex art. 256 comma 3 T.U.A. – è il tenore letterale dei commi 1 e 2 del medesimo articolo a connotare la natura istantanea del reato: “è la specifica condotta in sé, che per natura è istantanea, che viene sanzionata, indipendentemente dalla rimozione degli effetti pregiudizievoli arrecati. Né si ravvisano nella norma elementi che giustifichino la condotta della rimozione dei rifiuti come motivo di cessazione della contravvenzione”.

[vii] Ex Multis, v. Corte Cass. pen., Sez. III, 13 novembre 2013 (dep. 4 dicembre 2013), n. 488849, in Cass. CED, rv. 258519; Corte Cass. pen., Sez. III, 26 maggio 2011 (dep. 23 giugno 2011), n. 25216, in Cass. CED, rv. 250969.

[viii] Corte Cass. pen., Sez. III, 10 giugno 2014 (dep. 15 luglio 2014), n. 30910, in Cass. CED, rv. 260011.

[ix] Ibidem, p. 5.

[x] In altra recente sentenza, la Corte di Cassazione – dopo aver richiamato i suoi precedenti in ordine alla natura istantanea o permanente della condotta di deposito incontrollato – ha precisato che “ad avviso del collegio, la questione afferente l’individuazione del momento consumativo del reato di deposito incontrollato non consente di qualificarlo in astratto come istantaneo o permanente (…) dovendosi avere riguardo, piuttosto, alla condotta concretamente posta in essere, prescindendo quindi da una rigida catalogazione”, cfr., Cass., pen., Sez. III, 17 luglio 2019 (dep. 31 ottobre 2019), n. 44516, p. 6.

[xi] L’occasionalità della condotta è ciò che distingue, invece, l’abbandono di rifiuti dal reato di discarica abusiva ex art. 256 comma 3 D.Lgs. n. 152/2006, ed è “desumibile da elementi sintomatici, quali le modalità della condotta (ad es. la sua estemporaneità o il mero collocamento dei rifiuti in un determinato luogo in assenza di attività prodromiche o successive al conferimento), la quantità dei rifiuti abbandonata, l’unicità della condotta di abbandono, ciò in quanto la discarica richiede una condotta abituale, come nel caso di plurimi conferimenti, ovvero un’unica azione ma strutturata, anche se in modo grossolano e chiaramente finalizzata alla definitiva collocazione dei rifiuti in loco (così, da ultimo, Sez.3, n. 18399 del 16/3/2017, rv, 269914)”, (cfr., Corte Cass. pen., Sez. III, 31 ottobre 2019, n. 44516).

[xii] In generale, sui cd. reati di durata, v. G. Cocco, Reato istantaneo, di durata e a più fattispecie. Questioni controverse di unità e pluralità, in Resp. Civ. e previdenza, 2017, n. 2, p. 374 ss. Sui concetti di consumazione e permanenza in relazione ai reati ambientali, v. C. Ruga Riva, La permanenza nei reati ambientali, in Ambiente&Sicurezza, 2014, p. 803; C. Ruga Riva, Questioni controverse nelle contravvenzioni ambientali: natura, consumazione, permanenza, prescrizione, in Lexambiente, n. 3/2019, p. 6 ss.

[xiii] V. Paone, Il reato di deposito incontrollato di rifiuti e l’individuazione del suo momento consumativo, in Lexambiente, n. 1/2020, p. 8.

[xiv] Corte Cass. pen., Sez. III, 13 novembre 2013 (dep. 4 dicembre 2013), n. 488849, in Cass. CED, rv. 258519; Corte Cass. pen., Sez. III, 26 maggio 2011 (dep. 23 giugno 2011), n. 25216, in Cass. CED, rv. 250969.

[xv] L’abbandono si caratterizza come comportamento occasionale e discontinuo: “viceversa, ove si trattasse di atti plurimi di abbandono caratterizzati da stabilità, se non da vera e propria abitualità, non si tratterebbe di semplice abbandono di rifiuti, ma ricorrerebbe invece l’ipotesi di discarica abusiva di cui all’art. 256 comma 3”; cfr., R. Crupi, Abbandono di rifiuti, in AA.VV., Il nuovo diritto penale dell’ambiente, L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da), Bologna, 2018, p. 500.

