La difficile individuazione del confine tra pianificazione urbanistica e tutela dell’ambiente: il caso dell’utilizzo dei fanghi vicino ai centri abitati

03 Feb 2024 | articoli, contributi

di Federico Vanetti e Lorenzo Ugolini

Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2023, n. 9044. Pres. Gerardo Mastrandrea, Est. Emanuela Loria, amministrazione comunale (Avv. Francesco Adavastro) contro omissis (Avv.ti Pietro Ferraris e Enzo Robaldo)

Attenendo la materia relativa alla utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura all’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione, i Comuni non sono titolari di potestà regolamentare in tale materia, essendo riservata agli stessi unicamente la potestà di sanzionare la violazione delle disposizioni regolamentari preventivamente stabilite dalla Regione.

La pronuncia in commento si rivela di particolare interesse in quanto si occupa dell’individuazione dei limiti che il potere di pianificazione urbanistica dei comuni può incontrare, in particolar modo nel momento in cui vengono in rilievo “interessi sensibili” di carattere ambientale, la cui tutela è affidata ad altre amministrazioni.

Nel caso di specie il Comune, nell’ambito del Piano di Governo del Territorio, aveva introdotto un esplicito divieto di utilizzazione agronomica in aree agricole dei fanghi da depurazione all’interno della fascia di rispetto di 500 metri dal perimetro del centro abitato, emettendo poi su tale base una specifica nota volta a sospendere sine die l’attività di spandimento nei terreni di disponibilità della società ricorrente in primo grado[i].

Con la decisione in commento, il Consiglio di Stato, confermando la pronuncia del TAR[ii], ha invero riconosciuto la illegittimità del PGT e della nota comunale, e ciò sulla base del fatto che i poteri pianificatori in capo ai Comuni trovano un limite laddove vengano in rilievo discipline correlate alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, c. 2, lett. s) della Costituzione.

Essendo, dunque, la regolamentazione dell’utilizzo dei fanghi riconducibile alla più ampia disciplina dei rifiuti (inquadrabile all’interno delle materie di legislazione esclusiva statale, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale[iii]) ed attribuendo la legge nazionale direttamente alle Regioni il compito di individuare “le distanze di rispetto per l’applicazione dei fanghi dai centri abitati”, il Consiglio di Stato conclude che i Comuni non sono titolari di alcuna potestà regolamentare in materia di spandimento dei fanghi biologici in agricoltura, fatti salvi i poteri sanzionatori[iv].

La pronuncia del Consiglio di Stato, dunque, si basa essenzialmente sul riparto delle attribuzioni contemplato a livello nazionale nella materia dei fanghi da depurazione.

In merito è bene evidenziare che i c.d. “fanghi da depurazione” rappresentano i residui risultanti dai processi di depurazione delle acque reflue e, pur essendo espressamente assoggettati dall’art. 127 del d.lgs.152/2006 alla disciplina dei rifiuti[v], è lo stesso legislatore che ne incentiva il recupero ed il riutilizzo in considerazione delle sostanze organiche e di minerali contenute nei fanghi stessi, utili in particolare nel settore agricolo.

Atteso tuttavia che detti fanghi, stante la loro origine, possono contenere sostanze tossiche e nocive (ivi inclusi metalli pesanti), il legislatore, per mezzo del d.lgs. 99/1992[vi], ha declinato specifiche condizioni ai fini del possibile riutilizzo per scopi agricoli a valle dell’operazione di recupero, tra cui l’assenza di superamenti di valori limite per metalli pesanti e l’idoneità degli stessi a produrre un effetto concimante, ammendante e correttivo del terreno.

La disciplina prevista dal d.lgs. 99/1992 non si è comunque limitata a declinare le condizioni necessarie per l’utilizzo dei fanghi a fini di tutela ambientale, ma ha altresì trattato il quadro dell’organizzazione amministrativa, attribuendo alle Regioni (per quanto qui rileva) la funzione di stabilire “le distanze di rispetto per l’applicazione dei fanghi dai centri abitati, dagli insediamenti sparsi, dalle strade[vii] con l’obiettivo di assicurare l’applicazione di una disciplina uniforme a livello regionale[viii]. Ed è proprio sulla base di tale assetto che deve essere letta la sentenza in commento.

