La denuncia di reati ambientali

01 Giu 2022 | articoli, contributi

di Mario Arienti

Indice sommario: I. Possibili funzioni della denuncia; II. La denuncia come dovere (solo?) civico; III. La denuncia come (possibile) obbligo giuridico e (sicuro) strumento difensivo; IV. La peculiare posizione del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio nel settore ambientale.

  1. Possibili funzioni della denuncia

Come è noto, la “denuncia” è lo strumento attraverso cui chiunque può rendere edotta l’Autorità Giudiziaria di un comportamento altrui ritenuto illecito, segnatamente un reato perseguibile d’ufficio, ai sensi dell’art. 333 c.p.p. Essa costituisce, pertanto, la genesi di una possibile notizia di reato e di un procedimento penale finalizzato all’accertamento di quanto indicato dall’esponente. In termini più lati, si può individuare nella medesima categoria anche quella serie di rappresentazioni “mediate” da altri Enti di natura pubblica: si pensi, ad esempio a “segnalazioni” o “reclami” indirizzati dal cittadino all’Amministrazione locale al fine di sollecitare gli interventi di più varia natura, ma che devono essere trasmessi alla Procura della Repubblica in caso si tratti di fatti penalmente rilevanti.

Per quanto concerne i temi ambientali, le figure di reato sono tutte perseguibili d’ufficio: di conseguenza, chiunque può procedere al deposito di una denuncia formale presso l’Autorità Giudiziaria ovvero – più agevolmente – indirizzarla all’ARPA, che effettuerà le prime immediate verifiche rispetto a quanto rappresentato.

Lo spettro di operatività della denuncia sembrerebbe quindi, a un’osservazione superficiale, limitato alle sole ipotesi in cui si voglia dare impulso ad un’indagine (anche di natura penale) relativamente ad un problema ambientale direttamente riscontrato, allo scopo di farne cessare le cause e, possibilmente, perseguire i responsabili, nonché stimolare la rimessa in pristino della matrice colpita.

In realtà, lo scenario è maggiormente articolato e complesso.

Il vero elemento caratterizzante, volendo provare ad individuare funzioni della denuncia diverse rispetto a quella immediatamente percepibile, è da ricercare nella qualifica giuridica del soggetto denunciante. Infatti, a seconda della tipologia di attribuzione normativa soggettiva, l’atto di presentare una denuncia in materia ambientale può assumere un significato del tutto diverso, oltre a determinare conseguenze pratiche del tutto differenti.

E’ possibile individuare (almeno) tre distinte funzioni sulla base dell’attuale assetto normativo, con un occhio di riguardo alle possibili (e prevedibili) evoluzioni, quanto meno sul piano interpretativo: (a) la denuncia come “dovere civico” del cittadino consapevole; (b) la denuncia come “obbligo giuridico” in capo al titolare di una posizione di garanzia; (c) la denuncia come strumento difensivo.

Altra particolare categoria – che infatti merita una trattazione a sé stante – è quella della denuncia presentata dal pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) dotato di poteri di verifica e intervento in materia ambientale, rispetto alla quale sussistono peculiari elementi di possibile tensione logica e operativa del sistema.

  1. La denuncia come dovere (solo?) civico

Come si è anticipato, la funzione più immediata della denuncia di reati ambientali è senza dubbio quella di “dovere civico” del cittadino, il quale, imbattendosi in una compromissione di qualsiasi genere, correttamente la segnala all’ente di riferimento: in particolare la destinataria naturale è l’ARPA locale, che interviene gratuitamente nei casi di controllo e vigilanza della salute e dell’ambiente, eseguiti a tutela del pubblico interesse.

Ciò che è più stimolante chiedersi, tuttavia, è se in capo ai comuni cittadini sussista o meno una generalizzata posizione di garanzia rispetto alla tutela dell’ambiente, vale a dire: denunciare un reato ambientale è un dovere solamente “civico” o può essere considerato un obbligo “giuridico”?

Il tema è solo apparentemente di facile soluzione, in quanto la domanda potrebbe essere sbrigativamente archiviata come una provocazione di sapore “orwelliano”: invece, alcuni elementi già oggi presenti nell’ordinamento costituiscono la base di una riflessione più ampia, per vero approfondita dalla dottrina in anni recenti[i].

