COP 28 di Dubai: Luci e ombre

01 Gen 2024 | articoli, editoriale, in evidenza 1

Una parte dei contributi pubblicati in questo numero è dedicato alla COP 28.

Oltre all’editoriale, ci sono le osservazioni della climatologa statunitense Christine Shields che ha partecipato alla COP, il commento di Joseph Dimento, che insegna diritto dell’ambiente all’Università di California – Irvine ed è da lunga data un collaboratore della Rivista giuridica dell’ambiente e della RGAonline, il contributo di Maurizio Flick, che insegna Diritto forestale e ambientale presso l’Università di Padova ed esercita la professione di Avvocato presso il Foro di Genova e le considerazioni di Piero Genovesi di ISPRA.

Di Stefano Nespor

  1. Prima di scrivere della COP 28 conclusasi in questo mese di dicembre non dimentichiamo da dove siamo partiti: la COP 27 di Sharm El Sheik dello scorso anno e il suo esito quasi fallimentare. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antònio Guterres, aveva dichiarato “Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora e a questa richiesta non è stata qui data risposta”. E, secondo il vicepresidente della Commissione dell’Unione europea, Frans Timmermans: “Quello che abbiamo di fronte non è un passo avanti sufficiente per le persone e per il pianeta. Non ci sono sforzi aggiuntivi da parte dei principali emettitori per aumentare e accelerare i tagli alle emissioni”.
  2. Comprensibilmente c’erano molte aspettative per un deciso cambio di rotta, aumentate con l’approssimarsi dell’evento e sostenute da due avvenimenti.

Il primo. La pubblicazione nell’ottobre, poche settimane prima dell’inizio della COP, del primo Global Stocktake (GST), elaborato nei due anni precedenti (https://unfccc.int/news/new-synthesis-report-previews-parties-blueprint-for-decision-on-global-stocktake-at-cop28). Si tratta di un rapporto previsto dall’Accordo di Parigi per fare il punto ogni 5 anni a partire dal 2020, data di entrata in vigore dell’Accordo, dei progressi compiuti e per dare indicazioni su quanto ancora c’è da fare nei vari settori per il raggiungimento degli obiettivi  (art.14: la Conferenza delle Parti “verifica periodicamente l’attuazione del presente Accordo al fine di valutare i progressi collettivi compiuti verso la realizzazione dello scopo per cui esso è inteso e dei suoi obiettivi a lungo termine”).

Il GST ha sollecitato gli Stati a porre in essere maggiori sforzi per ridurre le emissioni del 43% rispetto ai livelli del 2019 entro il 2030, come richiesto dalle indicazioni degli scienziati dell’IPCC, avvertendo che, in mancanza gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi non potranno essere raggiunti. Infatti le emissioni di gas serra continuano ad aumentare mentre dovrebbero cominciare a ridursi entro il 2025.

Il secondo. Il drammatico intervento del Segretario generale all’assemblea delle Nazioni Unite poco dopo la pubblicazione dei risultati e dopo un’estate di temperature record a livello mondiale che ha ammonito: “L’umanità sta aprendo le porte dell’inferno. Dobbiamo recuperare il tempo perso a seguito di pressioni e costrizioni politiche e per l’avidità di interessi trincerati nel rastrellare miliardi di profitti derivanti dai combustibili fossili” (si può vedere il video dell’intervento in www.theguardian.com/world/video/2023/sep/21/climate-crisis-un-secretary-general-warns-humanity-has-opened-the-gates-of-hell-video).

L’importanza di questa COP era quindi ben chiara.

