Il ruolo costituzionale dello stato tra produzione e conservazione del bosco

02 Feb 2023 | articoli, contributi, in evidenza 3

di Alberto Abrami

Quando si formò l’attuale Governo ci fu una sorpresa nell’apprendere che il Ministero dell’Agricoltura non aveva più, nella sua intitolazione, le “Foreste”. La nuova denominazione era infatti: “Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare”. Soltanto dopo qualche giorno, in seguito alla reazione che si ebbe nel mondo forestale, privato di quella visibilità che aveva sempre avuto la materia, il Governo ha modificato il titolo originario che ora recita:” Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste”

Prima della nuova denominazione, non mancò chi ritenne che la scomparsa delle “Foreste” dalla denominazione del Ministero non fosse dovuta a trascuratezza o dimenticanza, come poi è risultato, quanto invece a una scelta in favore di una nuova e più congrua collocazione della materia, presso il Ministero dell’Ambiente, ora della Transizione Ecologica e dell’Energia.

Non si trattava, in realtà, di un’idea peregrina, o almeno non del tutto, poiché se Agricoltura e Foreste sono finora, diciamo così, andate a braccetto, questo lo si deve alla sola considerazione – fatta propria dai Padri Costituenti – che entrambe le attività producono beni economici originati dal suolo: beni commestibili, quelli risultanti dall‘attività agricola intesa in senso stretto, mentre il legno è il prodotto dell’attività selvicolturale: un abbinamento delle due materie fondato, dunque, sulla comune attività produttivistica avente nella terra la medesima origine, svolta in favore del proprietario del fondo, tanto agricolo che forestale, a prescindere dalla diversa natura e governo delle due attività.

Lo stesso aveva inteso fare il legislatore del codice che, nel definire l’imprenditore agricolo, non ha operato una distinzione con l’imprenditore forestale, ritenendo che quest’ultimo svolga un particolare tipo di attività agraria nello stesso ambito produttivistico.

Il bosco, non aveva però, all’epoca (negli anni Quaranta del secolo scorso), altra funzione – al di là della salvaguardia idrogeologica del territorio – che produrre il legname per il mercato, poiché non si era ancora posta la questione ecologica che avrebbe accentuata l’attenzione verso la multifunzionalità della foresta spostando l’asse dell’interesse forestale dalla produzione alla conservazione.

Oggi, anche in seguito all’ aumento progressivo della temperatura sulla terra, ci stiamo rendendo conto che il bosco non è solo fornitore di beni economici: esso fornisce anche, e soprattutto, servizi d’interesse pubblico fondamentali per la stessa vita dell’uomo sulla terra.

È questa condizione a convincerci che l’intervento sul bosco non può manifestarsi, nel momento attuale, mediante una selvicoltura fondata su un taglio massivo, come ritiene il Testo Unico forestale in vigore, ma deve essere una selvicoltura che si realizza nell’ottica dello sviluppo sostenibile, ossia conciliata col dato ecologico di interesse generale.

È quanto ha avvertito il piano di aiuti di origine comunitaria, Pnrr, il quale, a fronte di una legislazione eminentemente produttivistica, ha avvertito la necessità di un massiccio rimboschimento attraverso la messa a dimora di oltre 9 milioni di piante arboree in ossequio agli accordi internazionali. Il fine è quello di frenare mediante la vegetazione arborea il surriscaldamento della terra con le conseguenti mutazioni climatiche alle quali stiamo assistendo, ma anche di migliorare la qualità della vita. Di qui l’importanza di una selvicoltura che abbia presente l’interesse delle generazioni future, piuttosto che mirare all’utile immediato.

Di questo tipo di selvicoltura, che possiamo definire di stampo naturalistico, perché rispettosa dei valori di interesse collettivo che si rinvengono nel bosco, si hanno segni poco significativi – e comunque più apparenti che reali – nel vigente Testo unico forestale varato dal Governo nel 2018 con il consenso delle Regioni, in seguito alla delega del Parlamento[i]. Il fine primario di questa legislazione è, infatti, quello del recupero produttivo dei boschi, anche contro la volontà del suo possessore che non intenda trarre dal bosco dei vantaggi di natura economica procedendo al taglio.

La cosa può certo sorprendere, poiché – mentre stiamo attraversando una crisi climatica, per contenere la quale la vegetazione arborea è della massima rilevanza – l’attenzione maggiore è rivolta al taglio dei boschi per l’utilizzazione legnosa.

E però, occorre tener presente che il soggetto che è stato protagonista nella formazione del Testo unico sul quale riposa l’attuale ordinamento forestale, è stato il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, interessato per sua naturale condizione alla produzione di beni suscettibili di una valutazione economica e, quindi, non proprio idoneo a valutare i sevizi di natura ecologica del bosco come oggi si richiede.

Se si vuole un cambio di passo nell’esercizio della selvicoltura, com’ è nelle attese della società odierna, converrà prendere atto che la riforma costituzionale del 2001 ha attribuito alle Regioni la competenza esclusiva (residuale) in materia di Foreste, fino ad allora ripartita fra Stato e Regioni, ma prendere anche atto, allo stesso modo, che la medesima riforma ha riconosciuto la competenza esclusiva allo Stato in materia di “Tutela dell’Ambiente e dell’Ecosistema”

La Corte Costituzionale ha avuto modo, nel risolvere un conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Veneto avverso ad un provvedimento dello Stato in materia di Foreste ritenuto invasivo della propria competenza, con la sentenza n.205 del 2008, di precisare la portata e i confini della materia Foreste ravvisando in essa la presenza di due beni giuridici, uno di interesse produttivo, relativo alla Regione, ed un altro di interesse ambientale pertinente allo Stato.

A parere della Corte Costituzionale, lo Stato ha, dunque, titolo per intervenire in materia di Foreste, di competenza delle Regioni, al fine di garantire il rispetto dei valori ambientali nell’esercizio della selvicoltura. La struttura statale idonea per questo scopo risulta essere il Ministero appositamente deputato per questa funzione, ossia il Ministero della Transizione Ecologica. Esso potrebbe rimettere in equilibrio un “sistema forestale” che oggi appare fortemente squilibrato, perché attestato “in toto” sul fronte regionale- produttivistico, e quindi operare la conciliazione – come configurata dalla Corte – fra il dato economico, rappresentato dall’estrazione del legname, certamente di grande peso e rilevanza, ma per sua natura di interesse privatistico, con il dato ecologico di interesse generale.

SCARICA L’ARTICOLO IN PDF

IL RUOLO COSTITUZIONALE DELLO STATO TRA PRODUZIONE E CONSERVAZIONE DEL BOSCO

NOTE:

[i]  Di recente il Ministero dell’Agricoltura e Foreste ha varato un documento dal titolo, ”Strategia forestale” che conferma la politica espressa nella legge. Sullo scarso interesse per l’aspetto ecologico del bosco nel vigente Testo Unico forestale, si veda il nostro “Interessi pubblici ed interessi privati nella recente legislazione forestale”, In questa “Rivista” 2018 p.485.

Scritto da