[xvi] Oggi, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 14 del D.Lgs. n. 116/2020, il “deposito temporaneo prima della raccolta” è regolato dal nuovo art. 185 bis del D.Lgs. n. 156/2006, in vigore dal 16 settembre 2020, che recita:

“1. Il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero o smaltimento è effettuato come deposito temporaneo, prima della raccolta, nel rispetto delle seguenti condizioni:

  1. a) nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci;
  2. b) esclusivamente per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, anche di tipo volontario, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita;
  3. c) per i rifiuti da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti.
  4. Il deposito temporaneo prima della raccolta è effettuato alle seguenti condizioni:
  5. a) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, sono depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
  6. b) i rifiuti sono raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
  7. c) i rifiuti sono raggruppati per categorie omogenee, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
  8. d) nel rispetto delle norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose.
  9. Il deposito temporaneo prima della raccolta è effettuato alle condizioni di cui ai commi 1 e 2 e non necessita di autorizzazione da parte dell’autorità competente”.

[xvii] In questo senso v. anche Corte Cass. pen., Sez. III., 22 novembre 2017 (dep. 14 febbraio 2018), n. 6999, in Cass. CED, rv. 272632.

[xviii] In tema di deposito temporaneo, v. S. Maglia, Il deposito temporaneo: facciamo chiarezza sulle sue condizioni, in www.tuttoambiente.it;

[xix] Si consideri la definizione normativa di “raccolta” ex art. 183 comma 1, lett. o) D.Lgs. n. 152 del 2006: “il prelievo di rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare alla raccolta, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera mm), ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento”.

[xx] Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. n), per “gestione dei rifiuti”, si intende: “la raccolta, il trasporto, il recupero, compresa la cernita, e lo smaltimento dei rifiuti, compresi la supervisione di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediari. Non costituiscono attività di gestione dei rifiuti le operazioni di prelievo, raggruppamento, selezione e deposito preliminari alla raccolta di materiali o sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica effettuate, nel tempo tecnico strettamente necessario, presso il medesimo sito nel quale detti eventi li hanno depositati”.

[xxi] V. Paone, Abbandono o deposito incontrollato di rifiuti: quando il reato è permanente? (nota a Cass. pen. n. 30910/2014), in Ambiente&Sviluppo, 2014, n. 11, p. 779.

[xxii] Si tratta più precisamente delle operazioni di smaltimento D15 “Deposito preliminare del Rifiuto attuato prima di una delle operazioni di smaltimento previste nei punti da D1 a D14 dell’allegato B alla parte quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006” e di operazioni di recupero R13 “Messa in riserva del rifiuto attuata prima di una delle operazioni di recupero previste nei punti da R1 a R12 dell’allegato C alla parte quarta del T.U.A.”, che appunto costituiscono vere e proprie condotte di gestione del rifiuto che per essere realizzare lecitamente devono essere autorizzate.

[xxiii] In questo senso, v. anche Corte Cass. pen., Sez. III, 17 luglio 2019 (dep. 31 ottobre 2019), n. 44516.

[xxiv] Questa lettura risulta coerente anche rispetto al diverso perimetro soggettivo delle fattispecie incriminatrici descritte dai commi 1 e 2 dell’art. 256 T.U.A.: “chiunque” realizzi una gestione illecita di rifiuti per il primo comma, ed i soli “titolari di imprese ed ai responsabili di imprese” nel caso di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti. Infatti, “appare assai difficile sostenere che comportamenti di trasporto, recupero, smaltimento, commercio o intermediazione di rifiuti possano avvenire al di fuori di un contesto [almeno di fatto] imprenditoriale” cfr., V. Morgioni, cit.; in altri termini, quindi, solo in materia di abbandono o deposito incontrollato, grazie all’occasionalità del “rilascio”, ha senso distinguere tra la condotta del privato (che si pone al di fuori di qualunque intento economico) e quella dell’“imprenditore” (pur in senso lato).

 

 

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