  1. Se molte erano le aspettative, molti erano anche i dubbi, tenuto conto che la Conferenza si sarebbe svolta negli Emirati Arabi Uniti, uno Stato tra i maggiori produttori di petrolio e che la carica di presidente della Conferenza sarebbe stata ricoperta dal Sultan Al Jaber, ministro dell’industria nel governo degli Emirati e presidente della compagnia petrolifera nazionale, ma anche fondatore di Masdar, una società specializzata in energie rinnovabili (proprio Al Jaber sarà l’autore di uno dei più clamorosi colpi di scena mai verificatisi in una COP, passando da affermazioni che gli sono valse l’accusa di negazionista climatico a eroe della Conferenza). Era così prevedibile una serrata opposizione dei produttori di combustibili fossili e dei cosiddetti Petrostati a decisioni che ponessero limiti alla produzione di combustibili fossili.
  2. L’incertezza dell’esito ha avuto come risultato la più grande conferenza internazionale sull’ambiente della storia: erano presenti rappresentanti di 197 paesi (un numero addirittura maggiore dei paesi membri delle Nazioni Uniti) e oltre 70.000 partecipanti con accesso ai lavori ufficiali (per offrire un termine di paragone, erano stati poco più di 10.000 alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992). E l’incertezza si è protratta sino all’ultimo. Solo fuori tempo massimo, con discussioni protratte fino a notte fonda, il GST è stato alla fine approvato: dopo oltre trecento ore di negoziati, la COP si è rapidamente quando il Global Stocktake è stato letto dal presidente Sultan al Jaber, ministri e delegati di tutto il mondo hanno applaudito e nessun paese si è opposto (salvo il Ministro dell’ambiente italiano, Pichetto Fratin, impegnato a pubblicare su Instagram una sua foto con una racchetta da ping pong in mano: si veda Ferdinando Cotugno, Le 34 parole per salvare il mondo: ecco perché Cop28 può essere una svolta in Domani 13 dicembre 2023).
  3. Il risultato più importante è costituito dall’annuncio dell’abbandono delle fonti fossili come obiettivo da raggiungere.

Può sembrare un’ovvietà, ma è stata la prima volta in tutte le COP che si sono succedute dalla Convenzione quadro che sono stati ufficialmente indicati i combustibili fossili come la causa del riscaldamento globale, riconoscendo la necessità di una loro eliminazione: una verità fino ad oggi ignorata, “un elefante nella stanza” che nessuno vedeva (Fiona Harvey, After 30 years of waiting, Cop28 deal addresses the elephant in the room in The Guardian 13 dicembre 2023. In realtà, il tema dei combustibili fossili è stato affrontato già alla COP 21 di Glasgow, ma solo per porre l’obiettivo di ridurre l’energia prodotta da carbone e i sussidi a combustibili fossili non efficienti. Nella stessa COP 21 è stata anche istituita la Beyond Oil and Gas Alliance con l’obiettivo di agevolare la riduzione della produzione di petrolio e gas).

  1. Ci sono però molti modi per abbandonare le fonti fossili.

C’è un modo radicale, il phase out, quindi la cessazione dell’utilizzo dei combustibili fossili entro il 2050, sostenuto da circa 130 Stati tra cui gli Stati membri dell’Unione europea (si veda la decisa presa di posizione del Consiglio dell’Unione europea in vista della COP per un’azione immediata e urgente; Consiglio dell’Unione europea 9 marzo 2023, Bolstering EU climate and energy diplomacy in a critical decade www.consilium.europa.eu/media/62942/st07248-en23.pdf), gli Stati Uniti e naturalmente i rappresentanti dell’AOSIS, il gruppo delle piccole isole esposte all’aumento del livello degli oceani.

Il phase out è stato vigorosamente opposto dalla totalità dei Petrostati (Sultan Al Jaber ha sostenuto che in questo modo l’umanità sarebbe tornata all’età delle caverne) e altrettanto vigorosamente sostenuto dalle associazioni ambientaliste e da Amnesty International che, in un documento reso pubblico poco prima della Conferenza ha sostenuto che una fine totale, rapida e equa della produzione dei combustibili fossili è vitale per prevenire una catastrofe climatica globale con incalcolabili conseguenze sulla tutela dei diritti umani (Fatal fuels: Why human rights protection urgently requires a full and equitable fossil fuel phase out www.amnesty.org/en/documents/pol30/7382/2023/en/).

