Una riforma costituzionale importante

26 Feb 2022 | articoli, editoriale

di Marilisa D’Amico

Approvata in seconda votazione con la maggioranza dei due terzi delle Camere, la riforma costituzionale che introduce importanti principi in materia ambientale, ma non solo, è legge lo è senza dover attendere una eventuale richiesta di referendum, come previsto a norma dell’art. 138 della Costituzione.

Un Parlamento che, su tanti altri temi importanti per la vita dei cittadini e delle cittadine, spesso decide di non decidere, in questo caso adotta quasi all’unanimità una riforma di rilievo che, a dispetto di chi, durante l’iter della riforma, la riteneva “inutile”, è invece cruciale e avrà effetti penetranti, del resto come qualsiasi modifica del testo della Costituzione, a maggior ragione se incidente sulla sua Prima Parte.

Il contenuto della riforma è di grande spessore innanzitutto perché non si limita a inserire il termine “ambiente” nel testo dell’art. 9 della Costituzione, codificando una giurisprudenza e una legislazione che da decenni ha interpretato in modo estensivo il termine “paesaggio”, ma poiché completa il processo di riforma inaugurato con la modifica del Titolo V della Costituzione, che ha introdotto all’art. 117, comma 2, lett. s) un riferimento espresso alla nozione di ambiente includendola nel novero delle materie di competenza esclusiva statale.

Apportando le modifiche descritte, i parlamentari hanno escluso prospettive di riforma minimali,  optando per una formulazione ampia della norma ed introducendo un terzo comma all’art. 9 Cost., che testualmente recita: «[la Repubblica] tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».

La riforma tocca, quindi, uno dei principi fondamentali della nostra Repubblica, definiti dalla Corte costituzionale “supremi”, il cui nucleo non può essere sottoposto a revisione costituzionale, se non nel senso di accrescerne il contenuto, come nel caso in esame (cfr. sent. n. 1146 del 1988).

Ciò che appare ancora più significativo è però che, con la nuova formulazione dell’art. 9 Cost., il legislatore costituzionale abbia scelto di abbandonare una concezione dell’ambiente ristretta e meramente “antropocentrica”, legata cioè in via esclusiva e limitata al diritto alla salute degli individui, beneficiari di una tutela giuridica, solo indirettamente garantita all’ambiente. L’ambiente rilevava, infatti, soltanto nella prospettiva del c.d. “diritto ad un ambiente salubre”, inscindibilmente legato al diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione.

La riforma sposa, invece, una concezione “ecocentrica”, dove l’ambiente viene riconosciuto come bene giuridico oggetto di autonoma tutela, facendo propria una concezione che la giurisprudenza, anche costituzionale, aveva già ampiamente valorizzato. Si pensi ai principi che la Corte costituzionale già affermava nel 1987, quando parlava di «una concezione unitaria del bene ambientale, comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali» (cfr. sent. n. 210 del 1987).

La formula testuale della norma è, come premesso, particolarmente ampia: si parla di «ambiente, biodiversità ed ecosistemi» e si introduce un riferimento all’«interesse delle future generazioni».

Perché, quindi, a mio avviso, la portata sarà di grande impatto? Proprio perché cambiare il testo della fonte costituzionale significa non solo che questi principi diventano vincolanti per i giudici, che già in parte li riconoscevano, ma soprattutto perché vincoleranno il legislatore, il Governo e la Pubblica Amministrazione. Il che significa che nelle decisioni “politiche”, oltre che “giudiziarie”, occorrerà adottare questa visione e bilanciare le scelte strategiche nell’«interesse anche delle future generazioni». Come questo interesse potrà e dovrà materializzarsi e trovare realizzazione concreta, e chi lo tutelerà, è una pagina che sarà scritta da ora; una pagina, a mio avviso, di grande interesse.

Completa questa visione stringente del bene ambientale, la riforma dell’art. 41 Cost., il quale tutela la libertà di iniziativa economica privata, aggiungendo fra i suoi limiti, al secondo comma, quella di non svolgersi in modo da recare danno anche all’“ambiente”, e al terzo comma, introducendo l’onere per il legislatore di indirizzare e coordinare l’attività economica pubblica e privata non solo a fini sociali, ma anche “ambientali”.

Quali sarebbero e saranno questi fini? Quelli appena introdotti dall’art. 9 Cost. e, cioè, «la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni».

La riforma costituzionale, infine, inserendo un esplicito riferimento all’ambiente in Costituzione, fa propri gli indirizzi provenienti dal panorama sovranazionale, accogliendo le sollecitazioni del diritto dell’Unione Europea, del Consiglio d’Europa e, in particolare, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), nonché delle Nazioni Unite e degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (i c.d. SDGs), che concepiscono l’ambiente quale obiettivo specifico e trasversale di molti Goals, declinando la sostenibilità nei suoi differenti profili.

Quali saranno allora le nuove sfide? Difficile dirlo.

Mi limito a segnalare in chiusura che a livello internazionale è sempre più evidente la stretta connessione fra tutela dell’ambiente e dei diritti umani. Una connessione che sta emergendo anche se si guarda al fenomeno migratorio. Pensiamo al caso Ioane Teitoia c. Nuova Zelanda (CCPR/C/127/D/2728/2016), dove il Comitato ONU dei Diritti Umani, con una decisione storica, ha riconosciuto che il rimpatrio forzato di un richiedente asilo a causa degli effetti causati dei cambiamenti climatici del proprio Paese di origine, avrebbe potuto violare il suo diritto “alla vita”, poiché messo in pericolo proprio dall’emergenza ambientale. Aprire al riconoscimento dei c.d. “rifugiati climatici” potrebbe essere solo una delle numerose conseguenze anche di una riforma costituzionale di questo tipo; una riforma che, certo, riporterà in auge vicende ancora dibattute dove il valore dell’ambiente come bene autonomo e l’interesse delle future generazioni non hanno sinora guidato le scelte dei decisori politici e nemmeno, spesso, le valutazioni dei giudici e delle Corti.

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