Ilva: AIA e Poteri di Ordinanza Sindacale si misurano con il Principio di legalità e di Precauzione

27 Lug 2021 | articoli, contributi, in evidenza 4

di Eva Maschietto

Cons. St., Sez. IV, 23 giugno 2021 n. 4802 (Pres. Greco Est. Conforti)

Arcelor Mittal Italia S.p.a. (Avv.ti F. Gianni, S. Grassi, A. Lirosi, E. Gardini e L. Torchia), Ilva S.p.a. (Avv.ti M. Annoni, A.R. Cassano e M. Clarich), Ministero della transizione ecologica, (Avvocatura generale dello Stato), contro Comune di Taranto (Avv. F.S. Marini) e nei confronti di ARPA Puglia (L. Marasco), Ministero della transizione ecologica, Ministero dell’Interno, Ufficio territoriale del Governo di Taranto, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Codacons (Avv.ti G. Giuliano e C. Rienzi), con intervento ad adiuvandum di Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.a. – Invitalia, (Avv.ti G. Lo Pinto, F. Cintioli e V. Pescatore), e ad opponendum Regione Puglia (Avv.ti R. Lanza e A. Bucci)

[Riforma TAR Puglia- Lecce 13 febbraio 2021 n. 249]

Il Sindaco dispone del potere di ordinanza contingibile e urgente per motivi sanitari anche in situazioni nelle quali si debba intervenire su impianti sottoposti ad AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale); ma – a fronte dell’individuazione di poteri tipici e nominati, e della fissazione, in via legislativa, del riparto delle competenze sui casi e sulle modalità del possibile intervento – tale potere si riduce necessariamente e il suo ambito di operatività è escluso, in quelle situazioni che sono già state disciplinate dal legislatore.

Il potere di ordinanza contingibile e urgente ha carattere di residualità e non è legittimamente esercitato ove sussistano altri rimedi predisposti dall’ordinamento, ovvero ove non sia comprovata l’inidoneità o l’inefficacia degli altri rimedi ovvero, ancora, l’impossibilità di ricorrervi.

E’ illegittima l’ordinanza sindacale che intenda anticipare misure programmate in assenza di una violazione delle prescrizioni dell’AIA e in carenza dei presupposti di fatto o, comunque, in difetto di una sufficiente motivazione che, in questi casi, deve essere supportata da adeguata istruttoria.  L’applicazione del principio di precauzione non puo’ colmare le carenza di un’istruttoria inadeguata.

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Il Consiglio di Stato si misura ancora una volta con le vicende dello stabilimento Ilva di Taranto e, ribaltando la decisione di primo grado del TAR di Lecce[i], pronuncia una sentenza estremamente interessante, che affronta i limiti dei poteri extra ordinem del sindaco in materia sanitaria, di fronte all’Autorizzazione Integrata Ambientale, quando i termini e le prescrizioni contenute in quest’ultima non siano stati violati. L’effetto pratico è che la zona “a caldo” dello stabilimento Ilva di Taranto può continuare a funzionare, Arcelor Mittal può proseguire la propria attività siderurgica e il provvedimento di sospensione dell’attività emesso dal Comune è dichiarato illegittimo e annullato, (confermando, così, la pronuncia cautelare del febbraio 2021).

L’effetto più interessante per i giuristi è che il Supremo Collegio ci presenta una lezione di chiarezza interpretativa sulla tormentata questione dei poteri di ordinanza contingibile e urgente, fornendo una soluzione convincente anche in relazione ai rapporti tra questi poteri e la disciplina dell’AIA, coerentemente ricostruita.

Nella sostanza il collegio accerta come l’iniziativa del Comune di aggiungere prescrizioni urgenti a quanto imposto dal Ministero esorbiti dalle prerogative concesse dalla normativa che, quando esiste un provvedimento tipico scaturito da una complessa analisi tecnica, qual è quello che caratterizza un’AIA statale, e non vi siano in concreto violazioni o superamenti delle condizioni o prescrizioni di tale provvedimento, non lascia spazio per l’emissione di un’ordinanza come quella impugnata.