Le conclusioni a cui è giunto il Consiglio di Stato si pongono peraltro in linea con la più recente giurisprudenza amministrativa, la quale è stata più volte chiamata a pronunciarsi su fattispecie del tutto equiparabili dove gli stessi Comuni avevano tentato a più riprese di occuparsi direttamente delle “fasce di rispetto” applicabili all’utilizzo dei fanghi nell’ambito della pianificazione urbanistica o per mezzo di specifici regolamenti[ix].

Il numero elevato di sentenze aventi il medesimo “oggetto” dimostra tuttavia come la suddivisione delle attribuzioni tra livello regionale e comunale in materia non sia stata sempre così pacifica. A conferma di ciò non sono mancate, in passato, pronunce di segno contrario volte invece a riconoscere agli strumenti urbanistici la possibilità di regolamentare i limiti distanziali applicabili all’attività di spandimento dei fanghi, e ciò in particolare in quelle Regioni la cui normativa urbanistica attribuisce ai Comuni il potere di dettare norme volte alla tutela del paesaggio e dell’ambiente[x].

La tematica si è posta soprattutto con riferimento a Regione Lombardia, dove l’art. 10 della l.r. 12/2005 attribuisce al Piano delle Regole il compito di dettare, da un lato, “la disciplina d’uso, di valorizzazione e di salvaguardia” delle aree destinate all’agricoltura e, dall’altro lato, “regole di salvaguardia e di valorizzazione” per le aree di valore paesaggistico-ambientale (in quest’ultimo caso comunque in attuazione dei criteri provinciali e regionali). Pertanto, poteva effettivamente sorgere l’interrogativo se le amministrazioni comunali fossero legittimate o meno a disciplinare tali profili.

A seguito della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 63 del 24 marzo 2016[xi] e dell’emanazione da parte di Regione Lombardia della disciplina attuativa del d.lgs. 99/1992 (in particolare D.G.R. 5269/2016[xii]), ad ogni modo il TAR milanese appare attualmente costante nel negare ai Comuni la possibilità di includere nella pianificazione urbanistica la disciplina relativa alle distanze applicate ai fanghi, come condiviso anche dal Consiglio di Stato nel caso di specie e da altre Corti regionali[xiii].

Fermo restando quanto sopra esposto, la decisione in commento, trattando di una tematica che si pone (quantomeno in apparenza) al confine tra disciplina urbanistica ed ambientale, si inserisce all’interno del più ampio dibattito relativo all’ampiezza del potere pianificatorio: dibattito, questo, che sta vivendo una rinnovata vitalità, sia in dottrina che (soprattutto) in giurisprudenza, a seguito della nota sentenza c.d. “Cortina d’Ampezzo” del maggio 2012[xiv].

In tale sede il Consiglio di Stato, seguendo l’interpretazione “benvenutiana” della materia del governo del territorio[xv], ha affermato che il potere di pianificazione comunale non deve ritenersi limitato “alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale” ed alle previsioni edificatorie, potendo invero lo stesso estendersi fino ad assumere una spiccata vocazione sociale volta a tenere in considerazione i “valori ambientali e paesaggistici”, le “esigenze di tutela della salute”, la “vita salubre degli abitanti” e le “esigenze economico- sociali della comunità radicata sul territorio”: cioè, in definitiva, valori ed interessi caratterizzanti il “modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi”.

