Il recente fenomeno della Crypto Art, l’impatto ambientale e la necessaria regolamentazione

27 Dic 2021 | articoli, contributi, in evidenza 3

di Giulia Parenti

Crypto Art e NFT (Non Fungible Tocken) sono concetti nuovi e innovativi che si sono affacciati da qualche anno nel panorama artistico mondiale. Un recente studio ha però dimostrato che questa novità, che appare rivoluzionaria, sconta problematiche in tema di impatto ambientale.

All’interno di piattaforme digitali (quali SuperRare, Nitty Gateway, Hashmasks) vengono vendute e acquistate con criptomonete delle opere digitali (quadri, video, testi) che vengono criptate tramite la tecnologia Blockchain che le certifica, garantendone autenticità e unicità: in tal modo si consente la creazione di file collezionabili dei quali si possono individuare proprietà, valore, tracciabilità.

In pratica gli NFT sono cartelle contenenti informazioni quali data di creazione, link all’opera, autore, descrizione dell’opera e acquirente. Il token contenente tali informazioni è poi memorizzato sul registro elettronico Blockchain che è sicuro, criptato e non tracciabile.

Per avere un’idea dell’importanza del fenomeno si pensi che un video di 10 secondi raffigurante Donald Trump sconfitto dell’artista Mike Winkelmann, in arte Beeple, è stato venduto per 6,6 milioni di dollari, mentre “Everyday, the first 5000 days 2021”, opera che esiste in un file in formato digitale JPEG, sempre di Beeple, è stato acquistato per 69,3 milioni di dollari.

Si tratta dunque di un meccanismo rivoluzionario consistente nella certificazione di autenticità e unicità dell’opera. La Crypto Art si può infatti definire come arte certificata dagli NFT, tali token vengono venduti e acquistati, ogni scambio è memorizzato su Blockchain. Ciò che viene acquistato non è il diritto di autore sull’opera ma l’autenticità (non duplicabilità) e unicità (di ogni NFT non ne esiste un altro simile).

In un mondo digitalizzato in cui ogni immagine, file, video, testo è alla portata di tutti, questo concetto appare evidentemente innovativo. L’opera rimane digitale e, pertanto, accessibile a tutti ma gli artisti possono creare e vendere non preoccupandosi che questa venga contraffatta. Inoltre, se l’acquirente a sua volta vende l’opera, una percentuale della vendita andrà all’artista perché il token indica il nome del creatore.

La tecnologia Blockchain, nel creare e autenticare token, ha tuttavia un impatto ambientale seriamente elevato. Il “minting” (coniare/creare) delle NFT si realizza al termine di un processo detto “proof-of-work” che utilizza macchine con elevata potenza di calcolo e che emettono enormi quantità di Co2.

Anche il processo di validazione delle opere e delle transazioni comporta la risoluzione di equazioni articolate con elevata potenza computazionale per cui è necessario un alto consumo di energia elettrica.

Infine, i computer si servono di strumenti di raffreddamento molto efficienti ma che necessitano di una ingente quantità di energia per evitare il surriscaldamento delle macchine.

Si tenga presente che la gran parte dei computer che servono le blockchain non sono alimentati con energia rinnovabile ma con energia di origine fossile, in particolare con carbone che risulta essere economicamente conveniente.

L’artista e ingegnere inglese di origini turche Memo Akten ha condotto sul tema uno studio pubblicato su Medium[i], analizzando circa 80.000 transazioni relative a 18.000 NFT creati su diverse piattaforme (la più famosa delle quali è Ethereum) e scambiati su SuperRare.

Quanto alla creazione di NFT, analizzando la piattaforma Ethereum, si è calcolato il consumo di energia elettrica che deriva dalla singola transazione: circa 35 kWh, che, per intenderci, equivale al costo di energia elettrica che un singolo cittadino europeo consuma nell’arco di quattro giorni.

Su SuperRare i costi sono ancora più alti: le singole transazioni costano in media 82 kWh con emissioni di 48 kg di Co2.

Sono state analizzate inoltre le varie operazioni del singolo NFT: il minting costa 142 kWh (83 kg di Co2, che equivale al consumo di circa due settimane di energia elettrica di un singolo cittadino europeo), fare un’offerta sulla piattaforma costa 41 kWh (24 kg di Co2), cancellare un’offerta 12 kWh (7 kg di Co2), una vendita ha un costo di 87 kWh (51 kg di Co2) e un trasferimento di proprietà costa 52 kWh (30 kg di Co2).

Conclusivamente l’analisi effettuata ha stabilito che un solo NFT costa circa 340 kWh che corrisponde all’emissione di 211 kg di Co2. Lo studioso, per rendere comprensibile di fronte a che entità di consumo ci troviamo, lo ha paragonato all’energia elettrica di cui un cittadino europeo si serve in un mese, all’utilizzo di un pc per tre anni, a un viaggio in auto di 1000 km o a un volo aereo di due ore.

In totale, 3,8 milioni di tonnellate di Co2 sono state spese per tutti gli NFT analizzati nella ricerca: l’equivalente di 37 mila ore di volo o al consumo elettrico di un cittadino europeo per duemila anni.