I fatti che hanno dato origine al ricorso sono molto specifici, e sono riassunti all’inizio della decisione mediante la ricostruzione dell’antefatto risalente a inizio del 2019: la trasmissione – da parte di ARPA Puglia alle autorità territoriali competenti, tra cui il Comune di Taranto – della VDS (valutazione di danno sanitario) redatta sulla base dei dati 2018 proprio sullo stabilimento in questione.  Da lì, si sviluppa quello che appare retrospettivamente un crescendo di preoccupazione, che spinge il Sindaco di Taranto a sollecitare il Ministero a più riprese, sino a volersi sostituire a quest’ultimo: illegittimamente, come accerterà il collegio.

A fronte dei dati della VDS, il Sindaco del Comune di Taranto richiede al Ministero (specificamente alla Direzione Generale dell’allora denominato Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare) il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) dello stabilimento siderurgico Ilva, emessa dallo stesso Ministro con d.P.C.M. 29 settembre 2017, sollecitando l’introduzione di ulteriori condizioni e prescrizioni, sulla base di ragioni sanitarie. Il Ministero nel maggio del 2019 inizia il procedimento di riesame (ex art. 29-quater, comma 7, Testo Unico Ambientale) e nel mese di agosto, nelle more del procedimento, all’Ilva si verificano alcuni episodi di fuoriuscita di emissioni di fumi in atmosfera che, secondo alcune rappresentanze sindacali, sarebbero ascrivibili a criticità di funzionamento di uno dei camini. Il Comune prende l’iniziativa: si rivolge, prima, alle autorità locali – ambientale (ARPA) e sanitaria (ASL) – per chiedere conto degli accadimenti e, poi, direttamente al Ministero che, a sua volta, coinvolge ISPRA (Istituto superiore per la ricerca ambientale) al fine di ottenere spiegazioni “nel merito tecnico” e di proporre “possibili azioni da intraprendere”. Nell’arco dei mesi di settembre e ottobre 2019, il Comune incalza il Ministero richiedendo se vi siano le condizioni per proceder ai sensi dell’art. 29-decies, comma 10 del Testo Unico, e cioè se si fosse concretizzata una violazione dell’AIA al fine di poter assumere le misure ai sensi dell’art. 217 del TULS (testo unico leggi sanitarie: i.e. r.d. 27 luglio 1934 n. 1265).  Il Ministero riscontra a fine ottobre 2019 le richieste del Comune, comunicando che i valori riscontrati delle emissioni sono risultati inferiori a quelli autorizzati con l’AIA, rilevando un errore del dipartimento ARPA Puglia di Taranto[ii], precisando che comunque ISPRA avrebbe dovuto fornire una relazione sul merito tecnico degli avvenimenti.

Nel mese di febbraio 2020 si verificano ulteriori fenomeni emissivi, definiti “odorigeni”, e il Comune, dopo averne dato comunicazione, si spinge il 27 febbraio 2020 a emettere l’ordinanza n. 15), con cui sospende l’attività dello stabilimento sulla base degli episodi che, a suo giudizio, “non hanno trovato adeguato riscontro e soluzione” e in considerazione di quella che crede essere una situazione di incertezza sugli aspetti tecnici e soprattutto sanitari, lamentando una “poca chiarezza delle informazioni”. Ordina quindi a Arcelor Mittal (gestore dello stabilimento) e Ilva (proprietaria) di individuare entro sessanta giorni gli impianti interessati dai fenomeni emissivi e di eliminare “gli eventuali elementi di criticità e le relative anomalie”, ordinando la fermata degli impianti interessati e di quelli funzionalmente connessi, nel caso in cui sia individuata la sezione di impianto oggetto di anomalia, oppure – nell’ipotesi in cui l’anomalia non sia rilevata, avviare, entro un termine, la fermata degli impianti: Altiforni, Cokerie, Agglomerazione, Acciaierie, oltre agli impianti funzionalmente collegati, in sostanza gli impianti “a caldo”, il cuore di Ilva.

