Chi decide sulle politiche climatiche? contenzioso climatico, separazione dei poteri e “Rule of Law”

01 Apr 2024 | articoli, contributi

di Luciano Butti

Nessun privato e nessuna istituzione, nemmeno quindi un’Autorità di Governo, può sottrarsi al rispetto della Costituzione e delle leggi nazionali e internazionali. E’ questo il presupposto fondamentale dello Stato di diritto, la “rule of law”.

E’ dunque sulla base di questo presupposto – caratteristico di tutte le democrazie costituzionali – che in molti ordinamenti nazionali sono state attivate iniziative giudiziarie classificabili come “contenzioso climatico”: quel tipo di contenzioso mirante ad ottenere per via giudiziaria migliori politiche ambientali dai Governi nazionali [i].

Il numero dei casi di coinvolgimento dei Tribunali nell’azione per la salvaguardia del clima è in costante e forte crescita almeno a partire dal 2015, quando venne deciso in primo grado un caso pilota olandese (cd. caso Urgenda).

Questo contenzioso viene proposto – a seconda delle circostanze – di fronte a Corti nazionali oppure di fronte a Corti internazionali, in primo luogo la CEDU.

Un recente accurato volume comparatistico [ii]analizza in dettaglio le caratteristiche e le implicazioni del contenzioso climatico, e ne presenta lo sviluppo ed alcuni primi esiti nei principali Paesi.

Dal punto di vista del diritto costituzionale, la più delicata sfida che il contenzioso climatico deve affrontare riguarda i rapporti fra potere legislativo e potere giudiziario, nel quadro di quella separazione dei poteri che, sia pure con accenti non sempre coincidenti, caratterizza tutte le democrazie costituzionali.

Secondo alcuni studiosi, infatti, il principio di separazione dei poteri renderebbe illegittime e inopportune le “incursioni” dei Tribunali nella sfera decisionale normalmente propria di organismi eletti, e quindi dotati (a differenza delle Corti) di diretta legittimazione democratica [iii].

Sostanzialmente in questa direzione si è orientata la recentissima sentenza del Tribunale civile di Roma 26 febbraio 2024, riguardante il contenzioso climatico noto nella pubblicistica come “Giudizio Universale”, avviato da alcune associazioni contro il Governo italiano [iv]. Il Tribunale – pur dando atto in motivazione delle sentenze di accoglimento del contenzioso climatico pronunciate in altri Paesi – ha infatti dichiarato il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria; è comunque probabile che la vicenda prosegua nei successivi gradi di impugnazione.

Pur nella loro apparente linearità, le obiezioni di principio al contenzioso climatico basate sul principio della separazione dei poteri sempre e comunque convincenti [v].

Occorre infatti in primo luogo considerare che – proprio dal punto di vista del diritto costituzionale (e internazionale) – Governi e Parlamenti nazionali dei Paesi che hanno sottoscritto gli accordi sul clima – ed in particolare l’Accordo di Parigi – non sono giuridicamente liberi di agire in qualsiasi modo nel settore delle politiche climatiche.

Questi Governi e Parlamenti, infatti, hanno assunto precise obbligazioni, ratificando gli accordi internazionali sul clima. Il nocciolo fondamentale di tali obbligazioni consiste nell’adottare politiche che (insieme con quelle di tutti gli altri Stati) contribuiscano a mantenere l’aumento di temperatura del pianeta al di sotto di soglie considerate critiche.

Pertanto, la definizione delle politiche ambientali e climatiche di ogni Paese deve avvenire nel quadro e nel rispetto dei Trattati internazionali e dei principi generali del diritto internazionale. In Paesi come l’Italia, ciò ha anche precise e dirette implicazioni di natura costituzionale, in quanto, come è noto, la nostra Costituzione impegna le istituzioni elettive a rispettare il diritto internazionale.