C’è una posizione più accomodante, il phase down, una progressiva riduzione dell’utilizzo senza precise indicazioni temporali e idonea a introdurre tecnologie sperimentali per abbattere le emissioni di gas serra quali la cattura del carbonio, tecnologia qualificata però dal direttore della International Energy Agency come una “fantasia” che, comunque, sarebbe più costosa delle energie rinnovabili (Fiona Harvey, Oil and gas firms must convert to renewables or face decline, says IEA chief in The Guardian 2 dicembre 2023).

  1. Alla COP 28 non è stato deciso il phase out. E neppure il phase down.

Per ottenere l’adesione dei Petrostati“ che sostenevano semplicemente l’annuncio di “una riduzione del consumo e della produzione di combustibili fossili”, è stata decisa invece una soluzione di compromesso: la  transition away, l’allontanamento, il passaggio ad altre forme di produzione di energia. Questa è la cauta formulazione finale: Transitioning away from fossil fuel in energy systems, in a just, orderly and equitable matter, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science.

Ma non c’è solo il riferimento al 2050, ma l’impegno a intervenire nel corso di questo decennio critico, come chiesto dalla comunità scientifica per non sprecare l’ultima finestra di opportunità per contenere la crisi climatica entro limiti gestibili.

  1. Ci sono state molte valutazioni negative. Categorico è stato l’editoriale della rivista Nature del 12 dicembre 2023: “il fallimento del phase out è più che un’opportunità mancata, si pone in contrasto con l’obiettivo posto nel 2015 dall’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a non più di 1,5° rispetto all’era preindustriale”, aggiungendo che “i leader mondiali tradiranno i loro popoli se non accettano la realtà” (COP28: the science is clear — fossil fuels must go, in Nature 624, 225, 2023).

Ma sono prevalsi i giudizi positivi.

Così, Simon Stiell, il chairman della delegazione delle Nazioni Unite, ha dichiarato “Questa COP aveva l’obiettivo di porre una fine all’era dei combustibili fossili. La fine non c’è stata, ma la decisione concordata è chiaramente l’inizio della fine”.

Per Inger Andersen, direttore esecutivo dell’UNEP “l’accordo raggiunto non è perfetto, ma una cosa è chiara: il mondo non nega più la mortale dipendenza dalle fonti fossili”

I membri del Parlamento europeo presenti alla COP28, guidati dal Commissario Hoekstra, hanno commentato che si tratta di un risultato storico: “la COP28 ha deciso di passare dalla dipendenza dai combustibili fossili a energie rinnovabili ed efficienza energetica, lasciando spazio anche all’energia nucleare. Anche se il testo adottato non menziona la parola phase-out, si tratta in effetti di un ‘abbandono’ dei combustibili fossili”.

Sono opinioni condivise anche da alcune importanti organizzazioni ambientaliste: Manuel Pulgar-Vidal, responsabile globale del clima e dell’energia del WWF ha sottolineato che “la decisione di abbandonare i combustibili fossili è importante. Dopo tre decenni di negoziati sul clima delle Nazioni Unite, i Paesi hanno finalmente spostato l’attenzione sui combustibili fossili inquinanti che causano la crisi climatica”.

  1. Fine, riduzione, superamento o graduale abbandono?

Certamente sulle sottili differenze tra phase out, phase down e transition away e sull’esatto contenuto di quest’ultima formulazione si scriverà molto nei prossimi mesi.

Fermo restando che la formulazione conta poco, ciò che conta è quel che si farà per applicarla, la mia opinione è che la soluzione flessibile dell’ultima ora con la quale si è risolta la concitata discussione conclusiva della COP 28, ottenendo l’adesione anche dei Petrostati, costituisca un fatto positivo.