Tanto Arcelor Mittal quanto Ilva impugnano immediatamente sia l’ordinanza sia, con motivi aggiunti, la successiva nota con cui il Comune constata la mancata individuazione della sezione di impianto “colpevole” dell’anomalia, di fatto quindi disponendo la fermata di tutti gli impianti “a caldo” entro un termine di 60 giorni da quel momento, sulla base di diversi motivi che il TAR Lecce, in primo grado, dopo aver comunque concesso misure cautelari ed esperito anche un’attività istruttoria con incombenti a carico del Ministero e di ISPRA, non ritiene meritevoli di accoglimento. In particolare, il TAR respinge il motivo secondo cui – accertato, sulla base dell’istruttoria, il rispetto delle prescrizioni e dei limiti imposti dall’AIA – non vi sarebbe alcun rischio o danno sanitario, sulla base di una lista di considerazioni basate sull’istruttoria tecnica, condividendo le preoccupazioni e le prudenze dell’amministrazione comunale, di ARPA Puglia e le considerazioni del Codacons.

Di diverso avviso è invece il Consiglio di Stato, che – dopo aver disposto la misura cautelare della sospensione dell’effetto della sentenza di primo grado – accoglie l’appello di Arcelor Mittal e l’appello incidentale di Ilva.

Arcelor Mittal (il gestore) propone sei motivi di appello, articolati in diversi sottomotivi, che si riassumono (i) nell’incompetenza del Sindaco e nella carenza assoluta del potere di disapplicazione dell’AIA[iii]; (ii) nell’errata interpretazione da parte del giudice di primo grado delle risultanze istruttorie, avendo anche integrato ex post la motivazione del provvedimento impugnato; (iii) nell’eccesso di potere giurisdizionale per integrazione postuma della motivazione; (iv) nell’omessa pronuncia sull’incongruità del termine assegnato per lo spegnimento dell’area a caldo (che determina un danno irreparabile agli impianti produttivi con la conseguenza delle loro successiva inutilizzabilità), (v) nella riproposizione dei motivi aggiunti dichiarati inammissibili (contro il provvedimento sindacale a valle dell’ordinanza) e (vi) nella contestazione di una presunta acquiescenza sul termine per presentare la relazione illustrativa dello stato degli impianti con l’individuazione delle possibili cause di anomalie emissive.

Ilva, proprietaria dell’impianto siderurgico, impugna con appello incidentale la sentenza di primo grado, articolando cinque motivi in gran parte analoghi a quelli proposti da Arcelor Mittal in relazione: (i) al difetto di attribuzione o incompetenza, con violazione del principio di legalità e insussistenza dei presupposti giuridici per l’esercizio del potere extra ordinem dell’autorità comunale, (ii) all’insussistenza dei presupposti fattuali per l’esercizio del potere sindacale di ordinanza; (iii) all’errata valutazione dei risultati dell’istruttoria; (iv) alla violazione del principio di precauzione e proporzionalità anche quanto alla inadeguatezza del termine accordato per la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento e (v) alla violazione delle norme sull’amministrazione straordinaria di Ilva che non avrebbe alcuna possibilità di adempiere all’ordine impartito (in quanto la gestione e’ affidata ad altro soggetto).

Amministrazioni resistenti (e intervenienti) e Codacons si difendono strenuamente, denunciando le diverse criticità dell’area al fine di supportare la decisione di primo grado (ponendo il Comune di Taranto anche la questione di legittimità costituzionale della normativa AIA ove questa precludesse il potere di ordinanza extra ordinem).

A fine aprile 2021 anche il Ministero per la transizione ecologica (subentrato al MATTM) impugna la sentenza, proponendo appello incidentale, articolato anch’esso in diversi motivi, sollevando censure (i) per eccesso di potere giurisdizionale, relativamente a quei capi in cui il TAR di Lecce avrebbe esternato scelte di politica industriale e giudizi sull’attività compiuta dal Ministero, non oggetto del giudizio; (ii) per aver errato nella valutazione delle condotte di controllo e monitoraggio del Ministero e per aver errato nel definire “ritardatario” il comportamento del Ministero nella definizione del procedimento di riesame dell’AIA, (iii) per aver errato nell’accertamento dell’ambito applicativo del rapporto di VDS.

