Finalità della vigente legislazione forestale

28 Nov 2021 | articoli, contributi

di Alberto Abrami

Dopo l’entrata in vigore del decreto n.227 del 2001 che, cogliendo i segni del tempo, era ispirato dai criteri della selvicoltura naturalistica, era da ritenere che un nuovo intervento del legislatore forestale nazionale sarebbe proseguito lungo la strada tracciata dal legislatore dell’inizio degli anni 2000, che aveva aggiornato e integrato il testo base del 1923, abbandonando la via dell’interesse produttivistico a oltranza, come si rinveniva in quel decreto fino ad allora vigente. Ma così non è stato, perché il testo unico n.34 del 2018, attualmente in vigore, sembra proprio riprendere le stesse tematiche tipizzanti la legislazione forestale di quasi un secolo fa.

In quella normativa, risalente agli inizi degli anni Venti del secolo scorso, si esaltavano infatti le caratteristiche del bosco in quanto bene agronomico da cui estrarre il legname, ma, contemporaneamente, si negava la natura del bosco in quanto bene eco-sistemico complesso, erogatore di servizi essenziali per la collettività, poiché il bosco veniva considerato solo come strumento necessario ai fini della difesa del suolo, ed oltre non si andava. Né la legislazione regionale si era significativamente discostata da quell’impianto normativo dove, del resto, si dovevano individuare, in mancanza ancora di una legge cornice, quei principi fondamentali della materia ai quali riferirsi da parte della normazione delle Regioni, appartenendo allora, la materia “foreste”, alla competenza concorrente.

Il decreto n.227 del 2001, sopra richiamato, si era rivelato portatore di una fondamentale novità, perché con esso scompariva l’idea per cui solo il mantenimento dell’assetto idrogeologico poteva condizionare l’utilizzazione boschiva. Con la nuova normativa, il bosco, in quanto tale, vincolato o meno, viene comunque salvaguardato, senza per questo sottrarlo all’esercizio della selvicoltura, prospettando una selvicoltura interessata non solo alla difesa idrogeologica del suolo, ma attenta anche ai processi ecologici del bosco.

Basti per evidenziare l’interesse al bosco nei suoi aspetti biologici rinvenibile nel decreton.227 del 2001, l’obbligo – costituente un principio fondamentale della materia – del rilascio nella foresta degli alberi destinati all’ invecchiamento a tempo indefinito al fine di fornire le necromasse legnose necessarie alla vita della fauna selvatica, come pure la disposizione relativa alla recisione boschiva, per cui si fa divieto del taglio a raso del bosco se questo non si riproduce naturalmente, ma necessita di essere reimpiantato artificialmente. E si pensi ancora soprattutto all’obbligo di redigere i piani di assestamento forestale “secondo i criteri dello sviluppo sostenibile”.

Con l’Accordo di Parigi del 2015 vi era stata la presa di coscienza a livello planetario della assoluta necessità di ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera e, per questo fine, si era evidenziato il ruolo fondamentale che svolgono le foreste, sicché non era prevedibile che il nostro legislatore non ne tenesse conto; ma vale la pena ricordare che la stessa legislazione di non poche Regioni, seguendo l’iniziale esempio della Regione Veneto, aveva avvertito, già da tempo, la inadeguatezza di una legislazione ormai datata, estendendo il regime delle “prescrizioni di massima” relativo ai boschi gravati dal vincolo idrogeologico anche ai boschi esenti dal vincolo.

Significativa poi, era stata la giurisprudenza penale della Cassazione, quando aveva fatto riferimento nel definire il bosco, oltre che agli alberi, anche al sottobosco, alla fauna e alla microfauna che vivono in simbiosi con gli alberi[i].

Qual è, allora, la ragione di questo cambio di passo che ha convinto il legislatore statale, in piena crisi climatica, come dimostrano gli scenari ai quali, impotenti, stiamo assistendo, a far sua la pressione produttivistica, quando l’unica difesa certa contro le emissioni di CO2 nell’atmosfera è costituita dalla vegetazione arborea ed è, inoltre, fondamentale la tutela per la biodiversità, tema al quale il decreto n.34 del 2018 rimane indifferente?