Tuttavia, se – da un lato – la richiamata pronuncia ha avuto certamente il pregio di superare la antica concezione statica del concetto di governo del territorio, incentivando così i Comuni ad assumersi maggiori responsabilità anche in un’ottica di implementazione del principio di sussidiarietà, dall’altro lato ha posto gli operatori del diritto dinnanzi al difficile compito di identificare correttamente i limiti della pianificazione urbanistica stessa. Infatti, come rilevato da attenta dottrina[xvi], l’indirizzo sostanzialmente inaugurato con la sentenza n. 2710/2012 potrebbe indurre a considerare il potere pianificatorio alla stregua di “una potestà suscettibile, per autorappresentazione, di una espansione illimitata”: profilo, questo, a parere di chi scrive particolarmente “delicato” se si considera la rilevante discrezionalità riconosciuta in capo all’amministrazione comunale nell’esercizio dei poteri correlati alla pianificazione urbanistica, con le conseguenti note difficoltà a contestare le relative scelte in sede giurisdizionale[xvii].

All’interno di tale dibattito, la decisione del Consiglio di Stato n. 9044/2023 in commento risulta, a parere di chi scrive, comunque condivisibile.

Da un punto di vista formale, infatti, il quadro normativo “settoriale” appare piuttosto chiaro sia nel fare ricadere la disciplina dei fanghi di depurazione all’interno del più ampio quadro di tutela dell’ambiente (donde la competenza esclusiva statale)[xviii] sia nell’attribuire una chiara e diretta competenza alle regioni nell’individuare la relativa “fascia di rispetto”.

Inoltre, in un’ottica maggiormente sostanziale, parrebbe astrattamente mancare un chiaro collegamento funzionale della materia dei fanghi da depurazione con la trasformazione fisica del territorio, profilo da cui i Comuni non possono prescindere nell’elaborare la propria pianificazione urbanistica e che rappresenta il vero obiettivo della pianificazione medesima (d’altronde, a ben vedere, anche il caso “Cortina d’Ampezzo” ineriva la trasformazione del territorio, venendo in rilievo un “divieto generalizzato” di realizzare nuove edificazioni residenziali, quantomeno per i non residenti).

In merito, si potrebbe eventualmente porre l’interrogativo se la commercializzazione dei fanghi da depurazione possa qualificarsi come attività economica e se i Comuni, nell’ambito del loro potere pianificatorio, possano comunque fissare limiti a dette attività, in maniera non dissimile da quanto ammesso dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento agli insediamenti commerciali a valle della intervenuta liberalizzazione del settore commerciale[xix].

Tuttavia, ciò di cui si discute, nel caso di specie, è a quale distanza dagli insediamenti possano essere utilizzati i fanghi da depurazione in considerazione dei profili ambientali e sanitari interessati, venendo dunque in rilievo – quantomeno a parere di chi scrive – interessi principalmente correlati all’ambiente ed alla salute pubblica non strettamente attinenti alla trasformazione fisica del territorio. Pertanto, anche sotto questo aspetto, la giurisprudenza maggioritaria è certamente difendibile.

Ad ogni buon conto, mentre – anche alla luce della decisione in commento – i limiti posti alla potestà pianificatoria dei Comuni in relazione alla specifica disciplina dei fanghi trattati parrebbero ormai chiariti, sarebbe un errore affermare che, a livello generale, non emergeranno più discussioni in merito ai confini della pianificazione urbanistica.

Non mancano, infatti, pronunce recenti volte ad affrontare la tematica e, per quanto la problematica settoriale appaia risolta, la “saga” generale è lontana dal considerarsi conclusa.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

NOTE:

[i] A fini di completezza, si rileva che la società ricorrente in primo grado, e appellata dinnanzi al Consiglio di Stato, esercita attività di recupero dei rifiuti prodotti dalla depurazione delle acque reflue (fanghi di depurazione) che vengono da essa utilizzati come fertilizzanti in agricoltura (operazione di recupero R10, spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura).

[ii] TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 2 maggio 2019, n. 986.

[iii] Cfr. Corte cost. 24 luglio 2009, n. 249.