Il riferimento è anzitutto all’art. 3-ter T.U. Ambientale, ove è previsto che “la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio ‘chi inquina paga’ che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”. La scelta lessicale nel testo normativo (“la tutela dell’ambiente … deve essere garantita … dalle persone fisiche”), con l’uso del termine “deve” rievocherebbe appunto la previsione di un “dovere” diffuso di “garantire” la “tutela dell’ambiente”.

Altro spunto di riflessione è dato dalla circostanza per cui, a fronte della necessità di tutelare un bene giuridico particolarmente importante come l’incolumità personale, il sistema penale attuale già include una norma che vincola e obbliga chiunque ad attivarsi dinnanzi ad una situazione di pericolo evidente: è la fattispecie di “omissione di soccorso” di cui all’art. 593 c.p., in cui il facere imposto al comune cittadino consta proprio nel “darne immediato avviso all’Autorità”. Evidenti le possibili analogie con un “obbligo di dare immediato avviso (ovvero denunciare)” relativamente a compromissioni ambientali in corso, di cui il cittadino dovesse venire a conoscenza.

Al momento la risposta alla domanda iniziale resta negativa rispetto alla sussistenza di una “posizione di garanzia” generalizzata, escludendo naturalmente che l’art. 3-bis T.U. Ambientale possa costituirne il valido presupposto legale ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p.[ii].

Anche con riguardo alla configurabilità di una “omissione propria”, sul modello dell’art. 593 c.p., ovviamente occorrerebbe una norma ad hoc al momento ancora inesistente, ma nel contesto attuale bisogna avere chiaro che si tratterebbe unicamente di una scelta del Legislatore, nient’affatto eccentrica. A ben vedere, infatti, anche il modello dell’“omissione di soccorso” pone un obbligo di segnalazione davvero gravoso in capo a chiunque, senza costruzione di una posizione di garanzia dettagliata, pur menzionando categorie di stampo medico-specialistico (come l’incapacità a provvedere a sé stessi per malattia del corpo o della mente, o ancora per l’età avanzata) ovvero a nozioni di fatto piuttosto generiche (“persona ferita o altrimenti in pericolo”)[iii]. Una altissima responsabilità viene dunque attribuita a chiunque, pure a chi non ha forse le competenze per riconoscere il presupposto dell’agire doveroso.

Anche in considerazione della recente introduzione della tutela ambientale all’interno della Costituzione all’art. 9, non sembra quindi così lontano il momento in cui si potrà concretizzare una norma, che individuerà quali destinatari la generalità dei consociati, finalizzata a punire l’inazione (rectius la mancata segnalazione all’Autorità), secondo il paradigma del reato omissivo proprio, di fronte a fenomeni o accadimenti nocivi per i beni giuridici indicati nella Carta: “l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.

III.      La denuncia come (possibile) obbligo giuridico e (sicuro) strumento difensivo

Superate le questioni più teoriche e prospettiche, è opportuno soffermarsi sulla funzione della denuncia di reati ambientali forse più concreta ed attuale, e cioè quella di possibile obbligo giuridico, connesso alla sussistenza di una posizione di garanzia in capo a soggetti (più o meno) qualificati, tra quelli annoverati nel compendio legislativo che interessa l’ambiente. Più precisamente, occorre chiedersi se la denuncia possa o meno costituire una declinazione dell’obbligo di intervento o impedimento oggetto di una posizione di garanzia. Parallelamente, sarà necessario comprendere la portata anche difensiva della denuncia, quale mezzo per mitigare le conseguenze dannose del reato ovvero per dissociarsi dal reato commesso da altri.

Esaminando il caso della normativa in tema di rifiuti, l’interprete può individuare agevolmente alcune categorie di soggetti che senza dubbio sono titolari di obblighi specifici: si tratta del produttore di rifiuti e del detentore di rifiuti, così come definiti dall’art. 183 T.U. Ambientale. Per siffatti operatori i temi di approfondimento risultano essere quelli tipici di ogni analisi inerente ad una posizione di garanzia, attinenti quindi alla verifica (quanto più rigorosa) sulla effettiva sussistenza di poteri di prevenzione, comando e inibizione relativamente all’attività che i soggetti indicati sono chiamati a “garantire”. Ciò è necessario al fine di ritenere sussistenti posizioni di garanzia “spuntate”, ossia idonee a generare una mera potestà di “sorveglianza” in capo all’agente, ma non veri ed effettivi poteri di intervento ed impedimento[iv].

