I principi di diritto ambientale. Riflessioni sul libro di Nicolas De Sadeleer

20 Giu 2021 | articoli, contributi, recensioni

di Stefano Nespor

Environmental Principles. From Political Slogan to Legal Rules (Oxford University Press 2020) è la seconda edizione aggiornata e rielaborata del libro di Nicolas De Sadeleer, uno dei più importanti esperti di diritto ambientale e da molti anni collaboratore della Rivista giuridica dell’ambiente.

il volume, oltre a porsi come un punto di riferimento obbligato per chiunque voglia occuparsi dell’argomento trattato, ha anche il pregio di innescare riflessioni su una moltitudine di argomenti. Ne affronterò alcune senza alcuna pretesa di sistematicità.

1.Il tema dei principi nel diritto internazionale e, in particolare, nel diritto internazionale dell’ambiente è da anni oggetto di dibattito, di controversie e di divergenti o contrapposte interpretazioni.

Da un lato, ci sono coloro che, con Antonio Cassese, sostengono che i princìpi hanno una specifica funzione: sono il cemento che tiene insieme le ruote e i meccanismi dell’ordinamento internazionale (Antonio Cassese, Diritto internazionale, Il Mulino 2017). È una funzione ancor più appropriata nel diritto internazionale ambientale, dove ci sono quindi poche ruote e pochi meccanismi, essendo scarsi gli strumenti e i trattati che prevedono norme vincolanti o procedimenti obbligatori per la soluzione delle controversie.

Dall’altro lato ci sono coloro che li riducono a semplici asserzioni senza alcuna valenza normativa.

Proprio in considerazione di queste contrapposizioni, il tema dei principi deve essere affrontato con cautela prendendo in considerazione sia le connesse questioni di politica e di relazioni internazionali (in proposito si veda L. Paradell-Trius, Principles of International Environmental Law: an Overview, in RECIEL 9, 2000) sia l’evoluzione della funzione delle norme e della giurisprudenza come criteri per la disamina dei problemi ambientali: un argomento, quest’ultimo, sul quale tornerò tra breve.

Il dato di partenza è, in ogni caso, l’impossibilità di articolare obblighi precisi e impegni vincolanti posti a carico di Stati con diverse esigenze di sviluppo e con diversi interessi economici. I princìpi invece, consentendo elasticità di interpretazioni, offrono un compromesso tra l’assenza di regole o regole troppo precise.

Proprio per queste considerazioni, il successo dei principi nel diritto ambientale è stato attribuito a varie cause: la necessità di tenere conto dei problemi sociali, economici e scientifici connessi con il diritto dell’ambiente, il rapido prospettarsi delle emergenze ambientali negli ultimi decenni e la connessa urgenza nell’individuare soluzioni, il fatto che le materie da disciplinare nel diritto ambientale pongono problemi nuovi, la mancanza di esperienze cui far riferimento.

Questa è la situazione rispetto alla quale il libro traccia l’evoluzione dei principi nel diritto internazionale ambientale e nella normativa e nella giurisprudenza dell’Unione europea e dei diversi Stati.

Nell’arco di quarant’anni si è passati da affermazioni di carattere esortativo o slogan politici, come indica De Sadeleer nel sottotitolo, a disposizioni che hanno gradualmente acquisito forza normativa, sia pur con diverse gradazioni di efficacia vincolante o sanzionatoria: il ruolo dei principi può infatti ridursi o perfino annullarsi se non sia sostenuto da appositi meccanismi legali o se manchino le risorse finanziarie, umane e organizzative necessarie per garantirne l’applicazione.

SI tratta, del resto, di un processo tipico del diritto internazionale, ove la consuetudine è la principale fonte del diritto. È un fenomeno analogo a quello di lenta ma progressiva formazione di norme e di sanzioni testimoniato per l’antica Grecia dai poemi omerici (sul punto, c’è lo studio fondamentale di Eva Cantarella, Norma e sanzione in Omero. Contributo alla protostoria del diritto greco, ora ripubblicato da Inschibboleth) e verificatosi in molte società primitive (come ha dimostrato, molti anni fa, l’antropologo Michael Barkun in Law without Sanctions, Yale Uni. Press 1968).