[iv] Cons.Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2023, n. 9044: “Pertanto, muovendo da tali presupposti normativi, si perviene, sotto un primo profilo, ad affermare che i Comuni non sono titolari di potestà regolamentare in materia di spandimento dei fanghi biologici in agricoltura restando riservata agli stessi solo la potestà di sanzionare la violazione delle disposizioni regolamentari preventivamente stabilite dalla Regione, ove queste si sostanzino in violazioni della normativa regolamentare in materia di igiene”.

[v]Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”. Sul punto, la giurisprudenza ha evidenziato che “la ratio legis dell’art.127 D.Lgs. n.152/2006 va individuata nell’esigenza di precisare come i citati fanghi, oltre che durante il normale decorso del trattamento, mantengano la qualifica di rifiuti persino a compimento dell’iter depurativo. In particolare, come chiarito dal precedente indicato “le parole “e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”, aggiunte dal decreto legislativo n. 4 del 2008, vanno lette nel senso che il legislatore non ha inteso restringere, attraverso il riferimento cronologico, l’applicabilità delle disposizioni sui rifiuti, confinandole esclusivamente alla fine del processo di trattamento e disinteressandosi di qualsiasi tutela ambientale nelle fasi precedenti, ma ha precisato che la disciplina sui rifiuti va applicata al trattamento considerato nel suo complesso e ciò anche in considerazione del fatto che il preliminare trattamento dei fanghi viene effettuato presso l’impianto ed è finalizzato a predisporre i fanghi medesimi per la destinazione finale (smaltimento o riutilizzo) in condizioni di sicurezza per l’ambiente mediante stabilizzazione, riduzione dei volumi ed altri processi, con la conseguenza che la disciplina sui rifiuti si applica anche in tutti i casi in cui il trattamento non venga effettuato o venga effettuato in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio (Sez. 3, n. 36096 del 22/09/2011, Lupi, Rv. 25126), e tanto per comprensibili ragioni di tutela ambientale e della salute umana che costituiscono la ratio essendi delle disposizioni in materia” (TAR Puglia, Bari, Sez. I., 29 ottobre 2021, n. 1580).

[vi] Decreto attuativo di una direttiva europea la cui applicazione è stata fatta salva dal citato art. 127 del TUA.

[vii] Art. 6, c. 1, 3) del d.lgs. 99/1992.

[viii] Ex multis, TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 15 gennaio 2024, n. 90: “l’attribuzione alle regioni, e non ai comuni, della competenza ad individuare i limiti distanziali applicabili all’attività di spandimento dei fanghi è dovuta al fatto che il legislatore statale vuole far sì che la materia trovi una disciplina uniforme, perlomeno, a livello regionale onde evitare che la suddetta attività (come detto da incoraggiare in quanto volta al recupero di un rifiuto) venga ingiustificatamente ostacolata per interessi particolaristici”. Si veda anche G. AMENDOLA, Fanghi di depurazione su terreni agricoli: il Comune vieta, il T.A.R. annulla, la stampa plaude. E i cittadini?, in Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, n. 2/2022.

[ix] Ex multis, TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 15 gennaio 2024, n. 88, 89, 90; 10 agosto 2023, n. 2033; 8 agosto 2022, n. 1893 (relativo alla Provincia di Pavia); Sez. III, 13 maggio 2021, n. 1179 e 24 aprile 2019, n. 925.

[x] cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2986.

[xi]ove è stato affermato che la legge regionale citata (i.e. la l.r. 12/2005), disciplinando la pianificazione urbanistica, attiene senz’altro alla materia “governo del territorio” (sentenza in commento).

[xii] Dove è stato previsto, inter alia, che l’utilizzo dei fanghi in agricoltura è vietato “in prossimità degli ambiti destinati alla residenza o prevalentemente residenziali, individuati all’interno del tessuto urbano consolidato come definito nel P.R.G./P.G.T. per una fascia di 100 m. Per le case sparse la distanza sopra indicata è ridotta a 20 m”.

[xiii] TAR Emilia-Romagna, Bologna, 28 febbraio 2022, n. 222.

[xiv] Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2012, n.2710.

[xv] Si veda, sul punto, P. URBANI, Conformazione dei suoli e finalità economico sociali, in Urbanistica e appalti, 1/2013.