Per una ragione molto semplice: attualmente oltre l’80% dell’energia globale proviene da carbone, petrolio e gas, mentre il rapido aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili ha semplicemente compensato l’aumento della domanda globale di energia.

Non solo. Attualmente non c’è né phase outphase down della produzione di combustibili fossili: c’è una phase up: tutti i Petrostati stanno affannandosi per aumentare la produzione in modo da utilizzare il loro patrimonio sotterraneo prima che sia troppo tardi.

Questo significa che ben difficilmente si sarebbe potuto rispettare un impegno di azzerare entro i prossimi 27 anni la produzione da fonti fossili, tenuto conto che nei trent’anni seguiti alla Convenzione quadro sul clima, con la quale si era stabilito di contenere il cambiamento climatico, le emissioni di gas serra sono incessantemente aumentate.

Quindi, meglio evitare un impegno impossibile da rispettare e probabilmente dannoso per molti Stati poveri (aspetto quest’ultimo trascurato dagli ambientalisti) e assumere un impegno condiviso che offra margini di elasticità.

In questo senso (dissociandosi dal giudizio negativo dei rappresentanti di AOSIS), si è pronunciato Avinash Persaud, inviato di Barbados: “alcuni attivisti sono delusi per non aver deciso un phase out, ma non bisogna dimenticare che senza il commercio, gli investimento e il sostegno finanziario per raggiungerlo sarebbe stato privo di senso o avrebbe provocato gravi danni ai paesi poveri e in via di sviluppo” (Persaud  è un economista esperto di cambiamento climatico. Si veda la presentazione della sua Bridgetown Initiative: ted.com/talks/avinash_persaud_the_climate_crisis_is_expensive_here_s_who_should_pay_for_it).

  1. Sono passati in secondo piano nelle valutazioni degli esiti della COP molti altri temi inseriti nel Global Stocktake e approvati alla COP 28. Mi limito a un brevissimo elenco, rinviando più accurate necessarie analisi a contributi successivi.

– Oltre 100 Stati si sono impegnati a triplicare la produzione di energie rinnovabili (che significa un aumento del 17% della produzione ogni anno) e a raddoppiare l’efficienza energetica. È un segnale importante per indirizzare futuri investimenti su un settore in espansione.

– 22 Stati, tra cui Francia, Paesi Bassi, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia e poi Stati Uniti, Canada e Giappone hanno firmato una dichiarazione che chiede di triplicare la capacità di produzione di energia nucleare tra il 2020 e il 2050, al fine di ridurre la dipendenza da petrolio, gas e carbone. È stata nello stesso approvato l’obiettivo, inclusa nel GST, di perfezionare e realizzare tecnologie con basse emissioni di gas serra, inclusa l’energia nucleare.

– È passato alla fase esecutiva il fondo per il risarcimento dei danni provocati dal cambiamento climatico, ricevendo impegni di finanziamento dai Governi per quasi 800 milioni di dollari.

– 134 Stati hanno sottoscritto la dichiarazione sull’agricoltura sostenibile, integrando i propri sistemi agroalimentari nei piani nazionali di contenimento del cambiamento climatico e impegnandosi a ridurre l’impatto sul clima dell’agricoltura e delle modifiche del suolo. Questi Paesi rappresentano insieme 5,7 miliardi di persone, il 70% del cibo consumato e il 76% delle emissioni prodotte dal sistema alimentare globale.

– Oltre 30 Stati hanno aderito alla Freshwater Challenge, una importante iniziativa di risanamento di fiumi e zone umide della storia, promossa alla Conferenza sull’Acqua delle Nazioni Unite del 2023, inserita nella Water Action Agenda (https://sdgs.un.org/partnerships/action-networks/water), sostenuta dall’UNEP, dalla Ramsar Convention, dal IUCN, dal WWF e da altri organismi e associazioni, con l’obiettivo di conservare e risanare 300.000 km di fiumi degradati e 350 milioni di ettari di zone umide.

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