  1. De Sadeleer ricostruisce così un sistema di principi esteso all’intero diritto ambientale sinora mancante, osservando che la maggior parte delle analisi riguarda specifici settori (l’inquinamento, la biodiversità, la pesca, il cambiamento climatico) con la conseguenza che, a fronte di tante visioni frammentate su singole fattispecie, manca una visione complessiva che operi un collegamento delle varie disposizioni e chiarisca come esse interagiscano.

È certamente vero, anche se questa situazione è una caratteristica specifica non tanto del diritto internazionale ambientale, ma del diritto internazionale (e, come vedremo fra breve, anche del diritto postmoderno, cui De Sadeleer dedica la seconda parte del volume).

Nel diritto internazionale infatti non c’è mai stato un sistema originario di norme fondamentali che a un certo punto si è frammentato in diversi settori. Esso è sorto dal basso, muovendo da trattati, istituzioni, accordi che sono stati formati per soddisfare specifici bisogni e si sono poi aggiunti o sovrapposti l’uno accanto all’altro La frammentazione non è quindi un fenomeno transitorio o eliminabile, ma è l’essenza del diritto internazionale (in proposito Nele Matz-Luck, Structural Questions of Fragmentation in Proceedings of the Annual Meeting (American Society of International Law , Vol. 105, Harmony and Dissonance in International Law, 2011 www.jstor.org/stable/10.5305/procannmeetasil.105.0123; si può vedere anche nello stesso volume il saggio di Jacob Katz Cogan, The Idea of Fragmentation, che pone in evidenza come i problemi concernenti questo argomento sorgano in specifici momenti di cambiamento dello status quo della normativa). E lo è quindi anche del diritto internazionale ambientale.

  1. Dopo aver passato in rassegna i vari principi presenti nella letteratura e nella giurisprudenza e le loro specifiche declinazioni, De Sadeleer si sofferma in particolare su tre di essi che, a suo giudizio, superano la frammentazione e pongono le fondamenta del diritto ambientale e, nello stesso tempo, del diritto ambientale dell’Unione europea: il principio chi inquina paga, il principio di prevenzione e il principio di precauzione. “Essi hanno” osserva “una dimensione universale anche se trovano applicazione in modo differente a seconda dei diversi settori dove sono previsti”; rappresentano inoltre, come pone in evidenza il titolo della prima parte, tre diversi strumenti che interagiscono per affrontare il medesimo problema, il rischio ambientale: il principio di precauzione ha come presupposto logico la prevenzione che, a sua volta, implica la presenza di regole che pongono l’obbligo di riparare o evitare il danno.

Fin qui, il volume di De Sadeleer costituisce, anche per l’enorme quantità di riferimenti giurisprudenziali tratti da ogni organismo internazionale e da una moltitudine di Stati, un fondamentale contributo allo studio dei principi nel diritto ambientale.

  1. Ma il pregio di questo libro è dato anche dalla seconda parte (The Legal Status And Role Of The Polluter- Pays, Preventive, And Precautionary Principles: A Shift From Modern To Post-Modern Law); qui i tre principi suddetti sono inquadrati nel processo di passaggio del diritto moderno verso il diritto post-moderno: il diritto ambientale, affermatosi nell’ultimo terzo del secolo passato, è il segno più evidente della trasformazione che si è verificata e dei cambiamenti che sono stati prodotti.

È su questa seconda parte che voglio ora soffermarmi.

Sulla definizione e sul contenuto dell’espressione diritto postmoderno molto è stato scritto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.