[xvi] Come rilevato da B. GRAZIOSI, Il problema degli standard urbanistici “differenziati” e gli interventi di rigenerazione urbana nel territorio urbanizzato, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, fasc. 6/2018: “L’approdo giurisprudenziale è identificabile nelle sentenze della Corte Costituzionale n. 307/2003 e n. 128/2004, ma soprattutto nella giurisprudenza del Consiglio di Stato inaugurata con la nota sentenza “Cortina d’Ampezzo” della Sez. IV del Consiglio di Stato n. 2710 del 18.5.2012, presto divenuta orientamento generale, condiviso anche dai Tribunali Territoriali. Questo potere pianificatorio presenta quindi una grande indeterminatezza di contenuti conseguente all’assorbimento, vera e propria incorporazione, di oggetti di (possibile) tutela differenziata, cosicché può dirsi che si tratta di una potestà suscettibile, per autorappresentazione, di una espansione illimitata”.

[xvii] Cfr. recentemente Cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2023, n. 7881: “Secondo un orientamento consolidato di questa sezione, cui il Collegio non ritiene di doversi discostare, le determinazioni assunte in materia di pianificazione urbanistica del territorio comunale si connotano per l’ampia discrezionalità di cui godono gli enti (Regione; Comuni) che intervengono nel procedimento complesso finalizzato alla approvazione e ai successivi aggiornamenti degli atti di pianificazione urbanistica comunale, cui corrisponde un sindacato giurisdizionale di carattere estrinseco e limitato al riscontro di palesi elementi di illogicità e irrazionalità apprezzabili ictu oculi: a tale sindacato è, viceversa, estraneo l’apprezzamento della condivisibilità delle scelte, profilo appartenente alla sfera del merito”.

[xviii] Sul punto, è bene evidenziare che il d.lgs. 99/1992 è stato emanato in Attuazione della direttiva 86/278/CEE, la quale prende espressamente in considerazione “la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura”. In aggiunta, alla luce dell’art. 127 del TUA, è evidente il collegamento tra disciplina dei fanghi da depurazione e rifiuti, anch’essa peraltro riservata per buona parte alla regolamentazione regionale ai sensi dell’art. 196 del d.lgs.152/2006.

[xix] Cfr. ex multis, Cons.Stato, Sez. IV, 5 settembre 2022, n. 7695: “La progressiva liberalizzazione delle attività commerciali non si traduce nell’impossibilità di regolare tali attività ove incidenti su aspetti di carattere prettamente urbanistico.

Sebbene la disciplina nazionale e sovranazionale, relativa all’insediamento delle attività commerciali, esplichi un rilevante impatto anche sugli atti di programmazione territoriale, va, comunque, considerato che questi ultimi, adottati nell’esercizio del differente potere in materia di pianificazione urbanistica, sono da considerarsi legittimi ove perseguano, come nel caso di specie, finalità di tutela dell’ambiente urbano e siano riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio. Pertanto il Comune resta titolare di potestà pianificatoria e nell’esercizio di tale potestà esso può legittimamente fissare limiti insediativi di natura non economica alle attività commerciali e produttive, nel rispetto di tali vincoli, individuando aree del territorio inibite all’insediamento di impianti produttivi o esercizi commerciali. In questo senso sono significative le decisioni richiamate nella sentenza impugnata che ribadiscono principi da tempo affermati dalla giurisprudenza amministrativa cui se ne sono aggiunte altre dopo la pubblicazione della sentenza impugnata ( T.a.r. per la Lombardia n. 2139 del 2020, T.a.r. per la Sardegna n. 300 del 2020).. La scelta pianificatoria del Comune di Melendugno rientra nella finalità di tutela dell’ambiente urbano laddove individua una zona omogenea F10 dedicata ad attrezzature e servizi per il tempo libero e per lo sport cioè a realizzare finalità che sono estranee ad una destinazione d’uso commerciale anche se finalizzata a realizzare un negozio di vicinato”.

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