Il Consiglio di Stato, investito evidentemente di una questione oltre che giuridicamente complessa, anche di grande rilevanza mediatica e delicatezza per la natura degli interessi sottesi e per la storia dello stabilimento Ilva e della città di Taranto, si premura immediatamente di precisare che il proprio giudizio è necessariamente circoscritto al provvedimento impugnato e alla sua legittimità, “senza che la cognizione possa estendersi a vicende che esulano dalle motivazioni e dal dispositivo dell’ordinanza o dai relativi atti endoprocedimentali”.

Tale precisazione che, forse, appare superflua a un lettore con competenze da giurista, indica chiaramente la preoccupazione del Supremo Collegio di evitare una generalizzazione o strumentalizzazione dell’oggetto della decisione, mantenendo il fuoco sul piano strettamente tecnico concentrato sulla legittimità dell’ordinanza contingibile e urgente emessa dal Sindaco di Taranto, precisando apertis verbis come non si giudichi, “invece, del complessivo impatto ambientale e sanitario determinato dalla presenza sul territorio dello stabilimento siderurgico tarantino, nonché delle questioni connesse (anche oggetto di separati giudizi in separate sedi giudiziali), le quali si stagliano sullo sfondo della questione qui controversa”.

Si passa, poi, alla definizione del quadro normativo di riferimento in relazione alla disciplina dell’AIA di Ilva, ricordandosi che, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale (sent. 9 maggio 2013, n. 85), l’AIA è provvedimento assunto all’esito “della confluenza di plurimi contributi tecnici ed amministrativi in un unico procedimento, nel quale trovano simultanea applicazione i princìpi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale”, sulla base dell’adozione delle migliori tecnologie disponibili (c.d. M.T.D. o, più comunemente, “best available techniques” o B.A.T.).

In sintesi, quindi, l’AIA “realizza, quindi, il punto di equilibrio fra contrastanti interessi, in particolare fra la salute (art. 32 Cost.), da cui deriva altresì il diritto all’ambiente salubre, e il lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali e il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso” tramite un delicato bilanciamento, caratterizzato da dinamicità e flessibilità di adattamento ai mutamenti scientifici. Il Consiglio di Stato riassume organicamente la disciplina dell’AIA, per sottolineare le numerose previsioni procedimentali[iv] e sostanziali che la caratterizzano, sia con strumenti di intervento preventivi sia con strumenti successivi, sia per la fase fisiologica sia per la fase di criticità. A questa, si aggiunge la complessa disciplina specifica per Ilva, quale stabilimento di interesse strategico nazionale, da una parte, e stabilimento la cui attività produttiva ha comportato e comporta oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a causa della inosservanza reiterata, dell’autorizzazione integrata ambientale, disciplinato ad hoc da numerose previsioni.

A fronte di queste disposizioni, per così dire, “ordinarie”, sia pur quando applicate all’eccezionalità e singolarità dello stabilimento Ilva di Taranto, vi è la disciplina derogatoria delle ordinanze contingibili e urgenti disciplinate dall’art. 217 del Testo Unico Leggi Sanitarie, che hanno quale tratto distintivo quello di “esorbitare dalle regole che scandiscono l’attività amministrativa”[v].  Tale ultima disciplina di carattere appunto derogatorio deve necessariamente tuttavia coordinarsi con il principio di legalità[vi] e con i suoi principi derivati in materia amministrativa, e cioè: il principio di tipicità e nominatività dei poteri dell’amministrazione e il principio di competenza. A questo riguardo il Consiglio di Stato non condivide la posizione delle appellanti, respingendo quindi la tesi per cui non vi e’ mai uno spazio per il potere di ordinanza sindacale in un ambito coperto da AIA, e conclude come non sia escluso dalla normativa un potere di ordinanza del Sindaco in astratto: questo poiché non e’ detto che i rimedi previsti dalla normativa coprano tutte le ipotesi nelle quali vi sia pericolo per la salute e l’incolumità pubbliche.

