Manca poco. la fine può essere vicina

20 Mag 2021 | editoriale, articoli

di Stefano Nespor

Si sente spesso affermare che l’era dell’energia prodotta con combustibili fossili sta avviandosi al termine. Sono generalmente considerate affermazioni inattendibili di irriducibili ambientalisti.

Ma erano considerati sognatori al di fuori della realtà coloro che, negli anni Cinquanta, si opponevano all’uso dell’energia nucleare e contestavano stime che garantivano, in pochi decenni, elettricità a prezzi stracciati. Secondo Lewis Strauss, il presidente della statunitense Atomic Energy Commission, in un vicino futuro l’energia atomica avrebbe soddisfatto il bisogno di intere città, sostenuto una nuova agricoltura, permesso di eliminare la maggior parte delle malattie: “i nostri figli avranno energia così a buon prezzo che sarà troppo costoso misurarla”. Si avvia così in quegli anni quello che è rimasto famoso come il “great bandwagon market” (che possiamo tradurre come effetto carrozzone o effetto gregge): una affannata corsa da parte delle società produttrici di elettricità alla costruzione e all’acquisto di centrali nucleari. In poco meno di un ventennio ne furono ordinate nei soli Stati Uniti oltre 240, di costo e potenza crescente. Nel frattempo, nel 1957, era istituita in Europa la Comunità europea dell’energia atomica (nota come Euratom): si legge nel preambolo che “l’energia nucleare costituisce la risorsa essenziale che… permetterà il progresso delle opere di pace”.

Le promesse furono smentite dalla realtà.

Poi i costi crescenti, l’opposizione delle collettività interessate e, infine, l’esplosione della centrale di Cernobil seguito dal più recente disastro di Fukushima, unitamente ai problemi posti dallo smaltimento delle scorie e dalla sicurezza degli impianti hanno posto fine ai progetti nucleari. Nel 2002 Vaclav Smil, uno dei maggiori esperti mondiali di questioni energetiche, affermava che, nonostante i suoi vantaggi, “la produzione di elettricità per mezzo di centrali nucleari dovrebbe scomparire del tutto nella prima metà di questo secolo”.

Un recente rapporto indica che sembrano aver ragione anche coloro che prevedono un’analoga sorte per i combustibili fossili, semplicemente sfruttando l’energia solare e eolica.

Il dato non è nuovo: era noto da tempo che il potenziale energetico offerto da sole e venti è in grado di soddisfare ampiamente la domanda mondiale di energia.

Ma si sosteneva che molto tempo sarebbe stato necessario perché quel potenziale si traducesse in realtà.

Invece, il rapporto pubblicato da Carbon Tracker, un centro di studi britannico che da alcuni anni studia i problemi della transizione energetica, dimostra che con le conoscenze tecnologiche attualmente esistenti è possibile catturare entro la fine del decennio energia solare e di energia eolica pari a  6700 PWh, una quantità superiore di circa 100 volte all’attuale fabbisogno mondiale di energia. Il rapporto (dal suggestivo titolo di The Sky is the limit. è accessibile, previa registrazione, su https://carbontracker.org/reports/the-skys-the-limit-solar-wind/).

PWh indica il Petawatt per ora e misura una quantità di energia elettrica 1000 volte quella rappresentata dal Terawatt per ora (TWh), l’unità generalmente in uso nei modelli che compiono valutazioni della produzione di energia su scala mondiale. Il Twh è pari a 1012 watt per ora, il PWh è 1015 watts.

Il risultato indicato dal rapporto, inimmaginabile fino a pochi anni fa, è divenuto in breve tempo possibile sia per gli sviluppi delle tecnologie del settore, sia, e soprattutto, per il crollo dei costi necessari per realizzare gli impianti di energia rinnovabile. Ancora nel 2015 la maggior parte degli impianti solari o eolici riceveva sussidi dagli Stati. Ora, senza alcun sussidio, produce energia a costi di gran lunga inferiori a quelli, fortemente sussidiati, dei combustibili fossili.

Non bisogna infatti dimenticare che questi ultimi, e petrolio e gas in particolare, da un lato usufruiscono di enormi finanziamenti pubblici, dall’altro producono danni ambientali, dall’estrazione al consumo, che sono posti a carico delle collettività interessate: per i combustibili fossili non vale il principio chi inquina paga.

A fronte di ciò, oggi è già tecnicamente possibile produrre con impianti di energia rinnovabile circa la metà del totale di PWh disponibile sul pianeta, quindi circa 3800 PWh, una quantità ampiamente superiore a quella globalmente utilizzata (e con opportuni investimenti si può giungere al 90% del totale entro la fine di questo decennio). Infatti,  la domanda globale di elettricità nel 2019 è stata di 27 PWh, quella di elettricità del Giappone è stata di 1 PWh.

Non è un problema neppure (salvo per alcuni paesi) la mancanza di aree disponibili per l’installazione degli impianti necessari. Il rapporto pone in evidenza che per produrre l’intera quantità di energia offerta dal sole e dal vento, quindi 6700 PWh, sono necessari circa 450,000 km2: sembra molto, ma è lo 0.3% della superficie terrestre non coperta da acqua, pari a circa 149 milioni di km2. Ed è molto meno della superficie oggi destinata all’estrazione e alla produzione di combustibili fossili (negli Stati Uniti a questo scopo è occupato l’1,3% del territorio complessivo).

Neppure è un problema la diversa disponibilità di energia rinnovabile tra i vari paesi, certamente meno marcata di quella esistente attualmente con i combustibili fossili, tutti (salvo il carbone) concentrati in un piccolo gruppo di Stati.

Il rapporto distingue quattro gruppi di paesi.  In testa quelli con un potenziale di produzione di energia sovrabbondante, tra 100 e 1000 volte il loro fabbisogno (è il caso di molti paesi africani) e in coda i paesi dove la produzione di energia sarebbe comunque superiore all’attuale fabbisogno, ma hanno esigue porzioni di territorio utilizzabili. Tra questi ultimi stanno l’Italia e la Germania: ma questi paesi potrebbero comunque acquistare energia a costi ampiamente inferiori di quanto non costi oggi l’approvvigionamento di combustibili fossili.

Siamo quindi sulla soglia di una rivoluzione energetica che richiede pochi anni per essere realizzata e che porterebbe un inestimabile contributo al contenimento del cambiamento climatico e, in generale, all’ambiente. E la maggiore ricchezza energetica sarebbe concentrata nei paesi più poveri: il 39% del potenziale globale sarebbe infatti concentrato in Africa.

Naturalmente, il fatto che questa rivoluzione sia tecnicamente possibile e economicamente vantaggiosa per tutti, non significa che sia anche politicamente realizzabile nel breve periodo, tenuto conto della forte pressione dei produttori di combustibili fossili per il mantenimento dello status quo e del fatto che l’assetto geopolitico mondiale verrebbe stravolto.

Sono quindi le scelte politiche che saranno compiute in questi anni che determineranno il futuro del pianeta.

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Nespor – Manca poco

 

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