La (quasi) legge europea sul ripristino della natura e il senso dei numeri #2

04 Set 2023 | articoli, contributi

di Paola Brambilla

L’etnomatematica e le neuroscienze hanno rivelato che non tutte le popolazioni, e comunque non tutte le comunità intese in senso socioculturale, hanno la stessa cultura matematica e numerica: ad esempio gli studi antropologici ed etnografici hanno appurato che la popolazione amazzonica dei Munduruku ha coniato termini solo per definire i numeri da uno e cinque, mentre per i Pirahã, sempre in Amazzonia, dopo l’uno e il due, meri concetti privi di un termine vero e proprio, esiste solo la nozione di “molti” (Pica, Lemer, Izard, Dehaene, Exact and approximate arithmetic in an Amazonian indigene group, Science 306, 2004)

Gli studi sociologici e le ricerche comportamentali hanno però appurato che oltre a queste culture anumeriche tribali in cui il fenomeno si accompagna a un deficit lessicale, anche le nostre nazioni occidentali pseudoistruite conoscono altrettante nicchie di gravi gap matematici, questa volta di ordine conoscitivo, prima che terminologico: noto l’esempio dei consumatori che nel supermercato scelgono un prodotto in base alla cifra del prezzo, senza verificare la quantità del prodotto a cui lo stesso corrisponde, e dunque senza ricondurre il tutto a un’unità di misura che sola permette il raffronto, meno trattata l’incapacità di formarsi opinioni sulla base di numeri, dati e operazioni matematiche (Giardino, Matematica e cognizione, 2014). La similitudine è però solo apparente, perché le popolazioni amazzoniche studiate, nonostante l’aporia lessicale, si sono dimostrate in grado – al contrario dei nostri consumatori – di effettuare comparazioni tra diverse quantità, anche composte da più elementi, con un grado di accuratezza davvero rilevante: ciò perché i concetti matematici sono legati anche allo sviluppo cognitivo, innato e formato grazie all’interazione con l’ambiente, e non solo allo sviluppo lessicale; ciò che spiega come i bambini nei primi anni di vita, i pulcini ed altri animali sappiano contare. E’ evidente che però più aumenta la complessità del reale e la necessità di misurare anche la rappresentazione che ce ne viene fornita, più abbiamo necessità di una cultura numerica fondata anche sull’evoluzione lessicale e sulla capacità di gestire dati e numeri (Graziano, Il talento matematico. La genesi dei concetti matematici tra cultura e scienze cognitive, Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio 2012).

Contare, misurare, ha invero a che fare con il mondo esterno, in quanto è un’operazione che impegna la corteccia parietale in operazioni certamente correlate per lo più al numero, astratto, ma che riguarda altresì la percezione di cose concrete come la grandezza, la posizione o lo spazio, e anche il tempo, messe in relazione diversamente tra loro. Da qui l’importanza dei numeri, delle cifre, dei dati, quando in una dimensione più complessa del quotidiano delle tribù amazzoniche si deve rappresentare in un linguaggio chiaro lo stato dell’ambiente che ci circonda, il tasso di estinzione delle specie, oppure le parti per milioni di CO2 nell’atmosfera terrestre, per assumere decisioni vitali per le nostre civiltà occidentali e per l’intero pianeta: adottando strategie, elaborando convenzioni internazionali all’esito di strenui negoziati, dando vita a nuove normative e anche orientando le scelte della vita quotidiana, ad esempio quando si tratta di scegliere tra prodotti e servizi che si autoattribuiscono genericamente impatti ridotti sull’ecosistema senza rispettare le regole sulla verificabilità dei green claims (nell’attesa della direttiva sull’attestazione e sulla comunicazione delle asserzioni ambientali, la cui proposta è stata da poco pubblicata COM/2023/166/final).

E’ proprio sulla base dei dati e dei numeri resi noti dagli studi scientifici e dalle ultime misurazioni della biodiversità (WWF-Royal Zoological Society, Living Planet Report 2022; IUCN Red List 2022; IPBES, Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services 2019; EEA, The European Environment – state and outlook for 2020; Annuario dei dati ambientali Ispra 2022) che evidenziano un calo medio, tra il 1970 e il 2018, del 69 % delle popolazioni di vertebrati, e un forte degrado di habitat terrestri e marini,  che alla fine del 2022, all’esito della COP 15, gli stati contraenti della CBD hanno raggiunto l’Accordo Globale sulla biodiversità di Kunming-Montreal, che impegna gli Stati a proteggere entro il 2030 almeno il 30% di terre e oceani nel rispetto delle comunità locali, eliminando i sussidi negativi e mettendo a disposizione di questi obiettivi importanti risorse economiche: ciò nella convinzione che solo un quadro vincolante possa invertire i trend di compromissione della salute della natura e di perdita dei servizi ecosistemici (Lehmann, Inspiration from the Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework for SDG 15, Int Environ Agreements 23, 2023).