E’ il caso, ad esempio, proprio del produttore o detentore rispetto all’intera filiera del rifiuto: in giurisprudenza si è affermato che “il produttore o detentore di rifiuti è gravato da una vera a propria posizione di garanzia in ordine al corretto andamento del ciclo degli stessi fino allo smaltimento, con onere a suo carico di verificare in modo rigoroso che il soggetto al quale i rifiuti vengono conferiti per le ulteriori fasi sia munito del necessario titolo autorizzativo, non potendo egli in alcun modo invocare la buona fede, ove non dimostri di aver fatto quanto era nelle sue possibilità per compiere quella verifica[v].

In questi casi, la denuncia potrebbe effettivamente avere un ruolo – quanto meno – quale “presa di distanza” dalla condotta posta in essere da terzi, seppure posta in essere nel perimetro di preventiva operatività della posizione di garanzia del denunciante, con valenza non certo esimente, essendo l’omissione ormai verificatasi, ma dai sicuri effetti positivi sul successivo accertamento giudiziario (oltre che, eventualmente, in termini di minimizzazione delle conseguenze dannose o pericolose dell’illecito).

La segnalazione all’Autorità diviene invece di cruciale importanza quando i contorni (ovvero la stessa sussistenza) della posizione di garanzia non sono così chiari e determinati: è il caso, quasi di scuola, del terzo proprietario o detentore del terreno o del sito ove altri commettono un reato ambientale (tipicamente: abbandono di rifiuti, discarica abusiva, scarichi di acque reflue, ecc.). In capo a tale soggetto non è sempre agevole individuare quei concreti poteri impeditivi che dovrebbero caratterizzare il presupposto della responsabilità omissiva impropria.

Ed infatti la giurisprudenza (di merito e di legittimità) sul tema risulta disomogenea, con affermazioni di principio di volta in volta a prima vista perentorie, ma in realtà strettamente connesse alle contingenze del caso specificamente trattato.

In buona sostanza è tuttavia possibile due distinti orientamenti, che pervengono a soluzioni del tutto opposte tra loro.

Le decisioni riconducibili al primo orientamento, tutte tendenti a riconoscere la responsabilità del terzo proprietario, sono per vero piuttosto eterogenee e si ancorano di volta in volta a dati fattuali emersi nella peculiare vicenda oggetto del giudizio. In alcune decisioni particolarmente rigorose si è sostenuto che la posizione di garanzia deriverebbe dalla concessione in uso mediante locazione (sebbene senza formalità) del terreno per lo svolgimento di un’attività soggetta ad autorizzazione, ritenendosi assoggettato il diritto di proprietà al limite della funzione sociale previsto dell’art. 42 comma 2 Cost.[vi]. In questo caso la “posizione di garanzia” del (mero) utilizzatore del fondo troverebbe il presupposto nel solo vincolo contrattuale (peraltro nemmeno opportunamente formalizzato), oltre che nel limite della funzione sociale posto dalla Costituzione nell’esercizio del diritto di proprietà privata.

In altra occasione è stato affermato che il proprietario di un fondo possa essere ritenuto “corresponsabile della realizzazione o gestione di discarica da altri effettuata se l’accumulo continuo e sistematico di rifiuti sul suo terreno gli può essere addebitato almeno a titolo di negligenza: ad es. se, pur consapevole dell’attività di discarica effettuata da altri, non si attivi con segnalazioni, denunce all’autorità, installazione di una recinzione[vii]. E’ rilevante osservare che ai fini della configurabilità del concorso omissivo vengano individuate (mancate) condotte successive al verificarsi dell’evento, tra cui spiccano proprio le “segnalazioni” o “denunce” all’Autorità pubblica, quasi come se l’estrinsecazione dei poteri connessi alla (pretesa) posizione di garanzie fosse necessariamente affidata a un intervento postumo, ossia in un momento in cui l’illecito – che si sarebbe antecedentemente (in ipotesi) dovuto prevedere – ha già definitivamente svolto i propri effetti.

