Come si è sottratta allo Stato l’amministrazione idrogeologica del territorio in favore delle regioni e degli enti locali

01 Dic 2022 | articoli, contributi

Di Alberto Abrami

Ha dell’inverosimile come questo nostro Paese riesca a farsi del male da solo ossia senza alcuna costrizione esterna, ma per l’unica ragione di adottare provvedimenti ispirati da valutazioni astratte piuttosto che dall’esperienza concreta. Ci spieghiamo meglio. Quando si trattò di far decollare l’ordinamento regionale agli inizi degli anni settanta, dando attuazione agli artt. 117 e 118 della Costituzione, lo Stato operò all’interno del decreto delegato relativo alla materia agricoltura e foreste- che veniva regionalizzata- un ritaglio di competenza in relazione al vincolo idrogeologico, come all’assetto idrogeologico che, per lunga tradizione risalente alla formazione dello Stato unitario, era di competenza degli Uffici del Corpo forestale dello Stato che aveva dato sempre prove di assoluta efficienza con la passione e l’orgoglio di servire lo Stato. Questo stesso organismo esercitava anche la competenza relativa alle sistemazioni idraulico-forestali dei bacini montani, d’intesa con il genio civile, organo periferico dell’allora Ministero dei Lavori Pubblici.

Lo Stato avvertì, con questa riserva di funzioni, come fosse in gioco un settore nevralgico per l’interesse collettivo, il quale esigeva una particolare preparazione ed esperienza che non si poteva inventare dall’oggi al domani, sicché il trasferimento della competenza alle Regioni stava a significare, con il frazionamento del settore, un pericoloso salto nel buio che metteva a repentaglio l’interesse nazionale alla difesa del suolo.

Il ricorso di alcune Regioni alla Corte Costituzionale volto a rivendicare la completezza del trasferimento della materia agricoltura e foreste venne respinto dalla Corte facendo riferimento al momento unitario e quindi di interesse nazionale. Ma lo schieramento regionalista presente in parlamento riuscì a far votare, nel 1975, un ‘altra legge di delegazione in forza della quale le materie attribuite dalla Costituzione alle Regioni dovevano essere traferite per settori organici e secondo un’interpretazione finalistica della materia, ovvero senza alcun ritaglio o riserva di funzioni, da parte dello Stato. Si ebbe così nel 1977 un nuovo ed unico decreto delegato n.616, relativo alle varie materie regionalizzate e quindi comprensivo anche della competenza relativa al vincolo e alla sistemazione idrogeologica del territorio. Da sottolineare, per come le Regioni abbiano sottovalutato la competenza loro attribuita, sta il dato di fatto che esse, in larga maggioranza, hanno provveduto a delegare il settore in questione, a Provincie e Comunità montane, Enti locali, cioè, senza alcuna esperienza in merito e limitati nella loro azione dai confini amministrativi, mentre un patrimonio plurisecolare di esperienze e di uomini, come poteva vantare lo Stato, andava perduto.

Privato lo Stato dei propri uffici periferici, l’Amministrazione relativa alla difesa del suolo risultava interamente di competenza delle Regioni e degli Enti locali, sicché lo Stato poteva rivendicare per sé solo il potere di  emanare una legislazione relativa ai principi fondamentali della materia, o settore, che le Regioni avrebbero dovuto far propri nella legislazione regionale, ma non poteva esercitare, giova ripeterlo, alcuna funzione  amministrativa non avendo più gli organi per poterla svolgere, quando molti degli interventi sistematori richiedevano integrazioni e adeguamenti per conservarne la iniziale funzionalità.

A questa condizione istituzionale Il Parlamento intese porre rimedio con la legge sulla difesa del suolo n.183 del 1989 mediante la quale venne istituita l’Autorità di Bacino dove siedono, negli organi decisori, rappresentanti dello Stato e della Regione territorialmente competente. Questa nuova Autorità fu salutata con vivo interesse da più parti, nella convinzione che sarebbe stata risolutiva nel mettere in sicurezza il territorio e i suoi abitanti; ma essa aveva in sé una debolezza intrinseca, quella cioè di programmare gli interventi e prevedere l’astensione da altri considerati necessari per stabilizzare l’area territoriale compresa nel bacino idrografico, senza avere il potere di gestirli direttamente, altrimenti si sarebbe sottratto ai Comuni la competenze in materia di urbanistica ormai espansa in “governo del territorio” . Ed è anche vero che nel corso degli anni successivi alla sua istituzione, soprattutto posteriormente alla riforma costituzionale del 2001 , l’Autorità di Bacino è andata progressivamente indebolendosi nella sua autorevolezza. .

Abbiamo appena ricordato la modifica del Titolo V della Costituzione realizzata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 con la quale il rapporto Stato-Regioni, come statuito dai Padri costituenti, viene del tutto rovesciato: saranno le Regioni, e non lo Stato, gli Enti a competenza generale, sicché si completa lo smantellamento dello Stato risorgimentale in nome della Repubblica delle autonomie.

A fronte di uno Stato vieppiù logorato, sta però il potere urbanistico dei Comuni che, in generale, mirano con le loro previsioni all’incremento del numero dei residenti e allo sviluppo economico del proprio territorio come fatto primario, sicché la difesa del territorio nel suo assetto idrogeologico diviene un fatto, se non secondario, non sufficientemente valutato nella sua importanza. Di qui anche la, non di rado, tolleranza davanti agli abusi edilizi e, comunque lo scarso controllo comunale, come pure l’inerzia, se non l’opposizione, alle richieste di demolizione avanzate dalla magistratura- nel caso dell’isola d’ Ischia circa 1000-invocando una sanatoria, che puntualmente arriva.

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A. Abrami dic22

 

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