Alle stesse conclusioni è giunta l’Unione Europea (Casolari, Il contributo dell’Unione Europea alla tutela della biodiversità nell’interesse delle generazioni future: una visione d’insieme, L’interesse delle generazioni future nel diritto internazionale e dell’Unione europea, 2023), con la travagliata approvazione della proposta della legge sul ripristino della natura (COM(2022) 304 final). La proposta di regolamento, che tale è propriamente questo strumento, di portata generale e obbligatorio in tutti i suoi elementi, andrà avanti, un filo indebolita, ma comunque è riuscita a superare il fuoco di fila delle opposizioni ideologiche che hanno costruito vere e campagne di disinformazione mediatica, fondate sulla riconduzione della complessità del tema a una mera contrapposizione binaria tra sviluppo e protezione della natura e condite di minacce escatologiche  di default economico prive di ogni consistenza numerica e per nulla verificabili, ma che attecchiscono in una società incapace di contare e misurare in autonomia (Sloman, Fernbach. L’illusione della conoscenza: perché non pensiamo mai da soli, 2018).

Al contrario, il percorso che ha condotto all’approvazione della proposta è stato caratterizzato, come detto, da una solida base scientifica ed economica basata su accurate valutazioni di impatto normativo anche in termini di analisi costi-benefici (con un ritorno per ogni 8 euro investiti nel ripristino di 38 euro di benefici), pubbliche e persino condensate in appositi factsheets.

I considerando della direttiva in fieri ne danno ampio riscontro, evidenziando come il testo sia complementare alle normative ambientali già vigenti (direttive Uccelli, Habitat, Acqua, Strategia marina, specie invasive), compatibile e coerente con le altre politiche unionali (clima, energia, protezione civile, pesca, agricoltura), e come la natura vincolante delle previsioni introdotte sia l’unica soluzione per non fallire nell’obiettivo di mantenere vitali e resilienti nel lungo periodo gli ecosistemi e i servizi ecosistemici forniti alle comunità e allo sviluppo umano, a partire dall’impollinazione, sino al cibo, alla regolazione climatica, alla salute.

In pochi articoli la normativa declina obblighi sostanziali: la messa in atto di attività di restauro del 20% degli ecosistemi terrestri e marini entro il 2030 e il ripristino di tutti gli ecosistemi danneggiati entro il 2050, con target definiti, criteri di misurazione, e l’obbligo di mantenimento dei risultati (artt. 1-5); specifiche misure per impedire la riduzione del verde urbano e incrementarne quantità e qualità (art. 6), l’obbligo di rimuovere le barriere laterali od orizzontali inutili ed obsolete o in disuso (diverse da quelle necessarie per la produzione di energia idroelettrica) dei corsi d’acqua (art. 7), obblighi puntuali per risollevare lo stato degli impollinatori (art. 8) e obblighi procedurali, che puntualizzano target, metodi, rendicontazione, consistenza dei piani che gli Stati devono mettere in atto, e il monitoraggio per la verifica misurabile dei risultati. Spariti quelli più correlati all’agricoltura, sacrificati per l’approvazione del testo finale.

Ecco, quindi, che si torna, anche nella legislazione, alla centralità dei numeri, del calcolo, e della misura, per evitare proprio quanto, nel recente passato e anche oggi, ha ostacolato il raggiungimento degli obiettivi ambientali: stiamo parlando delle prassi che il considerando (66) della proposta di Direttiva mette a nudo e pone all’indice. Vi si legge che “dalla relazione della Commissione sullo stato della natura del 2020 è emerso che una parte sostanziale delle informazioni comunicate dagli Stati membri …in particolare sullo stato di conservazione e sulle tendenze degli habitat e delle specie che le direttive proteggono, proviene da indagini parziali o si basa unicamente sul parere di esperti. La relazione ha inoltre indicato che lo stato di diversi tipi di habitat e specie protetti a norma della direttiva 92/43/CEE è ancora sconosciuto.” Da qui la necessità di “colmare queste lacune di conoscenze e investire nel monitoraggio e nella sorveglianza al fine di fondare i piani nazionali su informazioni solide e scientificamente comprovate. Per aumentare la tempestività, l’efficacia e la coerenza di vari metodi di monitoraggio, il monitoraggio e la sorveglianza dovrebbero utilizzare al meglio i risultati dei progetti di ricerca e innovazione finanziati dall’Unione e le nuove tecnologie, come il monitoraggio in situ e il telerilevamento, utilizzando i dati e i servizi spaziali forniti nell’ambito del programma spaziale dell’Unione…”.

Per la stessa ragione i considerando successivi motivano la decisione di monitorare i progressi compiuti nell’attuazione dei piani nazionali di ripristino, le misure di ripristino messe in atto, le zone soggette a misure di ripristino e i dati sull’inventario delle barriere alla continuità fluviale attraverso un sistema che imponga agli Stati membri di istituire, tenere aggiornati e rendere accessibili i dati sui risultati del monitoraggio, con una comunicazione elettronica dei dati capace di ridurre i costi amministrativi e di sistema. Il tutto accompagnato da uno strumento di sostegno tecnico della Commissione su misura per consentire agli Stati l’elaborazione e l’attuazione delle riforme. Il sostegno tecnico è destinato, ad esempio, a rafforzare la capacità amministrativa, armonizzare i quadri legislativi – per evitare “l’errore legislativo come errore sul fatto scientifico” (così il titolo del saggio di Angelini, Editoriale Scientifica 2023) e condividere le migliori pratiche, allineando scienza e diritto (Palmer, Ruhl. Aligning restoration science and the law to sustain ecological infrastructure for the future, Frontiers in Ecology and the Environment 13, 2015). A sua volta, poi, la Commissione dovrà relazionare e rendere pubblici i progressi anche intermedi degli Stati.

SCARICA L’ARTICOLO IN PDF

restatoration law PB

Scritto da