La sentenza in questione richiama espressamente una disposizione di interesse ambientale contenuta nell’art. 9 comma 32 L. 549/1995, a mente della quale “l’utilizzatore a qualsiasi titolo o, in mancanza, il proprietario dei terreni sui quali insiste la discarica abusiva, è tenuto in solido agli oneri di bonifica, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie ai sensi della presente legge, ove non dimostri di aver presentato denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della regione, prima della costatazione delle violazioni di legge”. Siffatta norma non risulta formalmente abrogata dall’art. 264 T.U. Ambientale (che si occupa, come noto, di armonizzare mediante espresse abrogazioni lo stesso T.U. con il compendio legislativo ambientale precedentemente in vigore), ma si può affermare che – qualora sia da considerarsi abrogata – la sua “eredità spirituale” sia stata raccolta dall’art. 192 T.U. Ambientale ove prevede che “fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate. Evidente la continuità delle due disposizioni nel porre in capo al proprietario dell’area (o al titolare di diritti reali o personali su di essa) obbligazioni solidali con il contravventore relativamente alla rimozione, al recupero ed allo smaltimento dei rifiuti, oltre che al ripristino dello stato dei luoghi. La normativa del 1995 agganciava a tale affermazione di responsabilità (evidentemente di contenuto solo patrimoniale) la mancata presentazione di una denuncia della discarica abusiva rinvenuta sul terreno proprio o di cui si avesse comunque la disponibilità: proprio questo è l’argomento utilizzato nella decisione citata al fine di individuare una posizione di garanzia imperniata sulla necessità di procedere con la segnalazione all’Autorità giudiziaria.

Ebbene siffatte interpretazioni si prestano ad alcune critiche piuttosto incisive, già rilevate a più riprese da autorevole dottrina[viii].

Anzitutto, non convince la valorizzazione di obblighi giuridici extrapenali (ad es. l’appena citata responsabilità solidale nel ripristino dell’area) ovvero di precipitati dell’autonomia negoziale tra le parti (come l’utilizzo di un terreno in virtù di una concessione pure informale) quali elementi fondanti di una posizione di garanzia, da cui siano pienamente scaturibili le responsabilità penali ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p.

In secondo luogo, la doverosità della condotta di cui alla asserita posizione di garanzia è dedotta da situazioni di mera possibilità (ad es. condotte di terzi del tutto privi di legami con il titolare dei pretesi poteri di impedimento e controllo), eventuali e non tassativamente previste dalla legge, di modo che l’autore della condotta omissiva non sarebbe neppure posto nelle condizioni di conoscere previamente il comportamento doveroso che avrebbe dovuto tenere.

La funzione promozionale del diritto penale, inoltre, viene massimizzata all’estremo, imputando al proprietario l’intero disvalore del reato realizzato materialmente da altri: resta sfumato il confine tra il concorso nel reato e la condotta omissiva impropria, quasi si volesse andare a creare i presupposti per azionare la risposta penale verso un soggetto sempre facilmente individuabile (il proprietario del terreno) in tutti i casi in cui l’autore materiale del reato rimanga ignoto.

Suscita infine più di una perplessità l’applicazione diretta di principi costituzionali, segnatamente quelli enucleati agli artt. 41 (libertà di impresa) e 42 (libertà di proprietà privata) Cost., al fine di individuare non solo i limiti all’esercizio degli stessi diritti previsti dalla Costituzione, ma addirittura i presupposti di una responsabilità omissiva per posizione al fine di applicare una sanzione penale, quando le fonti di legge ordinaria non prevedono (invece) alcuna tassativa predisposizione di poteri di controllo, impedimento e sanzione: in sostanza, un uso diretto della Costituzione per configurare un responsabile “disarmato”.

Il secondo orientamento giurisprudenziale formatosi sul tema, maggiormente garantista, condivide molti dei punti rappresentati dalla critica al primo orientamento appare incline a valorizzare una rigorosa definizione di “posizione di garanzia”: il proprietario del terreno non è da ritenersi responsabile per l’omesso impedimento dei reati in materia di rifiuti (salva naturalmente la sussistenza di un eventuale concorso morale o materiale), ravvisandosi normativamente i poteri e doveri di controllo ed impedimento solo a in capo al produttore e detentore dei  rifiuti e non potendo, in ogni caso, tale obbligo rinvenirsi nell’inottemperanza all’ordinanza di rimozione,  provvedimento successivo all’abbandono[ix].

