Efficacia e utilità delle misure locali antismog

21 Apr 2021 | articoli, contributi, documentazione

di Enrico Fedrighini

Da anni si fa molta confusione in tema di inquinamento dell’aria, nonostante la Lombardia costituisca un laboratorio privilegiato. E’ capitato anche recentemente quando in pieno lockdown, con strade deserte e valori delle micropolveri rimasti elevati, qualcuno ha rilanciato il luogo comune: “visto? È la prova che il traffico non è responsabile dello smog”, confondendo le concentrazioni di particolato atmosferico con la qualità del particolato (come dire che 100 microgrammi/mc di PM10 originato dal vento del Sahara equivalgono a 100 microgrammi/mc provenienti da una centrale a carbone). Dieci anni fa un professore del Politecnico, consulente della Procura in una vertenza promossa da un’associazione consumatori contro Regione Lombardia e Comune di Milano per inerzia di fronte al continuo superamento dei limiti di inquinamento previsti dalle norme europee, ripeteva: “Adottare misure locali per ridurre lo smog è inutile, è come tentare di svuotare il mare con un secchio”. Una leggerezza che oggi quel professore non ripeterebbe più: perché se da un lato è vero che misure locali non possono incidere in modo significativo sulla quantità delle concentrazioni medie di particolato su scala vasta (da qui l’archiviazione della denuncia), è invece provato (lo ha fatto proprio Milano, pochi anni fa, come vedremo fra poco) che misure locali incidono fortemente sulla qualità del particolato a livello locale, e sul rischio salute per la popolazione locale.

L’area della pianura padana presenta caratteristiche geomorfologiche e meteoclimatiche che, combinate con le elevate concentrazioni di emissioni inquinanti, favoriscono l’accumulo e la stagnazione dei veleni in atmosfera che rendono vulnerabile la popolazione (un recente dossier Ispra-Greenpeace spiega che in Lombardia si registra il 7% dei decessi mondiali di Covid-19 e oltre il 50% dei decessi in Italia).

In quest’area vasta, il risanamento dell’aria deve procedere su più fronti: sotto il profilo energetico, il nuovo piano decennale di A2A punta decisamente sulle rinnovabili per ribaltare la situazione attuale, che vede l’azienda utilizzare più fonti fossili che rinnovabili per la produzione di energia elettrica rispetto alla media nazionale; l’efficientamento energetico degli edifici (che significa consumare meno e a temperature di erogazione del calore più basse, dunque compatibili con l’uso di fonti rinnovabili) si sta sviluppando grazie anche ad importanti incentivi fiscali; la mobilità elettrica si sta diffondendo nelle aree urbane e non solo per il trasporto privato: a Milano è stato avviato il piano di conversione elettrica dell’intera flotta mezzi di trasporto pubblico su gomma. Anche la conversione dell’agricoltura verso pratiche meno impattanti è uno degli obiettivi della nuova Politica Agricola Comune europea: nella sola Lombardia gli allevamenti intensivi generano circa l’85% delle emissioni di ammoniaca, che concorre mediamente a un terzo del PM della Lombardia: in determinate situazioni critiche, solfato e nitrato di ammonio arrivano anche a superare il 50% della massa totale di PM10 e PM2,5.

Questo è il quadro complessivo del “catino padano”. Ma nell’area metropolitana milanese, la principale fonte emissiva di inquinanti atmosferici rimane il trasporto su strada: il 65% delle emissioni di ossidi di azoto, e il 69% delle emissioni di monossido di carbonio hanno origine dal traffico privato (fonte: INEMAR, Regione Lombardia).

Ora: partendo dal fatto che non esiste una sola misura risolutiva del problema ed occorre agire con più provvedimenti strutturali su più fronti, è necessario attivare contestualmente anche misure locali che hanno queste caratteristiche: costano poco, si realizzano rapidamente, riducono subito i rischi dell’esposizione umana agli inquinanti in atmosfera. Sono spesso misure semplicemente tariffarie, che non implicano appalti nè opere pubbliche ed agiscono nella fascia temporale (le ore diurne) durante la quale gli umani si operano e respirano l’aria di città (non dimentichiamo che i dati ufficiali delle concentrazioni inquinanti sono riferiti alla media delle 24 ore: se invece considerassimo i valori nelle sole ore diurne, la situazione risulterebbe molto peggiore). Soprattutto: le misure locali consentono di ridurre, all’interno della “nebulosa” PM10 e PM2,5 (una sorta di aerosol) la presenza delle sostanze più pericolose veicolate nel nostro organismo attraverso i polmoni.

L’efficacia di misure tariffarie locali per migliorare la qualità ambientale è stata certificata, otto anni fa, da una ricerca condotta a Milano da AMAT in collaborazione con SIMG (Società Italiana di Medicina Generale) e il supporto tecnico-scientifico di professori della Cornell University, Ithaca, NY e della University of Southern California di Los Angeles. Fra le sostanze più pericolose presenti nel particolato atmosferico (PM10 e PM2,5) vi è il Black Carbon, sostanza cancerogena, indicatore dell’inquinamento di prossimità originato dal traffico (motori diesel). Per diverse settimane e in diverse stagioni dell’anno, alcune centraline installate all’interno di Area C (via Sforza) e all’esterno di Area C (piazza Maciachini, via Porpora) hanno registrato contemporaneamente le concentrazioni medie di Black carbon, PM10 e PM2,5. Ebbene: mentre i valori medi di PM10 e PM2,5 sono risultati omogenei ovunque (simili all’immagine della macchia di smog ripresa dal satellite), le concentrazioni di Black Carbon in Area C erano dimezzate rispetto all’area esterna. Il che significa dimezzare i veleni, l’esposizione, l’assorbimento di inquinanti, il conseguente rischio-salute. Per questo le misure locali (oltre ad Area C e Area B: pedonalizzazioni, Zone 30, ecc.) rappresentano un prezioso strumento di regolazione della mobilità e contrasto all’inquinamento di prossimità, utili e coerenti con altre misure di medio e lungo periodo.

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Fedrighini – Misure locali antismog

 

 

 

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