La Corte Costituzionale sul taglio nei boschi protetti #2

02 Giu 2023 | articoli, contributi

di Alberto Abrami

Non può dirsi che abbia fatto un particolare sforzo di fantasia la Corte Costituzionale nel risolvere, a favore dello Stato, con la sentenza n.239 del 2022, il conflitto di attribuzione sorto con la Regione Toscana in seguito all’emanazione della legge regionale n.52 del 2021, con la quale si esentava dall’autorizzazione paesaggistica, di competenza dello Stato, il taglio nei boschi situati in aree vincolate ai sensi della legge 1497 del 1939, in quanto questo taglio doveva considerarsi un “taglio colturale”, ovvero connaturale alla natura forestale e, quindi, non necessitava dell’autorizzazione come disposto dalla legge n.431 del 1985 ed ora riprodotta nel Codice del Paesaggio n.42 del 2004.

La sentenza si è limitata ad osservare che in tema di paesaggio-ambiente, lo Stato esercita una competenza esclusiva che non può essere elusa da parte della Regione Toscana sostituendosi alla competenza statale nel decidere sull’esercizio del potere autorizzatorio. In tal modo la Corte ha preferito evitare ogni altra considerazione sulla portata della legge Toscana e la sua incidenza in tema di protezione dell’ambiente.

Secondo la Regione Toscana l’interesse paesaggistico, per quanto concerne i boschi, viene dunque garantito dalla legge n.52 del 2021, non solo in relazione alla protezione di genere, come previsto dalla legge n.431 del 1985 che non richiede l’autorizzazione per il “taglio colturale”, ma anche quando la protezione è conseguente ad un intervento circoscritto della Pubblica Amministrazione ai sensi della legge n.1497 del 1939.

Dobbiamo riconoscere che quanto disposto dalla Regione Toscana è del tutto comprensibile se ci si muove in un’ottica produttivistica, nel senso, cioè, di considerare il bosco nell’unica funzione di produzione del bene legno, senza altra considerazione circa gli altri servizi di interesse generale, compresa la protezione paesaggistica, che vengono offerti dal bosco.

A questo punto va fatta, però, una precisazione, ed essa concerne proprio la dizione “taglio colturale”- usata nella legge n.431 del 1985, oggi Codice del Paesaggio – per  cui la  tutela del paesaggio- ambiente disposta da tale normativa non richiede una particolare autorizzazione, ovvero non ne richiede una ulteriore rispetto a quella – eventuale – dell’Autorità forestale, trattandosi dell’ ordinaria recisione del bosco al fine di trarre il suo frutto naturale, ossia il legname.

Il legislatore non si riferisce, in realtà, con la dizione taglio colturale, a un particolare tipo di taglio riconosciuto dalla tecnica forestale escludendone altri, perché gli interessa solo che si tratti di un taglio pertinente all’utilizzazione selvicolturale del bosco, per modo che esso ne consenta la riproduzione negli anni avvenire. Ciò che preme al legislatore è la conservazione di un sistema ecologico, quello rappresentato dai territori boscati, non un interesse di natura estetica, come si verifica con la legge n.1497 del 1939, altrimenti dovremmo ritenere che i nostri boschi nella loro totalità sono caratterizzati da una peculiare bellezza.

“Taglio colturale”, quindi, non è un termine avente un particolare significato tecnico, poiché non appartiene alla terminologia forestale, la quale conosce vari tipi di taglio di un bosco, come quello a raso, saltuario o a scelta, a buche, a strisce ecc.; a meno che non ci si riferisca a un caso del tutto particolare, quello cioè, che troviamo nel regolamento 7 aprile 1904 n.286 relativo alle foreste demaniali destinate a Stazioni climatiche, dove, per “taglio colturale”, si intende un tipo di taglio selettivo perché in antitesi al taglio di raccolta, effettuato in relazione alle “ piante secche, deperite o schiantate”, o” invase da insetti, da crittogame o percorse da fuoco”, oppure si tratta di procedere “agli sfolli e ai diradamenti del bosco”

E’, peraltro, vero che il decreto 18 maggio 2001 n.227 – emanato alla vigilia della vigente riforma – nell’individuare i principi fondamentali della materia foreste non considera “taglio colturale” il taglio a raso dei boschi i quali non si rinnovano naturalmente, sicché esso non comprende, diversamente dal bosco ceduo, i boschi d’alto fusto, per i quali occorre, per lo più, provvedere con il reimpianto artificiale.

Il decreto n.227 del 2001 che mirava ad orientare nel senso dello sviluppo sostenibile l’esercizio della selvicoltura, è stato però abrogato in seguito all’entrata in vigore dell’attuale testo unico forestale 3 aprile 2018 n.34 e la nuova normazione nazionale comprende nel taglio colturale i tagli selvicolturali di utilizzazione. Ma, va anche detto che la stessa normativa fissa il principio, seppur con varie eccezioni, del divieto del taglio a raso dei boschi (art.7 comma 5 lett.a).

Chiarito sopra che l’espressione “taglio colturale” sta solo a significare la recisione per trarne il legname, si tratta ora di capire se le disposizioni relative al taglio del bosco considerato colturale dalla legge della Regione Toscana n.52 del 2021 siano compatibili con la protezione disposta dalla Pubblica Amministrazione su un circoscritto territorio di particolare interesse paesaggistico per effetto della previsione della legge n.1497 del 1939, così da rendere superflua l’autorizzazione paesaggistica di competenza statale come si verifica nella protezione di genere di cui alla legge n.431 del 1985.

Se, dunque, si esamina la legislazione forestale toscana, il regolamento n.48 del 2003 consente il taglio a raso del bosco ceduo fino a 20 ettari e fino a 3 ettari quando si tratta del bosco d’alto fusto. Sono criteri che si adattano ad una selvicoltura produttivistica fortemente intensiva e che non si addicono affatto a un’area della quale si intendono conservare le caratteristiche. In questo caso l’intervento ai fini della produzione legnosa dovrà essere espresso da una selvicoltura di stampo naturalistico alla quale si confà un taglio che consenta la conservazione della copertura forestale nella sua interezza, come si verifica con il taglio saltuario.

Un taglio a raso riferito, tanto ai boschi cedui come ai boschi d’alto fusto, secondo la previsione della legislazione toscana, non è idoneo a garantire l’interesse paesaggistico in mancanza dell’apposita autorizzazione quando, appunto, ci si riferisce a un’area avente per fine la salvaguardia di peculiari caratteristiche estetico-ambientali. Queste sarebbero, infatti, travolte da una selvicoltura massiva e incontrollata esercitata sul territorio boscato elemento costitutivo dell’area oggetto della protezione ai sensi della legge n1497 del 1939.

Per la nostra economia ha certamente importanza la produzione legnosa, ma la geografia forestale del nostro Paese presenta aree boschive eterogenee per cui l’interesse produttivistico non può essere considerato ovunque allo stesso modo. Ci sono aree ove l’interesse ambientale si presenta prevalente, talché occorre una selvicoltura adatta a questa condizione. Ciò che l’istituto della autorizzazione potrà rilevare.

Di qui la necessità di una selvicoltura differenziata – come suggerisce la recente legislazione di protezione dei boschi vetusti, oltreché la rilevanza costituzionale attribuita alla protezione della biodiversità.

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Abrami taglio boschivo e Corte Cost

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