Abbandono di rifiuti – Responsabilita’ del produttore su terreni oggetto di pignoramento

02 Mag 2024 | giurisprudenza, amministrativo

di Paolo Bertolini e Sara Folino

Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sez. V) – 02 febbraio 2024, n. 851 – Pres. Abbruzzese, Est. D’Alterio – Omissis S.r.l. (Avv. M. Fontanella) c. Ministero della Difesa, Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Napoli, Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta, Carabinieri Comando Provinciale di Caserta, Carabinieri Stazione di Teano (Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli); -OMISSIS– Campania, U.T.G. – Prefettura di Caserta

Il soggetto che produce il rifiuto, fintantoché non se ne libera nei modi indicati dall’Art. 188, quarto comma, del D. Lgs. n. 152 del 2006, è responsabile della corretta gestione del medesimo ed è quindi colui che deve essere individuato quale autore dell’abbandono nel caso in cui il materiale non venga correttamente smaltito.

La sentenza in esame concerne un’ordinanza di rimozione rifiuti adottata ai sensi dell’Art. 192 del D. Lgs. n. 152/2006 nei confronti dell’impresa ricorrente la quale, prima di essere assoggettata a un’ordinanza di liberazione del terreno di cui era comodataria, vi gestiva un impianto di trattamento rifiuti.

In particolare, con ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere si ordinava la liberazione di una particella di terreno, in quanto oggetto di pignoramento operato nei confronti della società comodante della ricorrente. Al fine di continuare nell’esercizio della propria attività, la ricorrente presentava opposizione all’atto di precetto, che, tuttavia, veniva rigettata. Ad ogni modo, ricevuta l’ordinanza di rilascio e nelle more della definizione dei giudizi di opposizione a precetto, la ricorrente continuava nell’esercizio della propria attività fino a che, a seguito di numerosi accessi dell’Ufficiale Giudiziario, interrompeva le attività di rimozione e rilasciava definitivamente il possesso del fondo al custode giudiziario.

Il possesso e la proprietà del terreno venivano quindi acquistati dal nuovo proprietario e, successivamente – con ordinanza del 22 ottobre 2020 – il Comune di Teano intimava alla ricorrente la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti, che, a seguito dello spossessamento del cespite, non erano stati oggetto di trattamento. Di conseguenza, l’ordine di rimozione era stato rivolto nei confronti della ricorrente individuata dal Comune come responsabile dell’abbandono dei rifiuti, ma che al momento dell’ordinanza non era in possesso del terreno, non essendone nemmeno mai stata proprietaria.

Con la sentenza in commento, il TAR Campania ha rigettato il ricorso, riconoscendo la legittimazione passiva della ricorrente rispetto all’ordine di rimozione in quanto soggetto produttore e responsabile dell’abbandono dei rifiuti.

Il TAR è pervenuto a tale determinazione facendo riferimento ai seguenti dettami normativi.

In primo luogo, l’Art. 192 del D. Lgs. n. 152/2006 è chiaro nel prevedere che l’ordine di rimozione e trattamento impartito dal Sindaco deve essere rivolto a colui che ha violato il divieto di abbandono dei rifiuti.

L’Art. 183, lett. h) del D. Lgs. n. 152/2006 stabilisce poi che è considerato detentore dei rifiuti il produttore degli stessi o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso.

Infine, l’Art. 188 del D. Lgs. n. 152/2006 prevede che la responsabilità in ordine alla corretta gestione dei rifiuti compete al produttore iniziale o ad altro detentore. Tale responsabilità non viene meno con la consegna dei rifiuti ad altri soggetti, salvo che vi sia stato conferimento al servizio pubblico di raccolta ovvero a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, e a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui al successivo Art. 193 del D. Lgs. n. 152/2006.

Pertanto, da tale quadro risulta evidente che il soggetto che produce il rifiuto, fintantoché non se ne libera nei modi indicati dal citato Art. 188, quarto comma, del D.lgs. n. 152 del 2006, è responsabile della corretta gestione del medesimo ed è quindi colui che deve essere individuato quale autore dell’abbandono nel caso in cui il materiale non venga correttamente smaltito.

Nel caso oggetto della sentenza in commento, il Tribunale riconosce che i rifiuti sono riconducibili alla precedente attività imprenditoriale di recupero svolta dalla ricorrente. Successivamente, con la cessazione di tali attività, e con la conseguente perdita del diritto temporaneo di stoccaggio, è emerso l’obbligo in capo alla ricorrente di procedere con la rimozione e lo smaltimento degli stessi, proprio in quanto produttrice e detentrice originaria dei rifiuti. Senonché, in violazione di tale obbligo, i rifiuti risultavano illegittimamente e intenzionalmente abbandonati dalla ricorrente su sito alieno, di cui quest’ultima non aveva più disponibilità giuridica.

Non rileva dunque la circostanza per cui la ricorrente, pur invitata più volte a rimuovere i rifiuti, dichiarava di non avere i mezzi per provvedervi. Il Tribunale inoltre dichiarava infondate le censure con cui la ricorrente lamentava l’impossibilità di adempiere per via del rilascio forzoso dell’immobile: l’ordinanza di rilascio recava infatti l’ordine al custode giudiziario di consentire l’accesso al fondo, per permettere la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti.

La decisione giuridica in commento ritorna su tematiche già esaminate dalla giurisprudenza, analizzandole nuovamente alla luce di paradigmi interpretativi fondamentali nel campo della gestione dei rifiuti e, in particolare, del principio comunitario del “chi inquina paga”.