Il Sindaco, quindi, dispone del potere di ordinanza anche in situazioni nelle quali si debba intervenire su impianti sottoposti all’AIA, ma – a fronte dell’individuazione di poteri tipici e nominati, e della fissazione, in via legislativa, del riparto delle competenze sui casi e sulle modalità del possibile intervento – tale potere si riduce necessariamente, e il suo ambito di operatività è escluso in quelle situazioni che sono già state disciplinate dal legislatore.

Il Consiglio di Stato, quindi, respinge i motivi di appello volti a contestare la carenza assoluta di potere o l’incompetenza in astratto, passando ad esaminare se – in concreto – tali poteri effettivamente sussistessero in capo al Sindaco di Taranto nella fattispecie sottoposta al suo esame.

Ed e’, in questa parte della decisione, che analizza la ricorrenza dei presupposti della “contingibilità” e “urgenza” della situazione, da una parte, e l’interesse pubblico da salvaguardare, dall’altra parte, che il Collegio conclude per l’accoglimento degli appelli.

La “contingibilità” viene declinata nel suo significato di “necessità” e si riconosce quando non sussistano “rimedi tipici e nominati per fronteggiare efficacemente il pericolo oppure che quelli sussistenti non siano adeguati ad affrontare, tempestivamente, la situazione di pericolo o di danno insorta”[vii].

L’“urgenza”, non e’ una specificazione della contingibilita’, anche se vi è strettamente collegata, e consiste nella “materiale impossibilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di danno a breve distanza di tempo[viii]”.

A questi requisiti, la giurisprudenza ha affiancato altri presupposti del potere di ordinanza: la “straordinarietà dell’evento[ix], la sua “imprevedibilità”, la “necessaria temporaneità della misura adottata[x]: a questo proposito il Consiglio di Stato rileva come tali interpretazioni siano il frutto piu’ che altro dell’analisi dei singoli casi e non siano necessariamente collegate ai presupposti normativi (anche se sono utili indizi della sussistenza di un vizio di eccesso di potere), avendo la funzione di sottolineare la caratteristica principale del potere di ordinanza, e cioè la sua residualità rispetto ad altri rimedi tipici e nominati.

Alla luce di questa ricostruzione, il Consiglio di Stato ritiene non sussistenti – in concreto – i presupposti per l’emanazione dell’ordinanza impugnata, dichiarandone quindi l’illegittimità: in effetti, la fattispecie concreta non avrebbe potuto essere sussunta nell’applicazione dell’art. 217 del Testo Unico Leggi Sanitarie, perché non sussistevano i presupposti di cui all’art. 29decies comma 10 del Testo Unico Ambientale, in quanto era del tutto pacifico che non sussistesse alcuna violazione delle prescrizioni autorizzatorie previste dall’AIA.  La stessa normativa AIA, quindi, contiene la soluzione del problema di Taranto: il Sindaco aveva gia’ sollecitato il Ministero a comunicare se esistessero i presupposti per l’esercizio del potere di cui all’art. 217 del Testo Unico Leggi Sanitarie e il Ministero aveva gia’ dato risposta negativa, avendo appunto evidenziato la carenza del presupposto costituito dall’inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie.  Nel caso di specie, quindi, il potere di ordinanza contingibile e urgente risulta esercitato in violazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/ 2000, i quali presuppongono, come detto, la comprovata inidoneità o inefficacia degli altri rimedi predisposti dall’ordinamento.

Il Consiglio di Stato aggiunge che il Ministero, in quanto autorità competente ai fini AIA e ai fini dell’applicazione della norma in esame, assume la responsabilità di decidere di non attivare il potere di cui all’art. 217.

Accolto il motivo relativo all’assenza dei presupposti per violazione di legge, il Consiglio di Stato riconosce anche la sussistenza del vizio di eccesso di potere perché sostanzialmente l’ordinanza ha voluto disporre l’adozione di misure anticipatorie rispetto a quelle gia’ previste, sulla cui non necessità si era gia’ espresso il Consiglio di Stato in altro ricorso (con parere su ricorso straordinario al Capo dello Stato), in particolare in relazione all’installazione dei filtri a maniche, per la quale la sentenza non accerta significativi ritardi o inadempimenti.