Non si può, infatti, negare che tutto il sistema forestale creato dal testo unico del 2018, pur manifestando aspetti che meritano apprezzamento, come l’affermazione del principio del divieto generalizzato del taglio a raso dei boschi ( art. 7 comma 5 lett.a) ), mostra, tuttavia, un’unica, costante, preoccupazione , quella cioè che il bosco non rimanga inutilizzato, anche in contrasto con la volontà del suo possessore allorché questi non provveda al taglio del bosco ceduo quando abbia superato di una volta e mezzo il turno di maturazione ( art.3 comma 2, lett. g ). Una tale condizione fa sì che il terreno boscato sia dalla legge considerato “abbandonato” e il suo proprietario possa essere espropriato della gestione del bene in favore di altri soggetti che provvederanno in sua vece ( art.12 comma3 ).

Nessuna considerazione verso il fatto che il proprietario forestale, piuttosto che ottenere il prodotto legnoso preferisca far evolvere il bosco verso forme più complesse e godere i benefici di tale scelta. Né è operata alcuna distinzione fra la proprietà forestale privata e la proprietà pubblica, entrambe soggette allo stesso regime di utilizzazione imposto dalla legge.

L’interesse, dunque, alla produzione di legname – di evidente interesse economico di natura privatistica – assume tutti i contorni di un interesse pubblico, pur ponendosi in contrasto con l’altro interesse che vuole il potenziamento delle qualità naturali del bosco attraverso il suo invecchiamento, mediante il quale il bosco viene valorizzato sotto il profilo dell’interesse generale.

Ma se solo si dovesse intendere il bosco come bene agronomico senza altra considerazione per le funzioni di interesse generale, allora sarà bene ricordare che la regola che vale per l’agronomia e cioè che il frutto dell’attività agricola una volta giunto a maturazione va raccolto non vale per i prodotti che non sono commestibili, quindi per il bosco inteso come produttore di legname.

Nel mentre siamo allarmati dai cambiamenti climatici, il fine della nuova normativa forestale è quello di massimizzare la produzione legnosa, quando sappiamo che il bosco ceduo – che rappresenta i tre quarti del nostro patrimonio forestale – è destinato in larghissima misura alla combustione e quindi ad immettere nell’atmosfera una quantità di CO2 che potrà essere riassorbita solo con la ricrescita del bosco dopo circa 20-30 anni, a seconda delle diverse specie.

Il bosco che non sia stato reciso all’indomani del raggiungimento della sua maturazione, arricchisce, invecchiando, le sue potenzialità, come sopra si è accennato: non solo in relazione alle sue funzioni di interesse generale come, “in primis”, l’assorbimento di CO2 nell’atmosfera, la mitigazione del clima, la formazione di riserva d’acqua, la stabilizzazione del terreno con la trama delle radici degli alberi, il trattenimento del dilavare delle acque con il proprio humus, la conservazione della biodiversità ecc., ma anche sotto il profilo dell’interesse economico-privatistico, poiché questa situazione determina un aumento del capitale legnoso che non va affatto perduto in quanto si accumula negli alberi col passare del tempo e questo consentirà al bosco ceduo di trasformarsi in fustaia, che avrà, è stato calcolato, una produttività almeno doppia del ceduo[ii].

Quanto poi all’osservazione che la mancata utilizzazione legnosa fa sì che non si proceda alle cure colturali, come ai diradamenti e agli sfolli, determinando una situazione che facilita gli incendi, conviene ricordare che questi, in altissima percentuale, se non nella loro totalità sono opera dell’uomo, sicché esiste la possibilità di ricorrere ad altri strumenti per ovviare a tale rischio.