Innanzitutto, nell’identificazione della ricorrente come soggetto responsabile dell’abbandono dei rifiuti, viene in evidenza il requisito della materiale disponibilità degli stessi nel momento dell’abbandono. Infatti, come evidenziato da recente giurisprudenza, l’abbandono presuppone che vi sia una relazione di fatto fra colui che lo attua e l’oggetto abbandonato: solo chi possiede o detiene l’oggetto può quindi abbandonarlo[i].

Sembra quindi rimarcarsi la differenza tra le valutazioni operate dalla giurisprudenza circa la detenzione dei rifiuti e la detenzione dell’immobile su cui questi gravano. Se infatti è vero che la disponibilità dei rifiuti al momento dell’abbandono è condizione necessaria per l’individuazione del responsabile, la giurisprudenza non assegna rilevanza all’attualità della detenzione dell’immobile su cui i rifiuti gravano[ii]. Infatti, in linea con i dettami dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 26 gennaio 2021, la giurisprudenza ha costantemente enfatizzato quanto previsto dalla Direttiva n. 2008/98/CE, la quale stabilisce che, secondo il principio del “chi inquina paga”, i costi della gestione dei rifiuti devono essere sostenuti dal produttore iniziale, dai detentori attuali o dai detentori precedenti[iii].

Data tale definizione del soggetto detentore dei rifiuti, nel caso di specie, il Tribunale non accoglieva l’argomentazione della ricorrente, secondo la quale i legittimati passivi dell’ordinanza di rimozione sarebbero il custode giudiziario e il proprietario del terreno colpevolmente inerti. A ben vedere, così decidendo, il TAR ha dato applicazione del sopracitato principio comunitario del “chi inquina paga”.

In particolare, limitandosi al riconoscimento della responsabilità della ricorrente, in quanto soggetto responsabile dell’abbandono dei rifiuti, il Tribunale escludeva una co-responsabilità del custode giudiziario e del nuovo proprietario.

La posizione del custode giudiziario può essere meglio compresa se posta in confronto con quella del curatore fallimentare, attraverso l’analisi della citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria (la n. 3 del 26 gennaio 2021). In tale occasione, l’Adunanza Plearia ha riconosciuto il criterio della “detenzione” del rifiuto come presupposto necessario della co-responsabilità del curatore fallimentare. Quest’ultimo, infatti, dopo la dichiarazione di fallimento, tramite l’inventario dei beni dell’impresa medesima, diviene detentore e – in un’ottica di continuità – “gestisce” proprio il patrimonio della società fallita e ne ha la disponibilità materiale.

L’Adunanza Plenaria rimarca inoltre la continuità con la quale si pone la massa fallimentare con il patrimonio dell’imprenditore fallito: di conseguenza, le poste negative derivanti dall’esercizio dell’attività imprenditoriale rimangono a carico dello stesso patrimonio e, pertanto, finiscono inevitabilmente per incidere sulla formazione dell’attivo del fallimento e sulla sua ripartizione tra i creditori.

Al contrario, a parere di chi scrive, nel caso del custode giudiziario e della situazione giuridica sottesa alla sua nomina, non sussistono tali rapporti di continuità. Il custode giudiziario, proprio in quanto delegato del giudice, ha il compito principale di garantire la conservazione dello stato del bene immobile sequestrato, con il fine dell’utile prosecuzione del processo esecutivo[iv].

Pertanto, riconoscere la legittimazione passiva del custode giudiziario comporterebbe una violazione del principio del “chi inquina paga”. Lo stesso principio è stato chiarito da recente giurisprudenza, secondo cui “l’esser stati successivamente nominati custodi di un’area occupata da rifiuti abbandonati non trasferisce sul custode stesso non responsabile dell’abbandono gli obblighi di provvedere alla rimozione di essi[v].

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

NOTE:

[i]               TAR Lombardia (Milano), Sez. III, 14 marzo 2023, n. 940, in questa Rivista, n. 43 giugno 2023, con nota di C. Galdenzi e F. Boezio

[ii]              TAR Umbria, Sez. I, 12 maggio 2023, n. 328.

[iii]             L’Art. 14 della Direttiva n. 2008/98/CE stabilisce che “1. Secondo il principio «chi inquina paga», i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti. 2. Gli Stati membri possono decidere che i costi della gestione dei rifiuti siano sostenuti parzialmente o interamente dal produttore del prodotto causa dei rifiuti e che i distributori di tale prodotto possano contribuire alla copertura di tali costi”. Per una rassegna di giurisprudenza, pur non esaustiva, si vedano inter alia:Cons. Stato, Ad. Plen., 26 gennaio 2021, n. 3, in questa Rivista, n. 18 febbraio 2021, con nota di F. Vanetti; Cons. Stato, Sez. VII, 02 aprile 2024, n. 2997; TAR Venezia, Sez. IV, 31 Gennaio 2024, n. 184; Cons. Stato, Sez. IV, 20 novembre 2023, n. 9928.

[iv]             Sulla definizione degli obblighi gravanti sul curatore giudiziario, seppur non in materia di rifiuti, si veda TAR Lombardia (Brescia), Sez. I, 08 luglio 2021, n. 640.

[v]              Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2023, n. 2208 e TAR Marche (Ancona), Sez. I, 8 aprile 2023, n. 221.

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