E’ interessante evidenziare che siffatto orientamento valorizza a contrario i medesimi principi costituzionali posti a fondamento delle decisioni aderenti alla prima, più rigorosa, interpretazione. Vale la pena riprendere un passaggio motivazionale particolarmente efficace, in quanto riepilogativo proprio delle confutazioni alle opposte argomentazioni: “deve mettersi in evidenza che la responsabilità omissiva sancita nell’art. 40 cpv. trova fondamento nel principio solidaristico che ispira la Costituzione repubblicana, e in particolare nell’art. 2 (che richiede a tutti i soggetti l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale), nell’art. 41, comma 2 (secondo il quale l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana) e nell’art. 42, comma 2 (laddove demanda alla legge il compito di stabilire limiti alla proprietà privata allo scopo di assicurarne la funzione sociale). Ma contemporaneamente essa trova un limite in altri principi costituzionali e segnatamente nel principio di legalità della pena consacrato nell’art. 25, comma 2, il quale si articola nella riserva di legge statale e nella tassatività e determinatezza delle fattispecie incriminatrici. È proprio in ragione di questo limite che la responsabilità omissiva non può fondarsi su un dovere indeterminato o generico, anche se di rango costituzionale come quelli solidaristici o sociali di cui alle norme citate; ma presuppone necessariamente l’esistenza di obblighi giuridici specifici, posti a tutela del bene penalmente protetto, della cui osservanza il destinatario possa essere ragionevolmente chiamato a rispondere. In particolare, la funzione sociale della proprietà di cui all’art. 42/2 Cost., può costituire il proprietario in una posizione di garanzia a tutela di beni socialmente rilevanti, e quindi può fondare una sua responsabilità omissiva per i fatti di reato lesivi di quei beni, solo se essa si articola in obblighi giuridici positivi e determinati, diretti a impedire l’evento costitutivo del reato medesimo[x].

Insomma, in ossequio all’art. 25 comma 2 Cost., non dovrebbe essere concesso quartiere a scorciatoie interpretative, estensive o analogiche, atte a “costruire” (magari ex post e legandole all’omissione di condotte divenute doverose solo successivamente al verificarsi dell’evento) posizioni di garanzia non previamente individuate dalla legge e dotate di tutti i requisiti tipici, necessari alla loro concreta messa in operatività da parte del proprietario o detentore dell’area.

In siffatto contesto, pertanto, risulta chiaro come la denuncia da parte del terzo proprietario assume una importanza fondamentale, in quanto ad avviso di certa giurisprudenza tale contegno giungerebbe addirittura ad integrare il comportamento doveroso previsto dalla posizione di garanzia: dunque una segnalazione all’Autorità finalizzata non tanto (o non solo) a sollecitare un approfondimento investigativo, ma soprattutto posta in essere in un’ottica strettamente difensiva.

  1. La peculiare posizione del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio nel settore ambientale

Da ultimo occorre soffermarsi sull’esame della posizione del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio) che si trovi ad operare nel settore ambientale.

La qualifica in argomento spinge subito l’interprete a chiedersi in quale modo il pubblico ufficiale, individuabile ad esempio nell’amministratore pubblico, nel sindaco ovvero nel funzionario ARPA, si debba inquadrare giuridicamente rispetto al fenomeno del reato ambientale.

Due le possibili soluzioni: da un lato, l’agente può essere inserito nel paradigma dell’omissione propria, vale a dire che il pubblico ufficiale sarebbe unicamente responsabile di omissione d’atti d’ufficio (ai sensi dell’art. 328 c.p.) per non aver adempiuto ai doveri di intervento che costituiscono prerogativa del ruolo; dall’altro lato, il funzionario può essere ritenuto titolare di una vera e propria posizione di garanzia rispetto alla tutela del “bene giuridico ambiente”, con eventuale configurabilità del concorso omissivo improprio nel reato commesso da altri soggetti[xi].

In merito al secondo orientamento è di particolare interesse una pronuncia, riguardante funzionari ARPA, relativa alla sussistenza di una responsabilità penale ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p. per omesso impedimento di reati ambientali (segnatamente, gestione abusiva di rifiuti e traffico organizzato di rifiuti)[xii].