In questo senso, la sentenza ricorda come sia assolutamente pacifico che nella città di Taranto vi sia una problematica di carattere sanitario e ambientale, correlata all’attività industriale, anche (e quindi evidentemente non solo), dello stabilimento Ilva: lo testimoniano le norme di legge su Ilva e i precedenti di tutte le giurisdizioni coinvolte nel corso degli anni (inclusa la CEDU). Norme che hanno rafforzato anche il profilo sanitario creando un corpus normativo specifico che vale quale strumento di salvaguardia della salute che, a ben vedere, e’ lo stesso bene fondamentale che l’ordinanza impugnata intendeva tutelare. Norme che, secondo quanto rileva il Consiglio di Stato, non sono allo stato inadempiute o violate.

L’ordinanza del Sindaco risulta, quindi, illegittima anche in quella parte in cui intendeva anticipare misure programmate in assenza dei presupposti di fatto o comunque in difetto di una sufficiente motivazione.

Ma il Consiglio di Stato, pur spendendo anche qualche parola positiva nei confronti della sentenza appellata (criticata in modo piuttosto veemente dalle appellanti), non ne condivide le conclusioni neppure quanto alle risultanze del quadro istruttorio, concludendo per l’illegittimità del provvedimento anche per difetto di istruttoria, per l’intrinseca contraddittorietà e per difetto di motivazione e per erronea applicazione del principio di precauzione.

In sintesi, l’istruttoria è carente perché il provvedimento risulta emesso senza che vi sia stata un’univoca individuazione delle cause del potenziale pericolo e senza che sia risultata acclarata sufficientemente la probabilità della loro ripetizione, non essendo la documentazione di ARPA portata dal Comune a supporto delle proprie tesi, sufficientemente convincente.

Il Consiglio di Stato su questo punto delinea un altro importante corollario e cioe’ che le carenze istruttorie non possono essere colmate dal ricorso al principio di precauzione correttamente inteso: e qui la sentenza ci offre un’altra lectio magistralis in relazione all’origine e ai connotati del principio di precauzione[xi] concludendo che, nella fattispecie concreta, non ci sia stata alcuna preventiva valutazione scientifica del rischio direttamente riconnesso agli eventi emissivi di cui il Comune di Taranto teme la ripetizione, che non sia affrontabile con gli strumenti tipici gia’ a disposizione della disciplina sull’AIA.

La notazione finale sulla corretta applicazione del principio di precauzione, al quale non si può legittimamente ricorrere al fine di sopperire a carenze procedimentali, chiude un ragionamento tecnico giuridico impeccabile e di straordinaria lucidità, in una sentenza di sviluppo di principi che ci si augura siano recepiti in questa corretta lettura anche dalla prassi amministrativa in materia ambientale.

Per la cronaca, poi, tutti gli altri motivi sono stati ritenuti assorbiti e la questione di costituzionalità posta dal Comune di Taranto e’ stata dichiarata irrilevante.  Annullata l’ordinanza, viene caducata anche la nota del Comune di Taranto che ordinava di fatto la chiusura. Ilva può continuare a lavorare.

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COMMENTO ILVA CDS

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CDS ILVA

NOTE:

[i] TAR Puglia- Lecce 13 febbraio 2021 n. 249.

[ii] I valori orari rilevati non costituiscono superamenti del valore limite di emissione stabilito nell’autorizzazione integrata ambientale, in quanto, contrariamente a quanto erroneamente dedotto dal dipartimento di Taranto dell’ARPA Puglia, il valore limite di emissione per il parametro polveri per le emissioni al camino E312 dell’agglomerato, in termini di concentrazione, non è 31,25 mg/Nm3 (media oraria), ma 25 mg/Nm3 (media giornaliera) di cui alla prescrizione n. 55 dell’AIA del 2012, così come riportata nel DM n.53 del 3/2/2014.