L’espressione indica, secondo l’opera che è divenuta uno dei testi di riferimento sull’argomento (Gary Minda, Postmodern Legal Movements Book. Law and Jurisprudence At Century’s End, NYU Press 1996), lo sfaldamento di canoni interpretativi basati su pilastri del diritto moderno che hanno posto le basi del diritto come scienza: la generalità, la sistematicità, l’autonomia. Oggi l’idea di una cultura giuridica condivisa è sempre più vacillante: ne è seriamente compromessa l’autonomia e prevalgono visioni parcellizzate, adattate alle circostanze oggetto di disciplina e alle esigenze di coloro che sono in grado di imporle (così Ana Julia Bozo de Carmona, Towards a Postmodern Theory of Law, in Paideia www.bu.edu/wcp/Papers/Law/LawBozo.htm).

Alla radice della postmodernità del diritto stanno quattro cause, tutte importanti per l’evoluzione del diritto ambientale: lo sfaldamento della sovranità dello Stato, l’affermarsi della temporaneità della norma, la presenza di una rete mondiale di comunicazioni e il dissolversi del diritto come scienza autonoma.

  1. La prima causa è il modificarsi della sovranità dello Stato, o, per ritornare a un termine appena sopra utilizzato, la sua frammentazione (si vedano H. Kalmo – Q. Skinner (a cura di), Sovereignity in Fragment. The Past, Present and Future of a Contested Concept, Cambridge, 2011; è stato definito da Sabino Cassese e Vincent Wright la ristrutturazione dello Stato moderno in La recomposition de l’Etat in Europe in La Decouverte, 1996; con un taglio più strettamente giuridico Giuseppe de Vergottini La persistente sovranità in Diritto costituzionale comparato, Padova, 2013, 134 ss).

La ristrutturazione si estende su vari livelli.

Si amplia e si popola di nuovi soggetti lo scenario internazionale.

Da una parte, federazioni di stati, unioni di stati, trattati di cooperazione, organizzazioni politiche (G-7, NAFTA), organizzazioni finanziarie ed economiche (Banca Mondiale, Fondo Monetario internazionale), organizzazioni militari, corti internazionali con poteri crescenti che erodono la tradizionale, onnicomprensiva sovranità dello stato e si sovrappongono ad essa. Dall’altra, migliaia di organizzazioni non governative internazionali, alcune più ricche e più potenti di decine di stati esistenti: organizzazioni per la tutela dei diritti umani, organizzazioni sanitarie, chiese e organizzazioni religiose e molte organizzazioni ambientaliste.

Nello stesso tempo, si ristruttura anche lo scenario statale: l’istruzione, la sanità, l’urbanistica e spesso, appunto, l’ambiente (si pensi alla crescente importanza del movimento dei Sindaci e dei movimenti a livello locale per il contenimento del cambiamento climatico), rientrano assai spesso nelle competenze di entità infrastataIi, direttamente coinvolte con le aree e con la collettività interessate.

Il risultato di questo nuovo assetto è che lo Stato ha assunto un nuovo compito di mediazione tra il livello regionale e quello sovranazionale: garante verso il basso delle decisioni sovranazionali, rappresentante verso l’alto delle esigenze regionali.

  1. La seconda causa all’origine del diritto postmoderno è la temporaneità delle norme.

Una volta le norme erano poste con un orizzonte temporale illimitato. Giustiniano e Napoleone pensavano di aver stabilito norme valide per sempre. Il movimento ottocentesco della codificazione era l’espressione di quest’idea: l’ambizione di creare sistemi normativi immutabili, indipendenti dal mutare delle condizioni sociali e economiche, è stata una delle caratteristiche dell’ostinata resistenza della cultura giuridica europea verso modifiche o riforme delle regole fissate dallo Stato con le codificazioni (si pensi che non erano ammesse “lacune” nelle discipline codicistiche: dovevano essere disciplinate e risolte con l’interpretazione o con l’analogia sulla base delle norme esistenti).

L’avvento nel dopoguerra prima delle Costituzioni poi degli ordinamenti sovranazionali ha sgretolato questa resistenza. Oggi, le norme statali sono mutevoli, hanno un orizzonte temporale limitato, si cambiano quando serve e si adattano a esigenze economiche, sociali, scientifiche e etiche in continuo cambiamento.

  1. Prima di passare al terzo aspetto, deve essere rilevato che l’insieme delle due cause appena trattate ha determinato profondi mutamenti nell’assetto degli ordinamenti giuridici statali.