La ricostruzione della posizione di garanzia segue passaggi normativi ben precisi: gli artt. 196-197 D.Lgs. 152/2006 sono le norme giuridiche che fondano l’obbligo di impedimento del reato ambientale altrui, attribuendo alle Province “il controllo periodico su tutte le attività di gestione … dei rifiuti, ivi compreso l’accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui alla parte quarta” T.U. Ambientale. Le Province, a loro volta, “possono avvalersi, mediante apposite convenzioni, di organismi pubblici, ivi incluse le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA)”. Le Agenzie pertanto “sottopongono ad adeguati controlli periodici gli stabilimenti e le imprese che smaltiscono o recuperano rifiuti, curando, in particolare, che vengano effettuati adeguati controlli periodici sulle attività sottoposte alle procedure semplificate … e che i controlli concernenti la raccolta ed il trasporto di rifiuti pericolosi riguardino, in primo luogo, l’origine e la destinazione dei rifiuti”.

Il personale ARPA, investito inoltre della qualifica di polizia giudiziaria rispetto ai reati ambientali, detiene i poteri e doveri previsti dall’art. 55 c.p., tra cui quello di impedire che i reati di cui sia venuti a conoscenza arrechino conseguenze ulteriori, quello di ricercare i relativi autori, nonché il compimento di tutti gli atti necessari per assicurare le fonti di prova. Pertanto può concludersi per l’astratta configurabilità di responsabilità penale omissiva impropria in capo al funzionario che, pur essendo a conoscenza dell’esistenza di indizi o segnalazioni di un reato ambientale commesso dai soggetti che avrebbe dovuto controllare, non si attivi utilizzando le proprie facoltà (e doveri) di vigilanza e accertamento al fine di impedirne il perfezionamento ovvero il protrarsi.

Tra i poteri di intervento sono annoverabili senza dubbio il sequestro delle aree o dei mezzi (in qualità di ufficiali di polizia giudiziaria) e la denuncia all’Autorità giudiziaria.

In linea generale, il pubblico ufficiale è inoltre gravato da obbligo di denuncia per reati di cui viene a conoscenza nell’esercizio della propria funzione, sanzionato sotto il profilo penale dall’art. 361 c.p. (art. 362 c.p. in caso di incaricato di pubblico servizio).

Allo stesso tempo, tuttavia, il funzionario ARPA è tenuto normativamente a svolgere controlli continui e sistematici rispetto alla tutela ambientale: ad esempio, quindi, dovrà monitorare siti e attività imprenditoriali potenzialmente pericolosi ovvero zone del territorio particolarmente sensibili (come aree protette, parchi naturali, ecc.). Proprio su tali poteri ispettivi e di verifica preventiva viene fondata la posizione di garanzia secondo un certo orientamento giurisprudenziale[xiii].

Dato il caso di un incaricato ARPA che abbia omesso di condurre regolari accertamenti su una realtà imprenditoriale locale attiva (ad esempio) nel settore dei rifiuti, e che in siffatto contesto maturi un reato ambientale – magari segnalato alla stessa ARPA da un comune cittadino in termini di mero sollecito alla verifica ispettiva – si potrebbe configurare un vero e proprio “corto circuito” tra l’obbligo di denuncia all’Autorità giudiziaria e la possibile sussistenza di un concorso omissivo per non aver eseguito i controlli in precedenza.

Il dovere di procedere alla denuncia sarebbe, in un caso simile, probabilmente contrario al principio nemo tenetur se detegere, in quanto la notizia di reato proveniente dal funzionario ARPA potrebbe condurre ad accertamenti sulla condotta (potenzialmente omissiva e penalmente rilevante) tenuta da lui stesso in precedenza.

In una tale fattispecie – a ben vedere non così inverosimile – la denuncia di reati ambientali si pone come una lama a doppio taglio per il pubblico ufficiale: da una parte obbligo di legge, dall’altra possibile spunto di approfondimento sulla propria eventuale responsabilità omissiva.

Sulla base delle criticità evidenziate, si ritiene ancora più importante “maneggiare con cura” l’attribuzione di posizioni di garanzia in un’ottica di prevenzione, posta sempre più a monte rispetto al tempo ed al luogo in cui si verifica effettivamente il fatto che si vorrebbe prevenire, in quanto il pubblico ufficiale potrebbe facilmente ritrovarsi in una scomoda posizione di stallo operativo in ragione di interpretazioni eccessivamente estensive del suo ruolo e delle sue attribuzioni concrete.