[iii] Motivo che si sottoarticola (i) nell’insussistenza in concreto, comunque, di un potere sindacale di intervento extra ordinem nell’ipotesi di esercizio dei poteri ordinari da parte dell’amministrazione competente; (ii) nell’illegittimità della disapplicazione da parte dell’ordinanza contingibile e urgente dell’AIA pur in presenza di valutazioni sanitarie positive all’interno di quest’ultima; (iii) nell’illegittimità di una valutazione suppletiva da parte dell’ordinanza sindacale rispetto a esigenze di tutela gia’ soddisfatte dalla procedura di AIA e (iv) dall’illegittimità dell’adozione di una procedura extra ordinem anche in difetto di un riscontro nei termini da parte dell’autorità competente (circostanza che avrebbe dovuto portare all’attivazione di un rimedio processuale contro l’inerzia, ma che mai potrebbe supportare un potere sostitutivo extra ordinem).

[iv] Precisando, tra l’altro, come la conferenza dei servizi preveda la partecipazione del Sindaco proprio allo scopo di far valere “le prescrizioni… relative agli aspetti correlati alle condizioni sanitarie della comunità di riferimento” proprio ai sensi della normativa del Testo Unico Leggi Sanitarie.

[v] La sentenza ricorda, ex multis, Cons. Stato, sez. II, 15 febbraio 2021, n. 1375; sez. IV, 11 gennaio 2021, n. 344; sez. II, 11 luglio 2020, n. 4474 sez. V, 4 febbraio 2015, n. 533)

[vi] Corte cost.,13 marzo 2019, n. 45; nonché n. 115 del 2011, n. 32 del 2009, n. 307 del 2003 e n. 150 del 1982.

[vii] Cons. Stato, sez. IV, 11 gennaio 2021, n. 344 e, specialmente, Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2019, n. 6951.

[viii] Cons. Stato, sez. II, 15 febbraio 2021, n. 1375; sez. V, 14 ottobre 2019, n. 6951.

[ix] Cons. Stato, sez. II, 15 febbraio 2021, n. 1375; sez. V, 16 aprile 2019, n. 2495; anche qualora la situazione di emergenza fosse sorta in epoca antecedente, secondo Cons. Stato, sez. II, 11 luglio 2020, n. 4474, o la situazione di incuria si fosse protratta da tempo, come in Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 2006, n. 5639.

[x] La rassegna di giurisprudenza proposta dal Consiglio di Stato e’ ricchissima e ricorda anche le pronunce contrastanti: in conformita’ alla tesi sostenuta si cita Cons. Stato, sez. II, 11 luglio 2020, n. 4474; Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 2016, n. 4705, e, per tutti, Corte cost., 2 luglio 1956, n. 8.  In senso contrario: Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 2009, n. 828, secondo cui “nulla esclude che la specificità della situazione richieda l’adozione… di misure di carattere definitivo, atteso che quello che rileva è l’idoneità della misura in relazione alla situazione da fronteggiare”; v. pure sez. IV, 9 novembre 2019 n. 7665; sez. V, 6 marzo 2013, n. 1372; sez. V, 25 maggio 2012, n. 3077; sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4402.

[xi] Testualmente: “Il principio in questione, di derivazione comunitaria, è stato previsto espressamente con il Trattato di Maastricht del 1992 (ora, art. 191, § 2 Trattato FUE), recepito, poco dopo, nel diritto internazionale con la Dichiarazione su ambiente e sviluppo approvata a Rio de Janeiro del 1992 (ma i prodromi di tale principio emergono anche dalla Carta Mondiale della Natura adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1982) e, infine, introdotto nell’ordinamento nazionale da diverse disposizioni (ad es., nell’art. 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’art. 1 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, che impone all’attività amministrativa di conformarsi anche ai principi di diritto euro-unitario; negli artt. 3-ter – aggiunto dall’art. 1 del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 – e 178, comma 3, 301, 307 e 310 del d.lgs. n. 152/2006; nell’art. 107, comma 4, del d.lgs. del 6 settembre 2005, n. 206, c.d. “Codice del consumo”; nell’art. 7, comma 3, lett. d), della legge 5 marzo 2001, n. 57, recante “Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati”; nell’art. 1 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, “Legge quadro sulla protezione dall’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”).