Quali sono quindi le ragioni del cambio di passo effettuato dalla legislazione vigente in senso meramente produttivistico, quando la pregressa normazione era orientata verso una palese attenzione agli aspetti naturalistici del bosco? Possiamo formulare varie ipotesi, ma non va trascurata la considerazione che alla formazione di questa legge forestale hanno concorso le Regioni con i loro interessi economici, godendo di una posizione privilegiata rispetto allo Stato in forza della titolarità della materia” foreste” assegnata loro dalla Costituzione riformata dalla legge n.3 del 2001.

Il risultato è che lo Stato, avendo percorso la strada della produzione a oltranza di legname rischia di perdere di credibilità in quella sua funzione, oggi di importanza fondamentale, qual è la tutela dell’ambiente. In realtà, non solo la giurisprudenza prima richiamata, ma anche la stessa dottrina selvicolturale più avveduta ha evidenziato che ormai è superata la tradizionale visione che considerava il bosco unicamente sotto il profilo della produzione legnosa, per riconoscere nel bosco “un organismo biologico complesso” portatore di una pluralità di valori che travalicano l’interesse economico del singolo[iii].

Una proprietà, quindi, quella forestale, dalle evidenti connotazioni pubblicistiche, e per questo definita “a uso controllato” da parte della Pubblica Amministrazione, ossia da esercitarsi in funzione sociale, secondo il dettato costituzionale[iv].

Il momento storico che stiamo vivendo richiede, infatti, per unanime consenso, uno sviluppo economico che sia sostenibile per l’ambiente, perché del consumo delle risorse naturali non ne abbiano a risentire le generazioni future. Però il nuovo testo unico forestale prescinde da una zonizzazione che tenga presente la variabilità del nostro sistema forestale con i suoi diversi “habitat” interessanti la conservazione della biodiversità. Ugualmente rimane estraneo alla pianificazione forestale “fondata sulla tutela e gestione attiva” ogni effettivo riferimento allo “sviluppo sostenibile,” preoccupato, com’è, il legislatore di considerare il bosco alla stregua di un agglomerato produttivistico[v].

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Contributo Abrami

Note:

[i] Vedi, Cassazione penale sez. III, 12 febbraio 1993,in Riv.Giur.Edil., dove si rileva che il bosco costituisce un “ecosistema completo”, comprensivo del suolo, del sottosuolo, degli alberi, del sottobosco, della micro fauna e della fauna: una “realtà naturale vivente”. Sulla stessa linea di pensiero, il recente parere del Consiglio di Stato che ha fornito la motivazione alla decisione del 1 ottobre 2020 emanata in seguito al Ricorso Straordinario al presidente della Repubblica da parte delle Associazioni ambientaliste contro un provvedimento della Regione Toscana relativo ad un territorio vincolato ex lege n.1497 del 1939. Per un commento alla  decisione del Ricorso Straordinario si veda il nostro, “Esercizio della selvicoltura e vincolo paesaggistico ex lege n.1497 del 1939: due interessi a confronto”, in “l’Italia forestale e montana”, 2021, n.1 p.21.

[ii] Cfr. A.BOTTACCI , in,” l’Italia forestale e montana “ 2018, n.4/5 p.207.

[iii] Per la dottrina selvicolturale si veda per tutti, O. CIANCIO, “Il bosco sistema naturale “ in, “ l’Italia forestale e montana “ 2018 n.4/5 p.103.

[iv] Per la proprietà forestale tipizzata dalla funzione sociale, si veda il fondamentale lavoro di M.TAMPONI ,“ Una proprietà speciale ( lo statuto di beni forestali ) “, Padova 1983.

[v] I limiti di interesse pubblico, che a noi sono parsi evidenti nella legge- come abbiamo sopra cercato di evidenziare- non vengono avvertiti da autorevoli giuristi, come G.M e M .FLIK , nel loro “Elogio della foresta” ( Bologna, 2020), dove l’esaltazione del ruolo del bosco va di pari passo con l’elogio del testo unico forestale. Sulla stessa linea di pensiero, N. FERRUCCI, nel Commentario alla legge da lei curato,( Milano 2019).

 

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