L’analisi effettuata dall’artista è di fondamentale importanza in quanto nel settore della Cripto Art, in continua crescita, le piattaforme ove si sviluppano gli NFT non si sono preoccupate di dichiarare in maniera chiara e trasparente i costi ambientali di tali processi e gli studi in proposito sono ancora del tutto carenti.

Per denunciare gli impressionanti costi ambientali della Crypto Art un gruppo di artisti, tra cui lo stesso Memo Akten, ha inoltre pubblicato un manifesto sulla rivista Flashart[ii].

Gli artisti firmatari hanno offerto premi a chi riuscisse a trovare soluzioni più sostenibili, sottolineando come sia necessaria una regolamentazione in materia: non è possibile difatti seguire ideali neoliberisti che puntano a mercati privi di controlli e che sfruttano risorse limitate senza riserve. Non si può attendere che il mercato si regoli da sé quando a farne le spese è un ecosistema già al collasso.

Una delle soluzioni in corso di sviluppo consiste nella realizzazione di piattaforme meno energivore (come ad esempio Palm o Chia) che puntano ad utilizzare una blockchain che sfrutti un algoritmo evoluto rispetto a quello di Bitcoin ed Ethereum (il “Proof of Work” o PoW).

Gli algoritmi sviluppati per ridurre l’impatto ambientale sono detti Proof of Stake (PoS) e Proof of Space Time (PoST).

I protocolli PoS consentirebbero di ridurre l’impatto del 99% implementando sulle piattaforme esistenti protocolli che adoperano un processo differente per convalidare le transazioni e raggiungere il consenso. Si tratta sempre di un algoritmo crittografico, ma il suo funzionamento consente più alta scalabilità delle transazioni e meno consumo energetico.

Il “Proof of Space and Time” o PoST consente invece di ridurre i passaggi del mining e l’impatto ambientale, sfruttando lo spazio disponibile su hard disk e SSD e abbandonando la tecnologia cloud è possibile spegnere i relativi server.

Tali soluzioni hanno permesso ad artisti come Damien Hirst[iii] di mettere in vendita le proprie opere su piattaforme che promettono maggiore sostenibilità.

Vi è invece chi, come l’artista Salvatore Garau, ritiene che il costo ambientale sia così alto da dover prendere una posizione netta contro gli NFT. Garau ha infatti dichiarato: “non produrrò mai un NFT. Una decisione drastica, oltre che poetica, contro la follia che si sta mettendo in atto”[iv].

E infine Roger Huang, esperto di blockchain, ritiene che “le argomentazioni che il bitcoin causa tonnellate di emissioni di carbonio e degrado ambientale mancano il bersaglio”[v], affermando che vi sono delle esperienze (come quella della provincia cinese di Sichuan) dove si può sfruttare la sovra-capacità elettrica per utilizzare energia a bassissimo costo che altrimenti andrebbe sprecata.

È difficile che la nascita e lo sviluppo di un fenomeno tecnologicamente innovativo vada di pari passo con la regolamentazione della stessa. In questo caso gli stessi attori del mercato, gli artisti, si sono preoccupati di studiare il fenomeno individuandone le pecche. Essendo enorme il costo per l’ambiente nella Crypto Art, è auspicabile e necessario che, se il mercato continua a svilupparsi, i governi dei differenti paesi pongano fine in tempi rapidi al vuoto normativo regolamentando i processi che avvengono nelle piattaforme e ponendovi dei limiti.

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ImpattoambientaleCryptoArt

Note

[i] Lo studio denominato “The Unreasonable Ecological Cost of #CryptoArt (Part 1)” dell’artista Memo Atken è disponibile al seguente link: https://memoakten.medium.com/the-unreasonable-ecological-cost-of-cryptoart-2221d3eb2053.

[ii] Il manifesto denominato “Episode V. Toward a New Ecology of Crypto Art: A Hybrid Manifesto” è disponibile sul sito: https://flash—art.com/2021/02/episode-v-towards-a-new-ecology-of-crypto-art/.

[iii] Damien Hirst ha messo in vendita 10mila dipinti a olio tramite la nuova piattaforma Palm che promette di essere sostenibile. Per maggiori approfondimenti di seguito il link dell’articolo “Damien Hirst vende migliaia di opere NFT su una nuova blockchain green”: https://www.exibart.com/arte-contemporanea/damien-hirst-vende-migliaia-di-opere-nft-su-una-nuova-blockchain-green/.

[iv] L’articolo “NFT, iperconsumi e un ecosistema agonizzante. Salvatore Garau attacca la criptoarte”è disponibile al seguente link: https://agenparl.eu/nft-iperconsumi-e-un-ecosistema-agonizzante-salvatore-garau-attacca-la-criptoarte/.

[v] Di seguito il link dell’articolo di Roger Huang “Arguments That Bitcoin Harms The Environment Through Wasteful Emissions Miss The Mark”: https://www.forbes.com/sites/rogerhuang/2021/02/16/arguments-that-bitcoin-harms-the-environment-through-wasteful-emissions-miss-the-mark/?sh=3ff6582320a7.

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