Le fonti del diritto, una volta individuate gerarchicamente con esattezza nello Stato, si sono diversificate e moltiplicate, sia verso l’alto sia verso il basso. Un tempo, solo lo Stato produceva norme. Oggi le norme statali sono inserite in sistemi sovranazionali vincolanti e sono limitate da produttori di norme infrastatali.

A ciò va aggiunto che si è accentuata l’opacità delle norme, una tendenza già due decenni fa rilevata da Stefano Rodotà.

Voglio fare due esempi.

Un esempio che ci riguarda da vicino, costituito dagli accordi stipulati dall’Italia con la Tunisia o con la Libia per il rientro dei migranti: il Governo italiano ha ripetutamente sottolineato l’importanza di questi accordi, ma quando l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione,  il Forum tunisino per i diritti economici e sociali e Avocats Sans Frontières Tunisie hanno presentato richieste di accesso ai contenuti degli accordi, il Ministero degli esteri italiano ha addirittura negato che ci fosse un accordo, mentre il Ministero dell’interno tunisino, pur senza esibirlo, ne ha documentato gli effetti, inviando alle organizzazioni richiedenti i dati sulle donazioni ricevute per circa 10 milioni di euro per l’acquisto di radar, navi ad alta velocità, manutenzione di imbarcazioni, acquisto di autovetture e di motori, (questi e altri dati in Nigrizia, Italia – Tunisia e quell’accordo fantasma, 7 dicembre 2020).

L’altro esempio ha carattere più generale e riguarda l’insieme delle relazioni e delle interconnessioni del sistema alimentare mondiale. A un primo livello ci sono i trattati internazionali con norme vincolanti che provengono da organizzazioni formalmente riconosciute (ONU, WTO, ILO, FAO, UNICEF, WIPO). Ci sono poi, in una progressione discendente dal pubblico al privato e dalla trasparenza all’opacità, organismi e agenzie creati dalle organizzazioni internazionali (per esempio, l’IFAD Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, una istituzione finanziaria internazionale delle Nazioni Unite e il PAM Programma Alimentare Mondiale, braccio operativo per gli aiuti alimentari delle Nazioni Unite); seguono organismi c.d. trans-statuali, collocati a  metà strada tra il pubblico e il privato con compiti di cooperazione e sviluppo (per esempio l’Africa Biodiversity Network); poi ancora contratti tra Organizzazioni non governative che operano nei vari settori del sistema alimentare e organismi internazionali ove sono previste per le prime attività, compiti e finanziamenti; infine organismi privati che svolgono però funzioni pubbliche (per esempio Ashoka, un network di imprese che opera in decine di paesi allo scopo di introdurre pratiche innovative nell’agricoltura). Abbiamo poi accordi bilaterali o multilaterali riguardanti specifici settori del sistema alimentare, progetti finanziati da organizzazioni internazionali, che spesso impongono agli stati nazionali destinatari di adeguare le proprie normative o le proprie istituzioni, meccanismi di finanziamento da parte di multinazionali private accompagnati da clausole e impegni non divulgati. Infine, c’è una moltitudine di cartelli, accordi multilaterali e bilaterali, con clausole e impegni ignoti ai non addetti ai lavori e tantomeno alle opinioni pubbliche dei paesi interessati).

In conclusione, il sistema alimentare mondiale, a prima vista governato dalle regole di mercato e da trasparenti convenzioni internazionali è, in realtà, immerso in una fitta e intricata rete di disposizioni, vincoli, clausole che si collocano in uno spazio intermedio tra il pubblico e il privato.

  1. La terza causa è la diffusione di conoscenze consentita dall’annientamento della lontananza e della divisione spaziale: la Rete e gli altri mezzi di comunicazione offerti dalle nuove tecnologie consentono costanti scambi di esperienze che permettono di intersecare informazioni, culture, saperi e esperienze. Tutto ciò è avvenuto in pochissimo tempo. Basti pensare con che lentezza sì è diffuso il telefono nelle case. Ecco alcuni dati riguardanti l’Italia. Nel 1925, cinquant’anni dopo la sua invenzione, c’erano 130.000 telefoni. Sono un milione solo nel 1951 e 5 milioni nel 1967. A fronte di ciò, Internet, inventato alla fine degli anni Ottanta, è presente, dopo quarant’anni, in più del 70% delle famiglie italiane.