Relativamente alla sua applicazione, s’intende qui ribadire l’orientamento più volte espresso dalla giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. un., 3 maggio 2013, n. 10303; Cons. Stato, sez. III, 4 marzo 2013, n. 1281; Corte giust. UE, sez. X, 28 marzo 2019, n. 487-489/17; sez. II, 15 gennaio 2009, C-383/07; 13 dicembre 2007, C-418/04; 9 settembre 2003, C-236/01) e, segnatamente, il decalogo di principi enunciato nella sentenza n. 6250 del 27 dicembre 2013 della sez. V di questo Consiglio di Stato, secondo cui:

  1. a) il principio di precauzione costituisce uno dei fondamenti della politica dell’Unione europea e dello Stato italiano in materia ambientale accanto a quelli della prevenzione, dell’azione preventiva, e della correzione in via prioritaria ed alla fonte dei danni causati all’ambiente; l’individuazione dei tratti giuridici del principio viene sviluppata lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi – carattere necessario delle misure adottate; le misure precauzionali, infatti, presuppongono che la valutazione dei rischi di cui dispongono le autorità riveli indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attuazione di tali misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute; si rifiuta un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente;
  2. b) la giuridicizzazione e la conseguente giustiziabilità del principio di precauzione passano così attraverso la necessità di riconoscere canali istituzionali di coinvolgimento dei cittadini, delle loro formazioni sociali e delle loro comunità di riferimento, nell’esercizio della funzione (globalmente rilevante) di amministrazione del rischio, sia a livello comunitario che a livello nazionale; il che contribuisce alla costruzione di un diritto “effettivo” del rischio, in linea con il modello della responsible governance;
  3. c) il principio presuppone che l’esistenza di un rischio specifico è tale solo quando l’intervento umano su un determinato sito, sulla base di elementi obbiettivi, non possa escludersi che pregiudichi il sito interessato in modo significativo;
  4. d) sul piano procedurale, l’adozione di misure fondate sul principio di precauzione è condizionata al preventivo svolgimento di una valutazione quanto più possibile completa dei rischi calata nella concretezza del contesto spazio temporale di riferimento, valutazione che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura;
  5. e) il principio in esame non può legittimare una interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli dell’area interessata; la situazione di pericolo deve essere potenziale o latente ma non meramente ipotizzata e deve incidere significativamente sull’ambiente e la salute dell’uomo; sotto tale angolazione il principio di precauzione non consente ex se di attribuire ad un organo pubblico un potere di interdizione di un certo progetto o misura; in ogni caso il principio di precauzione affida alle autorità competenti il compito di prevenire il verificarsi o il ripetersi di danni ambientali ma lascia alle stesse ampi margini di discrezionalità in ordine all’individuazione delle misure ritenute più efficaci, economiche ed efficienti in relazione a tutte le circostanze del caso concreto.

Questo Consiglio di Stato ha inoltre affermato che:

  1. a) “posto che la normativa di cui al d.lgs. n. 152 del 2006 è interamente ispirata al c.d. principio di precauzione – il rispetto delle procedure di V.I.A. ed A.I.A. ivi previste equivale ad una presunzione in merito al rispetto di quel principio; detta presunzione non può essere superata dall’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici” (Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 2020, n. 4545);
  2. b) l’applicazione di misure fondate sul principio di precauzione “presuppone l’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura” (cfr., Cons. Stato, sez. III, sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655).

Questi principi sono stati recentemente ribaditi dalla Sezione, con la sentenza n. 3597, del 7 maggio 2021.

Le indicazioni fornite dalla giurisprudenza citata risultano peraltro consentanee alle linee di indirizzo che la Comunicazione della Commissione Europea del 2 febbraio 2000 ha fornito sulle condizioni di applicazione del principio di precauzione.

 

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