Quando Governi e Parlamenti siano clamorosamente inadempienti rispetto alle obbligazioni climatiche assunte con l’Accordo di Parigi, potrebbe quindi rimanere un ruolo delle Corti nazionali e internazionali per invertire la rotta, accogliendo azioni di contenzioso climatico.

Ciò naturalmente non significa che le Corti siano, a loro volta, prive di limiti rispetto a quanto possono ordinare alle Autorità elettive.

Vigono infatti, anche in questa materia, il principio di proporzionalità e quello di leale collaborazione istituzionale, in forza dei quali ogni deroga al principio di separazione dei poteri può e deve avvenire entro un rigoroso quadro di responsabile auto-limitazione da parte delle Corti. Il ruolo di esse non può essere quello di “dettare” i dettagli della politica climatica agli organi eletti democraticamente. Al contrario, le Corti possono e devono intervenire per correggere macroscopici allontanamenti di tali organi dagli obblighi assunti in sede internazionale e – conseguentemente – anche dai doveri inquadrabili nella tutela dei diritti umani.

Esattamente questo è stato del resto l’approccio delle Corti olandesi nel noto contenzioso climatico relativo al caso Urgenda [vi]. Nel giugno 2015 la Corte distrettuale dell’Aia ha infatti ordinato al governo olandese di “intraprendere maggiori azioni per ridurre le emissioni di gas serra nei Paesi Bassi” e di “garantire che le emissioni olandesi nell’anno 2020 siano almeno del 25% inferiori a quelle del 1990” . La controversia fra le associazioni ambientaliste e il Governo olandese non riguardava la necessità di una mitigazione, ma piuttosto il livello di riduzione delle emissioni di gas serra necessario negli anni a venire. Secondo il Tribunale, in casi come questo occorre prendere in considerazione tutti i seguenti fattori: la natura e la portata del danno derivante dal cambiamento climatico; la conoscenza e la prevedibilità di questo danno; la possibilità che si verifichino cambiamenti climatici pericolosi; la natura degli atti (o delle omissioni) dello Stato; i costi dell’adozione di misure precauzionali, che non possono essere “troppo onerosi” per lo Stato. La Corte ha quindi concluso che l’obiettivo scelto dallo Stato non poteva essere considerato sufficiente e che si sarebbe invece dovuto seguire – soprattutto alla luce dei rapporti dell’IPCC – un percorso di riduzione del 25-40% entro il 2020. Ciò premesso, in ottica di autocontrollo, il Tribunale ha ordinato di adottare la riduzione minima compresa nella fascia sopra indicata (quindi una riduzione del 25%). Nel 2018, la Corte di Appello dell’Aia ha confermato la decisione della Corte distrettuale. Nel 2019 è poi intervenuta una ulteriore conferma, questa volta definitiva, anche da parte della Corte Suprema, la quale ha molto insistito sui profili concernenti il necessario rispetto dei diritti umani (artt. 2 ed 8 della Convenzione) e ha inserito nel testo della decisione anche una curiosa rassegna dei mutamenti di punti di vista espressi negli anni dallo Stato olandese con riferimento alla necessaria tempistica per la riduzione delle emissioni climalteranti.

In risposta al contenzioso climatico proposto da Urgenda ed ai suoi esiti giudiziari – ed in piena ottica di leale cooperazione istituzionale – il Parlamento olandese ha emanato nel 2019 una legislazione sul clima fra le più avanzate (Climate Act – Klimaatwet), mentre il Governo ha lavorato intensamente con le associazioni di categoria e ambientaliste per il raggiungimento di accordi volontari finalizzati all’ulteriore contenimento delle emissioni. Sembra dunque certificato, alla luce di questi sviluppi, il successo dell’azione giudiziaria olandese.  Si è trattato di un tipico contenzioso strategico di successo, in quanto capace di generare ampi cambiamenti sociali, politici e legislativi, oltre il caso singolo [vii].