Già venti anni fa era stato osservato che si era dissolto il potere dello Stato basato per sulla possibilità di vigilare sulla diffusione delle informazioni e sui mezzi di comunicazione esistenti (John King Gamble – Charlotte Wu, International Law: New Actors and New Technologies in Law and Policy in International Business, vol.31, 2000).

Questo significa che oggi il diritto è in grado non solo di tenere conto di sviluppi e relazioni che emergono in realtà nazionali e locali in precedenza sconosciute, ma anche di esserne influenzato. Le numerose controversie climatiche oggi pendenti in diecine di Stati sono state promosse e costruite avvalendosi delle esperienze, delle informazioni, dei documenti posti on line e messi a disposizione di tutti.

  1. Infine la quarta causa del sorgere del diritto postmoderno è costituita dalla scomparsa del mito dell’autonomia e dell’oggettività della scienza giuridica.

Per molto tempo, è stata diffusa la convinzione che le questioni giuridiche potessero essere risolte con esclusivo riferimento alle norme e alla giurisprudenza. La soluzione corretta era sempre univocamente deducibile dalla conoscenza del sistema giuridico.

Da molti anni, diritto, economia e conoscenze scientifiche e tecnologiche sono penetrati nei rigidi confini della scienza giuridica e hanno determinato il sorgere di nuove, specifiche discipline giuridiche o hanno modificato quelle esistenti. La genetica con le tecnologie applicative che si sono sviluppate ha inciso in profondità nel diritto di famiglia e nel diritto delle successioni, rimasti pressoché inalterati per secoli; lo sviluppo delle tecnologie delle comunicazioni ha creato nuovi settori disciplinari; lo stesso è accaduto a seguito delle scoperte nelle scienze biologiche;  computer sempre più perfezionati e potenti hanno offerto la possibilità di prevedere gli effetti delle politiche economiche e monetarie e quindi delle norme da introdurre per amplificarne o per contenerne gli effetti, infine le scienze sociali hanno posto in evidenza le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani celate spesso sotto l’asettico e imparziale principio di eguaglianza.

In definitiva nessuno può oggi occuparsi di diritto dell’ambiente, se conosce solo il diritto dell’ambiente (ho parafrasato la nota affermazione del premio Nobel dell’economia Friedrich Hayek: «nessuno può essere un grande economista, se è solo un economista»).

  1. In questo ampio quadro che ho sinteticamente descritto devono essere oggi collocati i principi nel diritto ambientale e in particolare i tre principi trattati da De Sadeleer.

Essi, osserva l’Autore, simili a Giano bifronte, da un lato sono rivolti al passato e ripropongono l’esigenza di razionalità e coerenza tipica del diritto moderno, d’altro guardano al futuro e sviluppano tutte le caratteristiche del diritto postmoderno. In questa seconda funzione stimolano l’adozione di politiche pubbliche e di riforme, impongono una valutazione comparativa dei diversi interessi sia orizzontalmente tra gli Stati che verticalmente all’interno delle diverse esigenze di ciascuno stato; costruiscono così nuovi ponti tra livelli globali, nazionali e locali e consentono alle autorità giudiziarie dei vari paesi dall’obbligo di attenersi strettamente a norme giuridiche codificate. In effetti, proprio con riferimento ai principi si sono sviluppate tutte le recenti controversie climatiche.

Se, un tempo, c’era una netta distinzione tra etica, politica e diritto, nel diritto postmoderno questa distinzione si attenua e i principi offrono le basi per raccordare e bilanciare interessi e esigenze divergenti proprio per effetto della loro flessibilità.

In definitiva, un libro che merita di essere letto anche per gli spunti di riflessione che offre proprio in questa seconda parte.

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recensione de sadeleer

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