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La denuncia di reati ambientali

NOTE

[i] Cfr. C. RUGA RIVA, Ambiente in genere. Obbligo di impedire il reato ambientale altrui, in Lexambiente, 17 marzo 2011, p. 5.

[ii] v. C. RUGA RIVA, Ambiente in genere. Obbligo di impedire il reato ambientale altrui, in Lexambiente, 17 marzo 2011, p. 5, ove si afferma che “evidentemente non ci si trova di fronte a regole operative capaci di selezionare specifici obblighi di condotta in capo a determinati soggetti, ma a genericissimi principi che si vorrebbe guidassero i comportamenti di ciascuno rispetto alla tutela dall’ambiente nel suo complesso, in ogni suo aspetto, senza alcuna distinzione o specificazione. La disposizione, pur priva a nostra valore di valore giuridico rispetto alla individuazione di posizioni di garanzia in capo ai privati cittadini, è tuttavia sintomatica dello spirito dei tempi, volto alla progressiva responsabilizzazione di tutti verso tutto l’ambiente”.

[iii] In tali termini cfr. R. GERMANO, La responsabilità per omesso impedimento di reati in materia edilizia e ambientale: un contributo allo studio delle posizioni di garanzia nella giurisprudenza, in Lexambiente, Fasc. 2/2020, pp. 25 ss., ove si afferma che “il confine è mobile”.

[iv] Per un approfondimento, v. M. RAIMONDO, La responsabilità penale del produttore di rifiuti per l’illecito smaltimento tra obblighi di garanzia e obblighi di sorveglianza, in Arch. Pen., 2013, n. 1.

[v] Corte App. Perugia, 7 agosto 2012, n. 974, v. altresì recentemente Corte Cass. pen., Sez. III, 20 gennaio 2022, n. 2234 in ordine all’abbandono di rifiuti posto in essere da soggetti legati da rapporti di lavoro dipendente con il produttore.

[vi] Cfr. Corte Cass. pen., Sez. III, 4 aprile 2019, n. 27911; Corte Cass. pen., Sez. III, 18 ottobre 2018, n. 12248; Corte Cass. pen., Sez. III, 9 luglio 2009, n. 36836.

[vii] Corte Cass. pen., Sez. III, 26 gennaio 2007, n. 10484.

[viii] G. D’ORIA, Discarica abusiva e omesso impedimento del reato altrui, in Riv. Tri. Dir. Pen. Econ., 2007, p. 111 ss.; R. GERMANO, La responsabilità per omesso impedimento di reati in materia edilizia e ambientale: un contributo allo studio delle posizioni di garanzia nella giurisprudenza, in Lexambiente, Fasc.2/2020, pp. 16 ss.; C. RUGA RIVA, L’obbligo di impedire il reato ambientale altrui. Osservazioni sulla asserita posizione di garanzia del proprietario, in AA. VV., Scritti in memoria di Giuliano Marini, Napoli, 2010, pp. 863 ss.

[ix] Cfr. Corte Cass. pen., Sez. III, 8 febbraio 2019, n. 13606; Corte Cass. pen., Sez. III, 19 novembre 2019, n. 847; Corte Cass. pen., Sez. III, 12 novembre 2013, n. 49327.

[x] Corte Cass. pen., Sez. III, 12 ottobre 2005, n. 2206, richiamata in Corte Cass. pen., Sez. III, 19 novembre 2019, n. 847.

[xi] Per un approfondimento sui due orientamenti giurisprudenziali richiamati v. R. GERMANO, La responsabilità per omesso impedimento di reati in materia edilizia e ambientale: un contributo allo studio delle posizioni di garanzia nella giurisprudenza, in Lexambiente, Fasc. 2/2020, pp. 22 ss.

[xii] Corte Cass. pen., Sez. III, 15 dicembre 2010, n. 1882, commentata da C. RUGA RIVA, Ambiente in genere. Obbligo di impedire il reato ambientale altrui, in Lexambiente, 17 marzo 2011, p. 6.

[xiii] V. per tutte Corte Cass. pen., Sez. III, 1° febbraio 2011, n. 3634, relativa alla contestazione a funzionari ARPA dell’omesso impedimento di reati – materialmente realizzati da altri – di gestione non autorizzata e di traffico illecito di rifiuti, sulla base di una posizione di garanzia individuata ai sensi degli artt. 196-197 T.U. Ambientale.

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