E’ del resto solo in questo quadro di bilanciamento fra diritti e principi fra loro in potenziale conflitto [viii] che le Costituzioni democratiche trovano, nello stesso tempo, la loro fondamentale ragion d’essere e la loro utilità per un armonico sviluppo delle comunità nazionali.

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NOTE:

[i] Esiste anche un diverso tipo di contenzioso climatico, nell’ambito del quale il provvedimento richiesto alle Corti non riguarda i Governi nazionali, ma grandi società multinazionali – di solito petrolifere – alle quali si chiede di migliorare le proprie politiche ambientali. In questo breve articolo, tuttavia, viene discusse le implicazioni costituzionali soltanto dei contenziosi attivati verso i Governi.

[ii] W. Kahl, M.P. Weller, (a cura di), Climate Change Litigation. A Handbook, Hart Publishing, Londra 2021. In lingua italiana, il tema è fra gli altri esaminato da L. Butti e S. Nespor, Il diritto del clima, Mimesis 2022.

[iii] Cfr. in questo senso, fra gli altri, L. Bergkamp, J.C. Hanekamp, Climate Change Litigation against States: The Perils of  Court-Made Climate Policies, (2015), 24, in European Energy and Environmental Law Review, Issue 5, pp. 102-114.

[iv] Secondo il Tribunale di Roma, “Le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico … rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nel giudizio civile; la tutela risarcitoria ex artt. 2043 e 2051 rispetto a tali decisioni non rientra, conseguentemente, nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati. Non può infatti chiedersi al Tribunale civile di annullare i provvedimenti anche normativi di carattere primario e secondario, che costituiscono attuazione delle scelte politiche del legislatore e del governo per il raggiungimento degli obiettivi assunti a livello internazionale ed europeo (…), violandosi in caso contrario un principio cardine dell’ordinamento della separazione dei poteri”. Il Tribunale ha pertanto evidenziato il difetto assoluto di giurisdizione in quanto “manca nell’ordinamento una norma di diritto astrattamente idonea a tutelare l’interesse dedotto in giudizio e la domanda non risulta conoscibile, né in astratto, né in concreto, da alcun Giudice”. Ne deriva, in conclusione, che “la domanda volta ad ottenere una modifica del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) … è estranea alla giurisdizione del giudice ordinario”.

[v] V. al riguardo, ad esempio: S. Novak, The Role of Courts in Remedying Climate Chaos: Transcending Judicial Nihilism and Taking Survival Seriously, in The Georgetown Environmental Law Review, Vol 32, 2020, pp. 743 ss.; B. Pozzo, La climate change litigation in prospettiva comparatistica, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2021, n. 2, p. 286.

[vi]  Kahl, M.P. Weller, (a cura di), Climate Change Litigation. A Handbook, Hart Publishing, Londra 2021, pp. 363 ss.

[vii] Forse inaspettatamente, anche nei Paesi dove il contenzioso climatico non ha avuto successo “giudiziario”, esso ha influito in senso positivo sulle successive decisioni dei Governi. E’ il caso, ad esempio, del Regno Unito. Nonostante l’esito infruttuoso del contenzioso climatico avviato da Plan B Earth, il risultato sostanziale perseguito dai ricorrenti è stato comunque nella sostanza ottenuto, in quanto nel giugno 2019 il Governo del Regno Unito ha modificato gli obiettivi di riduzione entro il 2050, passando da una riduzione dell’80% (che era stata contestata da Plan B Earth) a un rigoroso “net-zero target” (peraltro negli ultimi mesi rimesso forse in discussione a seguito della crisi post Brexit): cfr., sul tema dei rapporti fra successi giudiziari e successi politici nell’azione per la difesa del clima, R. Carnwath, Climate Change and the Rule of Law, Bucerius School, Luther Lecture, Hamburg 22 March 2021.

[viii] Sul bilanciamento fra diritti, v. L. Butti, Non esistono diritti tiranni. Come orientarsi fra diritti in conflitto, Mimesis, 2023.

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