La morte della stazionarietà

22 Set 2021 | climate change, articoli, editoriale

di Stefano Nespor

Molti anni fa in The Bridge Trilogy, tre romanzi a cavallo tra fantascienza e futurologia, William Gibson ha trattato lo sviluppo economico e sociale del futuro ambiente urbano nella società postindustriale. Allora il cambiamento climatico era solo apparso all’orizzonte, ma i romanzi coglievano aspetti che oggi, mentre l’emergenza climatica è sempre più pressante, appaiono come una premonizione. Appare soprattutto una premonizione l’affermazione dell’Autore secondo cui “Il futuro è già qui, solo non è uniformemente distribuito”.

Quest’estate, tra incendi incontrollabili, alluvioni devastanti e ghiacciai che si sciolgono sempre più rapidamente, abbiamo visto zone in cui il futuro si è già materializzato, mentre altre sono in attesa degli eventi.

Si sta così materializzando la constatazione formulata nel 2008 da un gruppo di scienziati, con riferimento alla gestione di sistemi idrici (P.C.D. Milly e altri, Stationarity Is Dead: Whither Water Management?, in Science n. 319, 2008, p. 573).

Osservavano allora Milly e gli altri coautori che la gestione dei sistemi idrici nel mondo sviluppato è avvenuta sul presupposto della stazionarietà. La stazionarietà è un concetto matematico-statistico in base al quale si può dire che un processo è qualificato stazionario allorché la media e la varianza dei suoi componenti sono costanti nel tempo. Questo significa che gli elementi che assumono rilievo possono variare a seconda delle circostanze e di molti altri fattori, ma l’entità e la frequenza delle variazioni restano costanti nel tempo. Applicato ai sistemi naturali significa che essi cambiano talvolta anche in modo imprevedibile, ma sempre nell’ambito di un guscio invariabile: è il presupposto su cui si basa la scienza e la pratica concernente molti di questi sistemi.

Ebbene, ormai, a seguito dell’imponenza del cambiamento climatico e dei mutamenti indotti dall’attività umana, Milly e gli altri concludono “la stazionarietà è morta e non può più essere utilizzata come un presupposto per la pianificazione e la gestione del rischio nei sistemi idrici”.

Questa osservazione ha avuto un enorme impatto nella cultura e nella letteratura scientifica e giuridica dell’ambiente (si veda The End of Stationarity. Searching for the New Normal in the Age of Carbon Shock, Chelsea Green Publishing 2016 e, più recentemente Clifton P. Bueno de Mesquita e altri, Taking climate change into account: Non-stationarity in climate drivers of ecological response, in Journal of Ecology, marzo 2021, Volume 109, p.1491 e Irina Umnova-Konyukhova, Constitutional futurology and constitutional futurism in the context of global changes, in Stato e diritto 2021 n.5 pag.83).

Le implicazioni sono evidenti soprattutto per le strategie di adattamento al cambiamento climatico: è errato elaborare strategie di adattamento per il futuro assumendo come riferimento l’assetto climatico attuale, contando che esso subisca solo variazioni e alterazioni e si mantenga intatta l’impalcatura di base. Altrettanto errato è costruire strategie di adattamento finalizzate alla protezione e alla conservazione delle risorse naturali e degli habitat oggi esistenti, quando il compito sarà invece quello di adeguare nuovi habitat alla nuova realtà che in modo turbolento si andrà assestando. In altri termini, l’esplosione dell’involucro delle variabilità che aveva sinora garantito la stazionarietà dei sistemi naturali renderà impossibile costruire una nuova stazionarietà fino al raggiungimento di un assestamento e di un nuovo involucro: dobbiamo attenderci un passaggio dalla natura quale oggi la conosciamo alla natura che troveremo dall’altra parte del cambiamento climatico.

Tutto ciò impone compiti giganteschi per gli scienziati che si occupano dell’ambiente, dei sistemi naturali, della flora e della fauna. Ma altrettanto enormi sono i compiti che attendono i giuristi, gli economisti e gli scienziati sociali. Essi debbono predisporre un insieme coerente e efficace di risposte ai cambiamenti imprevedibili e irreversibili che stanno lacerando l’involucro della stazionarietà, in modo da garantire sicurezza e eguaglianza: ha osservato un noto giurista dell’ambiente che sarà il più grande esercizio di futurismo legale mai in precedenza concepito (J.B. Ruhl, Climate Change Adaptation And The Structural Transformation Of Environmental Law in Environmental Law, 2010, Vol. 40, p. 343). I giuristi debbono cominciare a esaminare gli scenari dei futuri impatti del cambiamento climatico e domandarsi quali risposte darà il sistema legale ai problemi di adattamento: come dovrà modificarsi il diritto alla salute, il diritto di proprietà, il diritto contrattuale, il diritto delle assicurazioni, e poi i rapporti tra diritto pubblico e diritto privato e, ancor più, il diritto costituzionale sui temi dell’uguaglianza e della salute e come dovranno cambiare gli accordi internazionali che governano oggi le migrazioni.

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Editoriale – The future is already here

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